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MES, ora la Destra italiana sposi il modello Farage

Le polemiche scatenate dalla decisione di ieri sera di accantonare gli Eurobond e procedere alla possibilità di attivare il MES hanno segnato un solco ormai invalicabile tra la Destra italiana e il Centro-sinistra di Governo in salsa giallorossa. Ma quali possono essere gli sviluppi successivi?

Certo, recuperare in termini di visibilità il gap con Giuseppe Conte, onnipresente da ormai più di un mese sulle televisioni e unicamente intento a replicare a Salvini e Meloni con accuse di “irresponsabilità” e appelli all’unità nazionale, salvo poi non fare un passo indietro per lasciare il posto a un tecnico espressione del Presidente e dell’intero arco politico. Ma il tema della battaglia, l’unico tema che la Destra può cavalcare per riportarsi prepotentemente sulla scena nazionale è l’Europa. Ora c’è un bisogno disperato di dire che gli europeisti hanno fallito, ma non tanto nel progetto che di per sé era ambizioso e per certi versi ha anche prodotto vantaggi, quanto nella capacità di ottenere risultati concreti.

Conte, Gualtieri, Di Maio e Gentiloni hanno raccontato a tutti gli italiani che si stesse ormai facendo un braccio di ferro per portare a casa la partita degli Eurobond, la realtà è che l’Italia in tutto questo non ha recitato la parte di Popeye, ma piuttosto quella di Olivia, dimostrandosi ancora una volta un’Unione forte e rigida verso l’interno, debole e inefficace verso l’esterno.

Adesso è il momento storico adatto per chiedere una rivoluzione, nei toni e nei contenuti: basta a questa retorica dell’Europa solidale contro gli Stati nazionali brutti e cattivi, basta con questa finta pace tra i popoli che poi festeggiano o insultano chi stabilisce una cosa diversa da quanto sperato. Serve adesso un cambio radicale di rotta, un’Europa basata sulla forza del proprio mercato, sulla straordinaria forza del proprio retaggio produttivo e culturale, sull’unicità del Vecchio Continente.

Come attuare questa rivoluzione? Attraverso un cambio di strategia comunicativa: le vecchie battaglie del Basta €uro o quella attuale dell’ItalExit sul modello Brexit sono deboli, i dubbi su una possibile Italia fuori dall’Unione Europea o – peggio – dalla moneta unica ora sono moltissimi, alla luce della più pesante recessione che sta arrivando su di noi come un treno mentre l’Italia è legata mani e piedi alle rotaie.

Bisogna articolare la rivoluzione in due fasi: la fase uno in cui bisogna imitare Nigel Farage, la fase due in cui imitare Boris Johnson. Un po’ quello che fece la Lega tra il 1992 e il 1994, con la “Lega di lotta” finché si dovevano abbattere la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista Italiano e la “Lega di Governo” una volta ottenuto il potere con Forza Italia e Alleanza Nazionale.

Serve ora qualcuno che ci ricordi la supremazia del nostro Paese, che faccia presente quali siano i rischi che l’Europa correrebbe se noi la abbandonassimo, cosa accadrebbe se lasciassimo un’Unione in balìa della crisi migratoria, potendo noi chiudere i porti e i confini a nostro piacimento, cosa significherebbe un nuovo addio di uno dei più grandi paesi europei, dopo quello subìto neanche troppo tempo fa con l’addio del Regno Unito.

Una vecchia campagna dell’UKIP, “Believe in Britain”. Oggi la Destra dovrebbe dire “Crediamo nell’Italia”

Bisogna che la Destra ricordi che cosa perderebbe l’Europa, nascondendo temporaneamente che cosa perderebbe l’Italia. Ma non bisogna urlare “secessione” senza fare alcuna proposta, perché altrimenti la polemica sulla liretta e sull’Italia che scompare dai tavoli internazionali soffocherebbe qualsiasi afflato di libertà.

La proposta da portare all’Europa sotto minaccia di un’uscita deve essere articolata in due punti, entrambi portati da Nigel Farage nello storico scontro faccia a faccia in Parlamento europeo contro Herman Van Rompuy: il primo punto è l’elezione diretta del Presidente dell’Unione Europea, il secondo punto è l’istituzione di un meccanismo per cui uno Stato dell’Unione non possa decidere la politica economica di un altro Stato.

In due differenti sedute del 2010 e del 2011, Farage espone brillantemente questi due punti: “Ci è stato detto che quando avremmo avuto un Presidente, avremmo visto una figura gigante e globale, l’uomo che sarebbe stato il leader di 500 milioni di persone, che ci avrebbe rappresentato sulla scena mondiale. Ebbene, la domanda che vorrei porre al Presidente della Commissione europea Van Rompuy è: ‘Chi è lei?’. Nessuno in Europa ha mai sentito parlare di lei, chi ha votato per lei? E quale meccanismo hanno i popoli d’Europa per rimuoverla? È questa la democrazia europea” disse, sostenendo de facto un nuovo metodo elettorale.

Lo storico scontro tra Farage e Van Rompuy

Ancora più rigido sul fallimento della politica economica europea: “Ascoltiamo discorsi tediosi e tecnocratici per continuare a negare, a dispetto di ogni considerazione obiettiva, come l’euro sia un fallimento. E la cosa peggiore è che nessuno di voi è responsabile perché nessuno di voi è stato eletto e non ha una legittimità democratica per i ruoli di cui siete attualmente incaricati. In questo vuoto politico è entrate, senza riluttanza, Angela Merkel e la Germania. Ora viviamo in un’Europa dominata dalla Germania, qualcosa a cui il progetto europeo avrebbe dovuto prevenire. Io non voglio vivere in un’Europa dominata dalla Germania e non lo vogliono i cittadini europei. Van Rompuy, un uomo non eletto, si è recato in Italia dicendo: ‘L’Italia ha bisogno di riforme, non di elezioni’. Cosa, in nome di Dio, le dà il diritto di dire questo al popolo italiano?“.

Da questi due punti, dunque, bisogna partire per riscrivere la geopolitica europea: serve una solida alleanza tra euroscettici e conservatori, serve l’appoggio dei popolari più tendenti a una Destra di governo, come ad esempio Sebastian Kurz. Servono anche quei liberali che hanno compreso, con questa triste vicenda del Coronavirus e del fallimento di qualsiasi tipo di trattativa, che di liberale e liberista, in quest’Europa, non c’è nulla. Se anche Macron è arrivato a polemizzare con la Merkel, evidentemente il clima per il primo vero Governo europeo di Destra è favorevole.

Bisogna adesso sventolare la minaccia dell’ItalExit chiedendo senza alcuna condizione la democrazia nell’elezione delle alte cariche europee e la libertà nelle decisioni economiche, ricalcando il “Whatever it takes” di draghiana memoria che tanto piace a molti europeisti. Visto poi che Giuseppe Conte si paragona – a sproposito – a Winston Churchill, non si capisce perché i leader della Destra italiana non possano paragonarsi a un Farage qualsiasi.

Una volta ottenuto questo, una volta spinta la folla a prepararsi a un combattimento che non dovrà avvenire, lì bisognerà passare alla fase Johnson: una Destra europea di Governo, una Destra europea che si proponga come potenza economica, politica e commerciale verso l’esterno, che diventi la vera Terza Via tra Stati Uniti e Cina. Ora c’è bisogno dell’eroe popolare, l’uomo – o perché no, la donna – che poteva dedicarsi a ben altro nella vita e invece ha preso le armi per difendere la libertà economica di un Paese che da sempre fa sacrifici per un’Unione che quasi mai l’ha ricompensata.

Meno foto istituzionali, più attaccamento alle abitudini popolari. Una birra per soddisfare la “sete di cambiamento”

Tornerà il tempo dei gessati e delle cravatte blu, dei salotti e delle stanze del potere: adesso bisogna parlare al popolo, a chi sta perdendo tutto e a chi non ha una speranza per il futuro. Questo è il momento di fare la rivoluzione, poi si potrà scrivere la nuova Costituzione, basata sui popoli e su quella democrazia che è un patrimonio culturale della Grecia e dell’Italia. E non bisogna mai dimenticarselo.

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