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Non iscrivete i vostri figli a rugby: potrebbero crescere determinati e forti

Mens sana in corpore sano” recita la locuzione latina contenuta nelle Satire di Decimo Giunio Giovenale, poeta romano a cavallo tra il I e il II secolo d.C. Un’espressione che racchiude a pieno la filosofia classica di armonia tra corpo e anima, secondo cui la sublimazione dell’essere umano viene raggiunta dal perfetto equilibrio tra studio e sport.

E settembre è il mese per eccellenza di questi due grandi elementi di rilevante importanza nella formazione dei più piccoli, con l’inizio dell’anno scolastico e l’iscrizione ad associazioni sportive. In questo fatidico mese i genitori non danno fondo al portafogli solo al fine di rifornire i loro pargoli di tutto il materiale didattico di cui necessiteranno per il resto dell’anno, ma vanno a caccia di quella disciplina sportiva che impegnerà i loro figli nei mesi (se non anni) a venire. Chi per passione, chi per valvola di sfogo, chi per distrazione dagli studi, è tradizione iscrivere a settembre i propri piccoli a Sport che li accompagneranno nella loro crescita in concomitanza agli studi scolastici.

In Italia a farla da padrone è ovviamente il calcio, lo sport più amato dagli italiani: nella sua semplicità, il calcio offre da generazioni un’opportunità ai più giovani, insegnando loro il gioco di squadra e il rispetto dell’avversario – seppur quest’ultimo elemento pare talvolta venire a mancare. Tuttavia il calcio presenta anche numerosi limiti, tra cui il fatto che sia adatto a una sola “categoria fisica” di ragazzi e ragazze, in particolare soggetti non troppo robusti e scattanti con un’apprezzata capacità di resistenza generale.

Tuttavia c’è uno sport che supera questi grossi limiti, uno sport purtroppo spesso non preso in considerazione dai genitori per la sua natura leggermente più “violenta” rispetto alla norma, ossia il rugby. Uno sport che insegna nel profondo l’importanza del gioco di squadra attraverso una strutturata e ben definita suddivisione dei ruoli, e proprio in seno di questa delineata suddivisione apre le porte a differenziate tipologie di “fisici” – dai più magri e scattanti ai più robusti e forti, da chi sa correre a chi sa placare.

Uno sport che unisce sia i compagni di squadra nel raggiungimento della meta e della vittoria sia gli avversari, trasmettendo valori come il rispetto reciproco senza mai cedere all’istinto. Infatti una grande lezione che si può apprendere sul campo da questo sport è che se ci abbandona alle emozioni negative, come ira o delusione, la partita è persa. Per conquistare la vittoria bisogna combattere contro i propri demoni interiori che suggeriscono, magari in un particolare impeto di rabbia, di accantonare il gioco e concentrarsi sul “segare le gambe” all’avversario. Per vincere bisogna mantenere la propria lucidità mentale, non perdere di vista l’obiettivo e non abbandonare i compagni di squadra per un capriccio personale.

Altro importante insegnamento di questo sport è di non avere paura del contatto fisico, di reagire e soprattutto di non mentire: chi si getta a terra simulando un fallo ricevuto non ne guadagna nulla, se non il disprezzo dei propri compagni di squadra per aver interrotto l’azione e la derisione degli avversari. L’arbitro non fischierà mai in favore di certe sceneggiate, perché il rugby insegna ad avere carattere, a lottare con le unghie e con i denti per ottenere quella “sporca” meta senza ricorrere a laidi mezzucci. Determinazione correttezza sono le parole d’ordine in questo sport, un valore troppo spesso dimenticato.

In sostanza, il rugby non è uno sport in cui “l’importante è partecipare“, ma una disciplina che insegna il valore della conquista e della vittoria nel rispetto delle regole e degli avversari in condizioni di estremo sforzo fisico e mentale.

di Giuseppe Comper

[Photocredit: Radio Deejay]

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