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Il lavoro che cambia. Giornata dedicata al rapporto tra “Scienza, Tecnologia e Lavoro”

Il “lavoro che cambia“, questo il tema introdotto dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Giuliano Poletti il 22 giugno a Palazzo Rospigliosi. Una giornata dedicata al rapporto tra “Scienza, Tecnologia e Lavoro”, sul futuro scenario legato alla trasformazione del lavoro, alla diffusione dell’automazione e alla digitalizzazione. I temi approfonditi in quattro tavoli tematici sono dedicati al Lavoro, formazione, competenze; il progetto “Crescere in digitale”; Organizzazione del lavoro, nuovi processi produttivi, politiche attive; focus sulle piattaforme e Gig economy. Una giornata che anticipa i temi in occasione del centenario dell’Organizzazione Internazionale del LavoroILO e del G7 Lavoro – che quest’anno si terrà a Torino dal 30 settembre al 1 ottobre. Nel corso dell’evento, il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti, consegna la stesura del documento di sintesi ad ILO in vista del documento definitivo del centenario. Cesare Damiano, Presidente della Commissione della Camera, definisce l’attuale rivoluzione del lavoro unica che spostandosi verso il digitale e la robotica, porterà modifiche non indolori sull’occupazione e compito dei sindacati, delle imprese, del Governo, e dei Ministeri è per trovare un filo comune che intrecci il lavoro intelligente con l’alternanza scuola-lavoro.

Il lavoro che cambia nel mondo e consegna del contributo italiano all’iniziativa dell’ILO

Giuliano Poletti Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, consegna la reflection paper sul Lavoro Che Cambia, a Guy Ryder Direttore Generale ILO in occasione del centenario dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro. I cambiamenti sul lavoro sono globali, commenta Poletti, ma il paese deve affrontarli in un contesto europeo. L‘Italia ha intrapreso un dialogo con l’Europa sul pilastro sociale ma occorre lavorare sulla dimensione sociale dell’Europa, correlare l’economia reale ai parametri economici di bilancio, alla spesa e agli investimenti. Il primo investimento da cancellare dal fiscal compact è quello sulla conoscenza. Se il Governo italiano riesce a connettere le politiche economiche agli investimenti e al pilastro sociale, allora avrà costruito l’Europa dei lavoratori e l’Europa dei cittadini. Altro tema da affrontare in sede europea è quello della disuguaglianza di genere. Storicamente il nostro paese ha tassi di occupazione più bassi rispetto l’UE, questo dipende da una occupazione femminile scarsa per competere con il resto dell’Europa. Va ripensato l’impianto del welfare perché l’attuale è tagliato su un lavoratore standard, mentre occorre uno strumento mobile, uno stock di diritti e di tutele individuali che segua le dinamiche della vita dell’individuo per contrastare il dumping sociale ed economico e tutelare il nostro paese dai diversi regolamenti adottati dai paesi europei.

Lavoro, Formazione e Competenze

Per Stefano Sacchi Presidente INAPP, Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche ex Isfol, occorre una buona capacità di analisi. Capire quali sono le professioni che “tirano” rispetto a quelle che hanno scarsa domanda sul mercato a seguito dei processi di automazione del digitale, e capire su quali competenze andare ad investire. Il riordino del sistema dell’istruzione, nel breve-medio periodo può dare esiti positivi. L’alternanza scuola-lavoro coinvolge 1 milione e mezzo di ragazzi e una riforma moderna va riscritta tenendo conto del coinvolgimento delle imprese ad alta e media tecnologia. Per quanto riguarda il sistema duale, nato tra nel 2015-2016 con la Conferenza Stato-Regioni, vede la partecipazione di 15 regioni che hanno avviato percorsi di formazione per 21 mila studenti, di cui il 50% in Lombardia e il 25% in Sicilia. Complessivamente il 90% dei giovani è coinvolto nel programma di alternanza scuola-lavoro o in forme di impresa simulata. Un elemento non trascurabile è quello delle competenze che non deve coinvolgere solo i lavoratori ma anche gli imprenditori, ponendo attenzione al tessuto produttivo delle piccole e medie imprese per evitare una polarizzazione delle imprese di grandi dimensioni.

Cristina Grieco, Coordinatrice Assessori Regionali al lavoro, ritiene sia unanime l’impegno delle regioni ad andare avanti su questo percorso. Nonostante i diversi modelli produttivi, è possibile aumentare il numero dei ragazzi nei percorsi di formazione, e le regioni, hanno un ruolo decisivo nella programmazione degli strumenti dall’alternanza scuola-lavoro fino alla creazione di una rete di apprendimento permanente che impegna tutta la vita lavorativa dell’individuo. Con la Legge 107 (legge sulla buona scuola) è cambiata la dignità dei percorsi scolastici, infatti entrano oggi nei curricula degli studenti. Esistono però delle criticità che investono tutte le regioni, ad esempio quello di abbassare il livello di diffidenza che le imprese hanno nei confronti dello strumento dell’apprendistato di 1 e 3 livello e per questo si confida nel sostegno delle associazioni datoriali. Secondo Riccardo Giovani di Rete Imprese Italia, l’Italia è in linea con il Piano Nazionale Impresa 4.0. Il paese, continua Giovani, percorre una via tutta italiana per agganciare la quarta rivoluzione industriale dal momento che non si può prescindere dalle opportunità del saper fare italiano. La densità culturale dei prodotti, le specializzazioni, la cultura del territorio, e il turismo di qualità, sono peculiarità che non possono essere standardizzate ma vanno incentivate. Il 99% delle micro imprese occupano il 50% dei lavoratori con un totale di 11 milioni di occupati. Il tessuto micro imprenditoriale è a pieno titolo inserito nella quarta rivoluzione industriale e questo pezzo di impresa costituisce un driver importante per la ricchezza del paese. I trend mondiali vanno verso la ricerca e la personalizzazione del prodotto, e, l’innovazione tecnologica offre alla micro-impresa opportunità di aprirsi ai mercati globali, a costi bassi a fronte di un prodotto di elevata qualità. L’Industria 4.0 impatta sull’organizzazione del lavoro e su specifici contratti collettivi incidendo sul tema delle competenze dei lavoratori e degli imprenditori con la richiesta di impiego di figure professionali ibride.

Filippo Contino, Responsabile delle Relazioni industriali di Enel, parla di una consolidata esperienza dello strumento dell’apprendistato sperimentato già dal 2014, dove l’85% del personale proviene da aree tecniche. Da più di venti anni Enel forma giovani per colmare un gap dovuto alle richieste delle aziende soprattutto nelle soft-skills (lavorare in team, comunicazione, problem solving, proattività e assunzione di responsabilità). Nel 2014, in assenza di un quadro legislativo regolamentato, Enel ha adottato strumenti di alternanza scuola-lavoro, avviando un progetto in 7 regioni italiane con 145 ragazzi, ispirato al sistema duale tedesco, ma calato nella realtà italiana con l’aiuto dei sindacali e 7 regioni d’Italia. Insieme al Ministero della Pubblica Istruzione sono state individuate le scuole per la sperimentazione, che consiste in una settimana di formazione prima dell’inizio dell’anno scolastico. Il progetto prevede attività di laboratorio in azienda, avvalendosi di 500 tutor interni in grado di trasferire competenze ai giovani. A conclusione dell’anno scolastico i ragazzi che hanno partecipato al full immersion di 9 settimane sono stati assunti con contratti ad hoc e successivamente impiegati a tempo indeterminato. Un dato da segnalare è sono ancora poche le ragazze che scelgono percorsi tecnici o studi universitari con profili ingegneristici.

Il Presidente di Unioncamere Ivan Lo Bello parla di un sistema scolastico puro, non più percorribile che non coinvolge solo la formazione ma l’economia globale. Occorre individuare le competenze del futuro, le competenze digitali ma soprattutto sradicare la mentalità che l’attuale sistema culturale non risponde alle necessità di un mercato del lavoro che cambia. L’Italia ha grande capacità tecnologica ma non ha colto questo aspetto cumulando ritardi nei confronti dell’Europa. Unioncamere e Confindustria stanno offrendo un contributo nel programma dell’Agenda Digitale, ma solo il 4% dei giovani under 29 anni pratica un tirocinio in azienda. Per ridurre il gap scuola-lavoro, Unioncamere è impegnata nell’orientamento che inizia dalla scuola media e che rappresenta un volano per ridurre la disoccupazione.

Il Ministro dell’Istruzione e della Ricerca Scientifica Valeria Fedeli sottolinea che il tema della digitalizzazione è centrale ma occorre partire da un diritto soggettivo, un diritto che investe i lavoratori, dalla formazione fino ad una istruzione permanente. La digitalizzazione, la vera quarta rivoluzione industriale, non ha le caratteristiche delle precedenti innovazioni. Siamo di fronte ad un cambio di paradigma, nel modo di produrre, di pensare, di istruirsi, di consumare e vivere. È necessario cambiare le modalità con cui si approccia al sistema educativo che abbraccia tutti i soggetti dall’impresa agli attori sociali. Il fatto che al G7 di Torino saranno riuniti Ministero del lavoro, Ministro della Pubblica Istruzione, Ministro dello Sviluppo economico, significa che il sistema paese ha di fronte scelte importanti da prendere. La Ministra si sofferma su un punto cruciale, quello di non confondere i fattori abilitanti educativi, percorsi di formazione alternanza scuola-lavoro, lauree professionalizzanti, con strumenti differenti ad esempio gli ITS, scuole ad alta specializzazione tecnologica, nate per rispondere alla domanda delle imprese ad elevate competenze tecniche e tecnologiche. L’Alternanza scuola-lavoro è un fenomeno strutturale, entrerà negli esami di stato nell’anno scolastico 2018-2019 portando con sé una innovazione didattica in linea al mondo della cultura e del lavoro, generando nuovi skills e nuove competenze. L’innovazione formativa si pone l’obiettivo di incentivare l’occupazione femminile aumentando i percorsi STEM e come utilizzare lo strumento dell’apprendistato di 1 e 3 livello. Per puntare alla crescita del paese occorre lavorare insieme ai sindacati e proporre rapporti contrattuali diversi per un lavoro che cambia. La digitalizzazione, conclude la Fedeli, pone delle responsabilità sui contenuti, sulla cultura e sulla qualità di un apprendimento, una progettazione che obbliga la scuola, il mondo del lavoro e le imprese ad avere una visione qualitativamente allargata.

Diego Ciulli, Pubblic Polity Manager Google presenta il progetto Garanzia Giovani che conta diversi fattori di successo nel crescere in digitale. Un progetto win win rivolto a 1 milione di Neet, ragazzi sotto i 30 anni non impegnati in corsi di formazione e non occupati, reclutati sul web e avviati ad un tirocinio presso una azienda tradizionale offrendo un approccio di lavoro differente. Il successo del progetto Garanzia Giovani è la multidimensionalità, la partnership con Unioncamere e soggetti privati e istituzionali. Il nostro paese utilizza solo il 10% del potenziale digitale, dovuto al fatto che non ci sono sul mercato del lavoro competenze digitali tra lavoratori e imprenditori. Google accettando questa sfida a livello internazionale si è impegnata ad incidere sulla disoccupazione giovanile puntando sui ragazzi NETTs come digitalizzatori dell’economia nelle piccole e medie imprese. Attraverso la piattaforma clik lavoro, fondata da Unioncamere e Fondazione Tagliacarne, si invitano i ragazzi a partecipare al programma Crescere in Digitale, un corso di formazione gratuito online di 50 ore con 250 video tutorial a sostegno delle PMI. Il corso articolato in 120 laboratori territoriali è in grado di connettere aziende e giovani per ricercare le competenze che servono sul mercato. Google facilita questo matching attraverso 3000 tirocini rimborsati da Garanzia Giovani, gestiti da una community di esperti che assistono i ragazzi fino alla conclusione del percorso di formazione e le CCIAA che facilitano l’incontro tra la domanda e l’offerta di competenze digitali. Il progetto lanciato nel 2015, ha raggiunto 100.000 NEETs e a giugno 2017 il 36% dei ragazzi, hanno firmato un contratto di lavoro di cui il 20% è a tempo indeterminato.

Condivisione della responsabilità nel lavoro che cambia: la partecipazione dei lavoratori all’impresa

Per Anna Maria Furlan Segretaria Generale CISL, parlare di lavoro significa riconoscerne il valore sociale, un valore indissolubile della persona. La quarta rivoluzione industriale deve affrontare in tempi brevi i temi del cambiamento del lavoro e la modifica della composizione demografica della popolazione. La prima urgenza è immaginare una rivoluzione industriale inclusiva nel lavoro che investa tutti i settori delle imprese e dia risposte in termini di competitività a tutte le generazioni del lavoro. Le relazioni industriali e la contrattazione collettiva possono facilitare questo processo di trasformazione sollecitando la politica a investire sia nel pubblico che nel privato. La transizione va affrontata con strumenti specifici: fondi contrattuali e fondi bilaterali per rispondere ad 1 milione di lavoratori. È necessario allargare la base del rapporto tra impresa, lavoratori e scuola con la detassazione di secondo livello prendendo a campione il modello tedesco. Utilizzare i fondi contrattuali e i fondi assicurativi che valgono oltre 200 miliardi. Solo il 3% di queste risorse viene investito ma potrebbe essere utilizzato dai lavoratori nella partecipazione azionaria dell’impresa modificando l’attuale sistema fiscale.

Mauro Lusetti Co-Presidente Alleanza delle Cooperative parla di una difficoltà oggettiva nel creare un modello di partecipazione nelle medie e piccole imprese. Queste imprese hanno necessità di una solida continuità aziendale senza contare il fenomeno dei worker buy-out. Imprese che vengono recuperate dal fallimento e costituendosi in cooperative si riappropriano delle loro attività. Un fenomeno che interessa oltre 300 imprese e 15.000 lavoratori. La caratteristica che distingue gli worker buy-out è nella natura finanziaria, nell’efficienza aziendale e nella crescita della persona. Un futuro che vede la crescita di nuovi mestieri e professioni non convenzionali (caporalato, dumping contrattuale), è fondamentale rinsaldare il sentimento di consapevolezza dei diritti dei lavoratori. L’innovazione tecnologica va gestita, e il processo Industria 4.0 va accompagnato con percorsi di riqualificazione e alfabetizzazione digitale delle persone escluse dai processi produttivi aziendali.

Marina Calderone Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro (CUP) parla di un percorso positivo intrapreso dal Governo che guarda all’economia e al lavoro professionale in un’ottica diversa. Il welfare aziendale non può essere confinato alle sole dimensioni aziendali ma deve tenere conto delle specificità dei lavoratori. I lavoratori devono poter decidere sull’attività dell’impresa spesso formata da piccole realtà ma altamente qualificate. Partecipazione al lavoro significa considerare politiche di welfare aziendale intese come sostegno all’invecchiamento attivo e per lavoro dignitoso è urgente ridefinite condizioni di lavoro stimolanti in grado di abbracciare un patto generazionale che includa giovani nel mercato del lavoro. Individuare percorsi unificanti, e strumenti alternativi alle politiche tradizionali per predisporre un nuovo pilastro pensionistico. L’Italia deve modificare la propria visione d’impresa dove ancora prevale il binomio conflitto-contratto. L’impresa, in qualità di infrastruttura sociale, è un valore per la comunità, un concetto da coltivare, una ricchezza che il paese deve evitare di frammentare ma unire.

Organizzazione del lavoro, nuovi processi produttivi, politiche attive

Per Giovanni Brugnoli, Vicepresidente per il Capitale Umano Confindustria, vi è la necessità di formare costantemente i lavoratori nell’impresa in una Industria 4.0 che è cambiata rispetto a dieci anni fa. Per quanto riguarda le politiche attive, l’accordo siglato con i sindacati a settembre 2016 cerca di mantenere nella formazione un ruolo centrale per il ricollocamento e la costanza all’interno delle imprese. Il progetto Industria 4.0 non deve essere una parentesi temporanea ma una costante nei prossimi anni. Maurizio Del Conte, Presidente Anpal, paragona il lavoro attuale a una linea circolare che va governata nelle diverse fasi di transizione. Occorre operare un monitoraggio sui bisogni delle imprese e lavorare sui territori per creare questa circolarità attraverso misure concrete, pensando che le fasi di transizione sono un arricchimento, un salto di qualità nel lavoro. Poi ci sono le azioni di sistema che consentono di connettere il mondo delle imprese alle scuole per sviluppare elementi sinergici e costruire moltiplicatori di efficienza. L’Agenzia Nazionale Anpal è un punto di riferimento sul territorio nazionale in grado di accompagnare questo processo di trasformazione culturale anche nelle aree più difficili del paese.

Per Carlo Calenda, Ministro dello Sviluppo Economico, l’innovazione tecnologica e l’internazionalizzazione sono fenomeni positivi ma vanno governati. La segmentazione richiede una strategia, una domanda interna strutturalmente stabile per intercettare la domanda internazionale e spiegarla agli italiani in un’ottica di lungo periodo più credibile. Agganciare la domanda interna attraverso la produttività con politiche volte a massimizzare i benefici dell’attuale transizione tecnologica, aiuta le imprese ad investire con maggiore tranquillità. La contrattazione deve avvicinarsi all’impresa per aumentare gli stipendi dei lavoratori e la politica deve inserirsi in un quadro organico tenendo conto delle trasformazioni demografiche, dei flussi migratori, delle condizioni di sicurezza del lavoro legate ai nuovi processi produttivi, della formazione giovanile e femminile e dei bisogni dei lavoratori anziani. A settembre nel G7 industria, partirà la seconda cabina di regia Industria 4.0 che sarà interamente dedicata al tema del lavoro, che avrà come focus la revisione del pilastro fiscale e finanziario e il pilastro delle competenze.

Il lavoro dignitoso e le nuove tutele

Susanna Camusso, Segretaria Generale CGIL, parla di un cambio di visione nella lettura del concetto di lavoro dignitoso. Passare da una Repubblica fondata sul lavoro a una fondata sui “lavoretti” è di straordinaria attualità. I lavoretti sono diventati nel tempo fonte di profitto e di diseguaglianza di lavori poveri. Il lavoro si sta polarizzando in maniera anomala, perché siamo in presenza di lavoro qualificato che assume caratteristiche ottocentesche, gratuito, tale da non permette una vita dignitosa. Non può esserci una gara al massimo ribasso e l’unica cosa è rimettere al centro la dignità dell’individuo che lavora, contare su una condizione di diritto, e non di subalternità all’idea dell’innovazione. Ripartire dai diritti delle persone significa proporre degli standard minimi di tutela che mettano in sicurezza i lavoratori e la Carta dei Diritti va in questo senso. Per evitare che la tecnologia e l’innovazione producano polarizzazioni, bisogna mettere al centro la persona. Regolamentare il lavoro invisibile e considerare questi lavori legittimi a tutti gli effetti. Anche l’agricoltura vive una stagione di cambiamento per effetto delle tecnologie digitali, a dirlo è Roberto Moncalvo Presidente Coldiretti. Il settore ha saputo controllare il fenomeno della flessibilità entro un piano contrattuale di tutela dei lavoratori da un punto di vista sociale, e la legge sul caporalato va in questa direzione. L’innovazione del comparto riguarda l’agricoltura multifunzionale, ma margini di miglioramento sono possibili sulla contrattazione aziendale, sulla gestione del mondo delle cooperative semplificandone le procedure burocratiche senza dimenticare che il settore rappresenta la seconda forza trainante del paese con il 17% di PIL.

Massimo De Felice, Presidente Inail, approfondisce il tema della sicurezza e della prevenzione dei rischi negli infortuni e la tecnologia incide su due versanti. Da una parte si affacciano nuove situazioni di rischio ad esempio la comparsa di nuovi materiali nei processi produttivi, dall’altra aumentano le capacità di prevenzione. È necessario implementare la ricerca per prevenire i rischi indotti dall’innovazione con la formazione e l’informazione sui pericoli che i lavoratori corrono sui luoghi di lavoro e affermare l’idea che la prevenzione non è un costo ma è un investimento.

Il ruolo del Inps è duplice secondo il Direttore del Centro Studi Massimo Antichi. Molte cose sono state fatte ma poco sul fronte delle politiche attive che rappresentano il 2% del bilancio dello Stato contro il 4% della Danimarca. Con il cambiamento demografico è necessario intervenire sulle politiche di invecchiamento attivo favorendo il pensionamento parziale, investire nei settori difficilmente aggredibili dalla rivoluzione digitale, e nei servizi di assistenza agli anziani incentivando le associazioni di volontariato a sostegno di tali servizi. Molto c’è ancora da fare sulla classe di mezzo e per questo è auspicabile una riforma degli ammortizzatori sociali per evitare il rischio d’esclusione sociale.  

Focus su piattaforme e gig economy

Il concetto di lavoro nella gig economy è relativo. Chi lavora sulle piattaforme o nella gig economy non sempre rispetta orari standard, spesso lavora di notte. Il luogo di lavoro non è fisso, non è necessario essere in azienda, si può scegliere liberamente il luogo più consono all’attività che si svolge. Con la gig economy cambiano le modalità di lavoro, le relazioni si intrecciano sulla rete e spesso non si conosce il datore di lavoro. Ci sono persone che per scelta decidono di lavorare nel digitale e chi invece per necessità sono costrette perché non trovano altro (imbianchini, dog sister, baby sitter, etc.). Il web tende a livellare verso il basso il valore del lavoro prodotto anche se la professionalità è alta. Un mercato non regolamentato, sul versante delle tutele, del welfare, i tempi di lavoro e pensione. Chi opera nella gig economy è un lavoratore invisibile, sfugge dal sistema tradizionale, e si pone come intermediario tra la domanda e offerta di lavoro sfruttando la prestazione del lavoratore a vantaggio dell’intermediario. Occorre quindi creare regole certe e riconoscimenti che rendano visibile il mondo della gig economy senza snaturalo.

Cristina Montagni


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