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L‘opinione: chi non è in linea va silenziato

Gramsci Storia, letteratura, educazione: i nuovi progressisti in guerra con il passato e la Storia e chi non è in linea… va silenziato.

Sono il “Bene”, l’avanguardia di una nuova Era di virtù ideologica. Così si dicono. Sono i “woke” (un termine politico che ha avuto origine negli Stati Uniti e si riferisce a una consapevolezza percepita di questioni che riguardano la giustizia sociale e la giustizia razziale) o i cosiddetti “svegliati”, gli autoproclamatosi giustizieri sociali in una crociata contro la memoria dei popoli.

Sembra che il “mondo moderno” abbia dato all’umanità delle condizioni tali, così interamente e così assolutamente nuove, che tutto ciò che abbiamo imparato dalle precedenti scienze umanistiche non può in alcun modo servirci. Non ci sono precedenti. Neanche nelle Rivoluzioni francese e americana. Forse lo troviamo nei talebani.

Non ci resta che “osservare” la nostra Era, quella della postmodernità, per essere informati della sua crudele acuità del lavoro di un’ideologia e di una perdita generalizzata di anime, di un certo progressivismo convinto di incarnare il “significato della storia” che intellettualizza questa abolizione del passato per renderlo un programma della “nuova società mondialista”.

Questo progetto di ardesia pulita è incarnato dal movimento “woke”. Il termine si è diffuso negli Stati Uniti dopo la creazione del movimento Black Lives Matter nel 2013, prima di essere reso popolare su Internet. Si riferisce a una maggiore vigilanza di fronte alle ingiustizie razziali e alle “oppressioni sistemiche“. A poco a poco, questo concetto si è esteso a tutte le richieste di giustizia sociale. Oggi, essere “woke” è come essere all’avanguardia nel progresso.

Per molto tempo il potere fastidioso di questo movimento è stato sottovalutato. Negli ultimi anni, tuttavia, questo gruppo di minoranze “queer” (“Queer” è un termine generico utilizzato per indicare coloro che non sono eterosessuali o non sono cisgender; è un termine della lingua inglese che tradizionalmente significava “eccentrico“, “insolito“) ha occupato un posto di primo piano nella vita pubblica. Spinti da un fanatismo mai placato, questi movimenti di protesta cercano di conformare la società alle loro nevrosi identitarie.

Questi attivisti, con un ampio potere di prescrizione, sono riusciti a imporre un “nuovo ordine morale”. Si presenta come un movimento di emancipazione e apertura alle “minoranze” nelle società ontologicamente oppressive, ma adesso attaccano l’arte, la storia, la cultura e non accordano alcun interesse al passato salvo quando corrobora la loro visione del presente. Questo movimento si impegna quindi a trasformare la società “positivamente”, secondo il loro punto di vista ideologico, alla luce di una concezione radicale del Bene e del Male.

Per questi diversi gruppi di interesse, vuoi a favore delle persone LGBT, delle minoranze etniche, delle donne e di molte altre cause, si tratta di annullare qualsiasi parola o pensiero che possa offendere la sensibilità degli “altri” – chiunque sia “oppresso”, s’intende. In altre parole, i “woke” incoraggiano la censura ideologica in nome di valori morali che loro ritengono superiori. Ricorrono così alla cancellazione della cultura. Una misura di igiene morale che consiste nell’organizzare il boicottaggio di coloro che si avventurano al di fuori del perimetro tracciato da questi “commissari del progresso”, come quando nell’Unione Sovietica di staliniana memoria c’erano i “commissari di partito”.

In Nord America, terra d’elezione dei “woke”, questa impresa di “livellamento del pensiero” porta non solo all’umiliazione e alla cancellazione di coloro che sono definiti “delinquenti del pensiero”, ma anche a una ridefinizione dei limiti della conoscenza e della produzione intellettuale.

Come molti movimenti guidati da dinamiche rivoluzionarie, questi gruppi di rivendicazione non accordano alcun interesse al passato salvo quando confermano la loro visione del presente. In caso contrario, si tratta solo di un fardello obsoleto. Questo fantasma di autogenerazione, pietra angolare della filosofia “woke”, conforta i suoi seguaci nell’illusione di una superiorità delle loro idee. Seguendo questa logica, il passato diventa un ostacolo all’avvento di questa nuova umanità.

Questo è il motivo per cui questo movimento ha fatto delle arti e dell’istruzione i suoi due campi di battaglia prioritari per l’egemonia culturale.

Nel suo mirino c’è il canone Occidentale, letteralmente “canone Occidentale“, cioè tutte le produzioni di alta cultura (letteratura, filosofia, musica, opere d’arte, ecc.) che hanno raggiunto lo status di classici. Per esempio, la prestigiosa Yale University (Connecticut), sotto la pressione di alcune minoranze, ha così abolito il suo corso introduttivo di storia dell’arte, accusato di veicolare un “canone Occidentale idealizzato”. A questo si aggiunge il ricatto del «razzismo», della «omofobia», del “complottismo”…

Io sono molto critico nei confronti di questa “utopia svegliata“.

Questa tentazione totalitaria non è più solo appannaggio di minoranze autoproclamate, ma l’espressione di un pensiero comunemente accettato. Dopo il movimento per i diritti civili, le università americane iniziarono un cambiamento ultra-progressista. Da allora, il mondo accademico ha sempre sostenuto queste richieste delle minoranze. Inoltre, mentre l’intera comunità universitaria non condivide, per fortuna, questa visione vittimistica, la paura di essere accusati di razzismo rimane un potente inibitore. Molti insegnanti infatti sono caduti nella trappola del ricatto al razzismo, al sessismo, all’omofobia o altro. Pertanto, si astengono dal formulare ed esternare il loro disaccordo. A lungo termine, queste capitolazioni, hanno spianato la strada a correnti pedagogiche “anti-oppressive”, tanto che i loro rappresentanti, ora abitati da un sentimento di onnipotenza, hanno tutte le licenze per imporre le loro griglie di lettura. In effetti, la cultura oggi sta pagando un prezzo pesante per questo ripensamento del pensiero.

Oltre alla democratizzazione dei «sensitivity readers», questi lettori-censori responsabili della sanificazione della letteratura, un nuovo movimento educativo in voga negli Stati Uniti che propone di rinunciare all’apprendimento di alcuni classici a favore di una letteratura “edificante”. Ma questo non accade solo negli Stati Uniti d’America. In Europa sta’ avanzando “l’onda ripulitrice”. Della letteratura classica deve essere fatta tavola rasa. Nel nostro continente i sensitivity readers vengono sempre più spesso assunti dalle case editrici e consultati da un crescente numero di autori.

Questa corrente, che viene anche chiamata “#Disrupt text “, è stata creata nel 2018 da quattro insegnanti ostili alla trasmissione del patrimonio culturale Occidentale, accusato di perpetuare oppressioni sistemiche, sostenendo un cambio di paradigma: “Dobbiamo riconoscere i modi in cui siamo tutti complici nella perpetuazione dell’oppressione sistemica e quindi responsabili del suo smantellamento”, ha detto una dei co-fondatori del collettivo, Lorena Germán, una educatrice di origine domenico-americana.

Secondo questo collettivo, ciò significa buttare via i resti del vecchio mondo, vale a dire opere che non sono sufficientemente rappresentative della diversità etnoculturale. Un prisma esclusivamente razziale che ha portato Lorena Germon, a ridurre il lavoro di Shakespeare a una “produzione radicata e interiorizzata che esclude altre voci“, come riportato dal giornale online australiano Quillette.

Concludendo, con una sfumatura, che si trattava di “supremazia bianca e colonizzazione“.

Allo stesso modo, nel 2018, il movimento ha manifestato contro il famoso romanzo di Harper Lee, Don’t Shoot the Mockingbird (1960), dopo che è stato premiato quale “America’s Favorite Novel” in un importante concorso televisivo. Il torto di questo vincitore del premio Pulitzer nel 1961? Un “salvatore bianco”, l’avvocato Atticus Finch, che assiste Tom Robinson, un uomo di colore accusato ingiustamente di stupro. Per questi attivisti, l’inclinazione del grande pubblico per tali opere testimonia la persistenza di un inconscio razzista, altrimenti chiamato “fragilità bianca“. In altre parole, i bianchi, per loro stessa natura, sarebbero indenni da situazioni di “stress razziale”. Ciò rende loro difficile identificare e combattere il razzismo sistemico nella società. Secondo il #Disrupt text, è così che dobbiamo interpretare la dilezione naturale di molti studenti americani per “Gatsby il Magnifico”, il romanzo di F. Scott Fitzgerald. E che non si metta in discussione questo postulato.

I “woke” vorrebbero dare contorni di “progresso” alla loro passione purificante di “polizia” della vita intellettuale. Ecco così che, per i promotori di #Disrupt text, i libri scritti prima degli anni ’50 non sono più in linea con i “valori contemporanei” e ci dicono: “dobbiamo cambiare questi soggetti”.

Tutto ciò rivela la pericolosità di questa deriva. Una deriva che spesso si presenta anche in Italia. Così colorando la loro “passione purificatrice” di progresso, i woke raggiungono il loro obiettivo: l’istituzione di una polizia che controlli la vita intellettuale e riduca al silenzio chi non è in linea.

Marco Affatigato

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