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La lenta caduta di Angela Merkel

La Lenta Caduta Di Angela Merkel

Le presidenziali francesi apparivano l’unico appuntamento elettorale del 2017 capace di destabilizzare l’eurozona: nessuna sorpresa, invece, era attesa dalle elezioni federali tedesche dove, grazie al sistema proporzionale, la riconferma di Angela Merkel alla cancelleria era data per scontata. Il crollo della SPD ed il timore degli altri partiti di andare incontro ad un destino analogo hanno però vanificato i tentativi di formare una nuova coalizione di governo. Il ritorno alle urne è probabile e la CDU, questa volta, correrebbe senza Angela Merkel. La caduta dell’ultima “paladina del mondo liberale” imprime nuovo slancio alla disgregazione dell’Unione Europea.

La caduta di Angela Merkel imprime lo slancio finale all’euro-dissoluzione

Le aspettative “rivoluzionarie” riposte nel 2017 erano alte: le simultanee elezioni politiche nei Paesi chiave dell’Unione Europea, Francia e Germania, lasciavano prospettare grandi sconvolgimenti qualora “l’onda populista” avesse sfondato in almeno uno dei due. Le precarie condizioni economiche, le forti tensioni sociali soffocate con la classica strategia della tensione, l’artificiale promozione di un leader, Emmanuel Macron, agli antipodi rispetto agli umori popolari, suggerivano che la svolta sarebbe arrivata dalla Francia, tanto più che il sistema elettorale, un doppio turno con ballottaggio tra i due candidati più votati, offriva buone chance di vittoria alla “populista” Marine Le Pen. Sconfitta Marine Le Pen, l’attenzione si è quindi progressivamente spostata alle elezioni italiane del 2018, considerate l’unica incognita per il fantomatico rilancio del processo di integrazione europea.

Pochi colpi di scena si aspettavano dalla Germania, dove le solide prestazioni economiche (rispetto agli altri membri della UE), il provvidenziale blocco della “via balcanica” (primavera 2016) e l’accomodante sistema proporzionale ponevano le basi per la nascita, senza difficoltà, del quarto governo Merkel. Era improbabile che il voto tedesco del 24 settembre producesse scossoni sull’establishment politico tedesco tali da decretare la fine di Angela Merkel: noi stessi, a distanza di pochi giorni dal voto, avevamo evidenziato come l’indebolimento della cancelleria e lo spostamento generalizzato della Germania “a destra” aumentassero ulteriormente le criticità in seno all’Unione Europea, ma non avevamo contemplato la sua caduta, considerata anche la volontà, a Berlino come a Bruxelles, di non introdurre ulteriore instabilità nella già precaria Unione Europea.

Il logoramento di Angela Merkel si è sviluppato in sordina, sfociando in un’aperta crisi politica soltanto a distanza di due mesi dal voto: non è stata, quella della cancelliera, una caduta rumorosa e fulminea, il giorno dopo le elezioni. È stata una caduta a rallentatore, ma non per questo meno rovinosa per gli equilibri europei.

Uscito dalle elezioni un Bundestag incapace di esprimere un chiaro esecutivo, il 18 ottobre sono partite le consultazioni per formare la cosiddetta “coalizione Giamaica” (CDU-CSU, Verdi e Liberali): un mese di negoziati non è stato sufficiente per conciliare i diversi partiti e, ultimatum dopo ultimatum, si è infine arrivati alla rottura del 19 novembre. I liberali hanno rifiutato la linea in materia di immigrazione emersa durante in negoziati, piombando così la Germania nella più grave crisi istituzionale del dopoguerra: le possibilità che Angela Merkel sopravviva all’incidente sono ormai minime.

Qualcuno ipotizza un governo di minoranza presieduto dalla Merkel (e sono in molti, a Bruxelles e nei circoli liberal, che tifano per questa soluzione), ma lo scenario più realistico è un rapido ritorno alle urne, dove la CDU, già indebolita dalla peggiore prestazione elettorale degli ultimi 70 anni, sarebbe obbligata a sbarazzarsi di Angela Merkel, scelta/imposta come presidente del partito nel lontano 2000 (a discapito di Wolfgang Schäuble, neutralizzato con la “Tangentopoli tedesca”).

L ragione del fallimento dei negoziati va cercata nel sistema di potere adottato da Angela Merkel, lo stesso sistema di potere che lascia la CDU senza un delfino pronto a raccogliere la sua eredità: Angela Merkel, il cui unico obiettivo è stato sin dai primi anni ‘90 la conquista e la conservazione della Cancelleria Federale, ha sempre sfruttato, svuotato e, infine, abbandonato qualsiasi alleato. Consumatone uno, ne cercava un altro, assicurandosi soltanto di rimanere al centro della scena politica, così da essere il capo di questa o quella coalizione e rimanere al Bundeskanzleramt (con grande soddisfazione dei suoi padrini atlantici). Il gioco è andato avanti per dodici anni, fino a rompersi con l’indebolimento politico della cancelliera sull’onda dell’emergenza migratoria.

Angela Merkel inizia la sua carriera da cancelliera nel 2005, a capo di una Grande Coalizione coi verdi. La SPD, alle elezioni del 2009, ne esce a pezzi: la cancelliera, di conseguenza, forma il nuovo governo con i liberali. Alle successive elezioni del 2013, crollano i liberali e la Merkel riallaccia i rapporti con i socialisti della SPD, ridotti nuovamente a semplice satellite della cancelliera. Trascorrono quattro anni e, nel 2017, la Germania torna al voto: la SPD registra il peggiore risultato di sempre (20%), inducendo la cancelliera a cercare un’intesa con i precedenti alleati liberali, cui deve sommare anche i Verdi per sopperire al salasso di voti subito dalla CDU-CSU (dal 41% al 32%). Ora, è interesse dei liberali essere spremuti e gettati via come nel 2009, soltanto per garantire ad Angela Merkel altri quattro anni alla cancelleria? Decisamente no e ciò spiega la volontà generalizzata dei partiti (SPD, FDP, AdF) di tornare al voto il prima possibile: tutti vogliono evitare l’ennesimo abbraccio mortale della cancelliera, la cui immagine, oltretutto, è ormai indissolubilmente compromessa dalla crisi migratoria del 2015.

Assumendo quindi che il destino di Angela Merkel sia ormai segnato, quali previsioni si possono formulare per la Germania e l’Unione Europea? Bisogna, innanzitutto, ricordare chi è e quali interessi rappresenta la cancelliera, definita dal New York Times “the Liberal West’s Last Defender1”, l’ultima paladina dell’ordine liberale.

Angela Merkel è, in virtù del primato economico della Germania, il politico che ha chiesto ed ottenuto il coinvolgimento del Fondo Monetario Internazionale nei “salvataggi europei”, che ha favorito il saccheggio dell’europeriferia da parte della finanza internazionale, che ha avvallato il golpe italiano del 2011, che ha imposto le sanzioni contro la Russia al resto dell’Europa, che ha incentivato la politica migratoria di George Soros, che ha sinora garantitol’integrità dell’eurozona nel bene e nel male, che ha raccolto la guida dell’ordine mondiale “liberale” dopo l’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump (surriscaldamento climatico, difesa della globalizzazione, etc. etc.).

L’uscita di scena di Angela Merkel avrebbe profonde e traumatiche conseguenze per l’Europa e l’Unione Europea. La Germania si prepara, una volta liberatasi dalla tutela di Angela Merkel, a spostarsi ulteriormente “a destra”: non si intende soltanto un travaso di voti verso i falchi della CDU-CSO o Alternativa per la Germania, ma anche un diverso approccio di Berlino negli affari esteri. Senza Merkel alla cancelleria federale, la Germania sarà più nazionalista e “continentale”, meno liberale e atlantica. Parallelamente, l’uscita di scena di Angela Merkel complica ulteriormente i progetti di integrazione franco-tedeschi, già indeboliti dal rapido sfaldamento della presidenza Macron, ed accelera le spinte centrifughe nel resto dell’Europa. Senza Angela Merkel alla testa dell’Europa, chi lotterà contro la svolta a destra di Polonia e Ungheria in materia di immigrazione? Chi scongiurerà una Grexit? Chi, soprattutto, ricatterà/blandirà l’Italia per evitare una sua uscita dall’euro nel 2018?

Il tramonto di Angela Merkel risolleva le sorti del 2017 e getta le basi per un 2018 esplosivo: il governatore della Banca Centrale Europa, Mario Draghi, è ormai il solo, vero, ostacolo alla dissoluzione dell’euro.

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