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I cristiani evangelici finanziano l'Aliya

Circa  un  terzo  della  migrazione  degli  ebrei  della  diaspora  verso  Israele (Aliya)  viene  sovvenzionato  dagli evangelici statunitensi. 




Gli Evangelici facendo così vogliono affrettare l'avvento del Regno di Dio.

I Cristiani Evangelici americani finanziano ormai circa un terzo della migrazione degli ebrei della diaspora verso Israele. 

Su 28 mila ebrei che hanno compiuto nel 2018 l’Aliya, ovvero l’ascesa-ritorno alla "terra  promessa",  almeno 8.500 hanno goduto dei fondi raccolti ufficialmente da organizzazioni cristiane divenute partner dell’Agenzia ebraica, nell’obiettivo di ricondurre gli "esuli" nella patria israeliana. 

Le offerte non coprono solo le spese di viaggio, ma anche, e soprattutto, quelle di inserimento nella nuova società, con sussidi sociali e aiuti per la costruzione di nuove case. 

Le due principali sigle di Cristiani evangelici impegnate per la causa ebraica sono l’International Fellowship of Christian and Jews (Ifcj) e l’International Christian Embassy of Jerusalem.

Le somme stanziate sono ragguardevoli: la Ifcj ha riferito all’Associated Press di aver donato dal 2014 ad oggi 20 milioni di dollari per l’Aliya; e 188 milioni di dollari all’Agenzia ebraica nei due decenni  precedenti. 

A ciò va aggiunto un impegno finanziario analogo della Christian Embassy, oltre a contributi anonimi.  


"Dopo duemila anni di persecuzioni ed oppressione, oggi ci sono cristiani che aiutano concretamente gli  ebrei. Questa è una cosa straordinaria", osserva compiaciuto il presidente dell’International Fellowship, il rabbino Yechiel Eckstein, membro anche del consiglio di amministrazione dell’Agenzia ebraica.

Gli evangelici, che rappresentano il settore in più rapida crescita del cristianesimo mondiale e dominano ormai la famiglia protestante, vedono nel moderno Stato ebraico e nel suo dominio sulla Palestina la  condizione per il realizzarsi delle profezie bibliche e per il trionfo finale del Regno di Dio. 

L’alleanza tra cristiani evangelici e sionisti ha radici profonde nella storia: fu un evangelico, lord Shaftesbury, un aristocratico inglese, a inventare nel 1839 lo slogan che si trasformò nell’idea guida del sionismo: "Gli ebrei, un popolo senza un paese, per un paese senza un popolo", una frase riferita alla Palestina, allora minuscola provincia dell’Impero ottomano, che in realtà aveva una sua sporadica popolazione locale.

Nel 1890, negli Stati Uniti, i cristiani evangelici costituirono una intesa per la creazione di uno Stato ebraico, anche se, sul momento, non si attuò niente di concreto. 

Poi, dopo lunghi decenni di collaborazione sottotraccia, tornarono a presentarsi come i "migliori amici d'Israele" (una definizione fatta propria anche dall’attuale premier Benjamin Netanyahu) a partire dal primo governo del Likud guidato da Menachem Begin nel 1979, il quale ebbe un ruolo chiave nell’Aliya di oltre un milione di ebrei russi, dopo il collasso dell’Unione Sovietica.


Gli evangelici costituiscono anche il 13% di tutti i turisti (tra ebrei, cristiani e musulmani) che visitano ogni anno Israele. 

Un turismo, il loro, che privilegia le festività e i luoghi sacri della tradizione ebraica, portando soldi nelle casse israeliane. 

Questo tipo di turismo religioso qualche volta viene a trovarsi in contrasto con le realtà religiose cristiane locali, come la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, le quali temono per un contrasto più marcato con la realtà islamica del territorio. 

Dall'altra parte, la destra espansionista israeliana ha invece tanti motivi per ringraziare i turisti evangelici: per gli aiuti  finanziari, per aver contribuito al successo di Trump (come presidente degli USA), ardente sostenitore del nazionalismo ebraico e per l’appoggio politico che gli evangelici continuano ad offrire con entusiasmo ad Israele, specie alla luce del dissenso che la politica di Netanyahu invece suscita nella stessa comunità ebraica nord-americana. 



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