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Aldo Moro. Delitto e castigo di un innocente

Aldo Moro, dal rapimento all’omicidio dello statista della Democrazia Cristiana. Moro, il segretario scomodo del partito considerato “pivot” in quegli anni, temuto dalla Germania agli Stati Uniti.

«Siate indipendenti. Non guardate al domani ma al dopo domani» Aldo Moro

Il caso Moro. Una vicenda scritta su circa due milioni di pagine. Pagine, milioni di caratteri messi nero su bianco, frutto di ben otto processi giudiziari, quattro Commissioni su terrorismo e stragi, due Commissioni solo sul caso Aldo Moro, una commissione P2. Di queste due milioni di pagine costituenti fascicoli e verbali,  sono esclusi gli articoli dei giornali ed i libri scritti su Aldo Moro.

16 marzo 1978, agguato in via Fani

Rapimento Aldo Moro-Via Fani-Roma-16-marzo-1978-corpi scorta-uccisi-wikipedia

Esattamente all’incrocio tra via Fani e via Stresa a Roma, verso le 9 circa del mattino, del 16 marzo del 1978 un commando delle Brigate Rosse rapiva Aldo Moro presidente della Democrazia Cristiana assassinando i cinque agenti della sua scorta. L’evento segnerà l’inizio dei 54 giorni del sequestro di Aldo Moro. Il 9 maggio dello stesso anno – 55 giorni dopo – il corpo di Aldo Moro fu ritrovato privo di vita, a bordo di un’auto, parcheggiata in via Caetani.

Agguato Aldo Moro-Vittime-di-via-Fani-scorta-fonte-Wikipedia

 La scorta di Aldo Moro

Uccisi dalle Br per portare via lo statista Aldo Moro. In alto, Oreste Leonardi era un Maresciallo dei Carabinieri di 52 anni.

Il primo in basso, da sinistra: Raffaele Iozzino era un Agente di Polizia di 25 anni; Francesco Zizzi, era un Vice Brigadiere di Polizia e aveva 30 anni; Giulio Rivera era un Agente di Polizia di 25 anni; Domenico Ricci era un Appuntato dei Carabinieri e aveva 42 anni.

16 marzo 1978, la fase politica

Dove stava andando Moro quella mattina, accompagnato dalla sua scorta? Il Parlamento era chiamato per discutere e votare la fiducia di un governo di solidarietà nazionale, per la prima volta dal 1947, appoggiato dal Partito comunista italiano. Per la costituzione di questo nuovo governo Aldo Moro, si sarebbe fortemente impegnato. da “Le lettere di Aldo Moro dalla prigionia alla storia”, a cura di Miche Di Sivo – Direzione Generale per gli Archivi, Archivio di Stato di Roma.

Sul cosiddetto “compromesso storico” tra la Dc ed il Pci di Enrico Berlinguer, del quale si diceva Moro ne era un fautore, le controversie non sono poche. Diversi testi – surrogati da dichiarazioni e scritti del professore di Bari, Aldo Moro e dei sui più stretti collaboratori – direbbero il contrario o quasi. Non un vero e proprio accordo ma il tentativo di «negoziare una tregua armata – non solo metaforicamente – che non il creatore di nuovi equilibri sul punto di realizzarsi», scrive Massimo Mastrogregori nel suo libro “Moro” (Salerno Editrice).

E sul famoso abbraccio tra Dc e Pci pone severi dubbi anche lo scrittore Guido Formigoni, in “Aldo Moro. Lo statista e il suo dramma”(il Mulino). Questi di fatto afferma che il progetto dello statista democristiano, «doveva consolidare il sistema democratico e accompagnare l’evoluzione ideologica e politica del maggior partito di opposizione, senza cedere per principio a logiche strettamente consociative, oppure allo schema berlingueriano del compromesso storico», da un articolo di Paolo Mieli sul Corriere della Sera.

Strage Italicus, 4 agosto 1974

A bordo del treno, quella sera del 4 agosto  del ’74 si sarebbe dovuto trovare l’onorevole Aldo Moro. In effetti Moro sull’Italicus vi salì alla stazione di Roma Termini – doveva raggiungere la sua famiglia a Predazzo per le ferie – ma venne fatto scendere, ore 20.03 – il treno sarebbe partito alle 20.05 – da due agenti dei servizi segreti i quali spiegarono, in quel frangente, che l’onorevole Moro doveva firmare dei documenti importanti.

Quel treno era l’Italicus, oggetto di un attentato terroristico compiuto nella notte del 4 agosto 1974. Venne fatto esplodere mentre transitava nella galleria di San Benedetto Val di Sambro, in provincia di Bologna. Di questa strage la magistratura ha accertato tre fatti importanti: la matrice neofascista – pur non essendoci responsabili fisici. Inoltre, la polvere pirica utilizzata per far esplodere l’Italicus è la stessa utilizzata per la strage di Piazza Fontana, nel 1969, Banca nazionale dell’agricoltura, per la strage di Piazza della Loggia nel 1974 e per la strage alla stazione di Bologna nel 1980. Questa polvere pirica utilizzata è stato accertato dall’inchiesta che non è a disposizione dell’Italia ma di una struttura internazionale di nome “Gladio”

Aldo Moro. Delitto di “abbandono”

Aldo Moro-rapito dalle Brigate Rosse-con il quotidiano Repubblica

Gero Grassi (Pd), è membro della “Commissione d’inchiesta sulla strage di Via Fani e sull’Omicidio di Aldo Moro”. Grassi si è fatto un autentico portavoce delcaso Moro, negli ultimi anni ha girato l’Italia per portare a conoscenza di tutta quanta l’inchiesta, dal rapimento all’uccisione di Aldo Moro. Grassi ha posto in luce tutto quanto sia emerso in questi anni di indagine. Fatti, vicende, aneddoti, misteri, nelle sua lunga esposizione il parlamentare non ha omesso nulla dichiarando fatti e vicende sconvolgenti – tutto quello che è stato scritto in migliaia di pagine dei fascicoli e dei verbali della magistratura e dalle Commissioni parlamentari d’inchiesta.

Alcuni degli innumerevoli segnali, fatti, prove, documenti ignorati 

  • Novembre 1977 a Roma dopo la gambizzazione dell’onorevole Publio Fiori, sulle mura della capitale e sui giornali, appare una scritta «impietosa»: “Oggi Fiori domani Moro” – nessuno interviene, ammonisce l’onorevole Gero Grassi.
  • Febbraio 1982 in seguito i giudici Imposimato e Priore leggono negli archivi dei servizi segreti francesi che questi ultimi «Hanno avvisato gli italiani nel febbraio del 1978 che nel mese di marzo Aldo Moro sarebbe stato rapito. Nei nostri archivi – aggiunge Grassi – tutto questo non c’è».
  • Marzo, 2, 1977 – Ministero della Difesa, Roma, partono 5 passaporti falsi, allegato a questi ultimi un documento. La persona che trasporta questo prezioso materiale è “G71” (un gladiatore), che si imbarca sulla motonave “Jumbo M” dal porto di La Spezia in direzione Beirut. Il contenuto del documento – carta intestata del Ministero della Difesa – allegato ai passaporti falsi “Prendere contatti immediati con i gruppi del terrorismo mediorientale per la liberazione di Aldo Moro”, firma ammiraglio Remo Malusardi, capo della X Divisione SP (che significa Gladio). L’onorevole Moro sarà rapito 14 giorni dopo. Il destinatario del documento – spiega l’onorevole Gero Grassi – è il colonnello, Stefano Giovannone, capo dei servizi segreti italiani a Beirut. Il documento parte, dunque, da La Spezia ed arriva a Beirut, a riceverlo è “G243″, il capitano dei carabinieri Mario Ferrario, che avrebbe dovuto leggere e distruggere il documento “riservatissimo a distruzione immediata“. Ferrario, però, dopo averlo letto non lo distruggerà – tant’è che sarà rinvenuto anni dopo dallo stesso Gero Grassi che ne da testimonianza pubblica. «Il documento originale sarà poi distrutto al Ministero della Difesa dal generale Gian Adelio Maletti, capo dei servizi segreti dopo Gladio», Gero Grassi. Il capitano Ferrario alcuni anni dopo viene trovato morto nel suo bagno – ufficialmente impiccato al portasciugamani ma la perizia medica non avalla il suicidio. I primi ad arrivare sul posto furono gli uomini dei servizi segreti italiani che ripuliscono la stanza di ogni prova – sentendosi in pericolo di vita, il capitano consegna il documento a G71 che glielo aveva consegnato.
  • Segnalazione. Una telefonata all’Ucigos – Ufficio centrale per le investigazioni generali e per le operazioni speciali, noto anche con la sigla Ucigos. Era l’ufficio centrale della Polizia di Stato, istituito negli anni Settanta e successivamente sostituito dalla Direzione centrale della polizia di prevenzione (Dcpp) – preso il Viminale, che comunicava in nomi dei quattro brigatisti, le auto a loro in uso. «Questa segnalazione – spiega Sergio Flamigni, membro della Commissione sul caso Moro – verrà trasmessa alla Digos, organo operativo, con oltre un mese di ritardo». Quando la Digos ebbe modo di verificare la segnalazione «immediatamente individuò uno dei brigatisti, tra l’altro sottoposto a libertà vigilata dalla polizia». Non solo. Sulle tracce del brigatista si individua la tipografia, in via Foa, usata dalle Br per stampare i comunicati stampa di quei 55 giorni di Aldo Moro. Sulle stesse tracce con ogni probabilità – se non fosse passato un mese da quella segnalazione – si sarebbe potuti arrivare ad individuare anche il covo dove era tenuto prigioniero Aldo Moro.

L’Angelus del Paolo VI, 23 aprile

“Di Aldo Moro, ahimè, nessuna altra notizia. Abbiamo trepidato ieri alla scadenza fissata dagli uomini autocostituitisi giudici unilaterali e carnefici”, 23 aprile 1978, Angelus di Papa Paolo VI.

La telefonata delle BR a casa di Aldo Moro

Aldo Moro-alle spalle lo stemma delle Brigate Rosse

Domenica 30 aprile 1978. Squilla il telefono in casa Moro. Dall’altro capo del filo le BR: “.. fatto tutte cose che non servono assolutamente a niente. Noi crediamo, invece, ormai che i giochi siano fatti e abbiamo già preso una decisione. Nelle prossime ore non potremo fare altro che eseguire ciò che abbiano detto nel comunicato numero 8. Quindi crediamo solo questo che sia possibile un intervento di Zaccagnini, immediato e chiarificatore in questo senso ..”.

Cinquantacinque giorni di indagine

Dalla mattina del 16 marzo del ’78 a quella, ancora più funesta, del 9 maggio 1978. L’agguato, la morte di un uomo. Con Aldo Moro è morto lo Stato, tutto. Silenzi, ritardi, omissioni, omertà, errori, orrore. La Commissione parlamentare di inchiesta concluse il suo giudizio con questo severo ammonimento: «La punta più alta dell’attacco terroristico ha coinciso con la punta più bassa del funzionamento dei servizi informativi e di sicurezza».

Sergio Flamigni-parlamentare del Pci

«Le indagini di quei 55 giorni furono contrassegnate da una serie di errori, omissioni, negligenze», ammonisce in tono incalzante l’esponente del Pci, Sergio Flamigni, in una intervista. Flamigni, politico e scrittore. Parlamentare del Partito comunista italiano dal 1968 al 1987. E’ stato, inoltre membro della Commissioni Parlamentari d’inchiesta sul caso del rapimento e sulla morte di Aldo Moro, sulla Loggia P2 e, infine, in Commissione Parlamentare Antimafia.

172mila tra poliziotti e carabinieri sono gli uomini delle forze dell’ordine impiegati in questo arco di tempo che va dal 16 fino 10 maggio del 1976, per rintracciare Aldo Moro. Indagini ad ampio spettro – estese in tutta Italia – ma particolarmente concentrate su Roma. Qui, nella capitale vennero effettuati 6mila posti blocco, 7 mila perquisizioni domiciliari. Furono controllate 167mila persone e 96mila autovetture.

La telefonata delle BR del 9 maggio: Moro è morto

Aldo Moro-il corpo senza vita nella vettura

Br: «E’ lei il professor Franco Tritto?», si accerta la voce del brigatista rosso al telefono che si tratti proprio di Tritto, quest’ultimo è l’assistente di Aldo Moro.

Tritto: «Si, ma io voglio sapere chi parla», risponde il professore Tritto

Br: «Brigate Rosse. Presentiamo le ultime volontà del presidente comunicando alla famiglia dove potrà trovare il corpo dell’onorevole Aldo Moro».

Le parole di Paolo VI

Papa Paolo VI

Aldo Moro. Un uomo buono, mite, saggio, innocente e amico”, 13 maggio 1978, Paolo VI nell’orazione funebre in memoria di Aldo Moro.

(da una puntata di Mixer del 1994, archivio di Beppe Bagdikian).

Le lettere di Aldo Moro dalla prigionia

Nel corso della prigionia, dunque, numerosi furono i comunicati stampa da parte delle Br che chiedevano la liberazione di alcuni “militanti detenuti”, moneta di scambio per liberare il prigioniero Moro. Altrettante furono le lettere dello statista democristiano, scritte per la maggior parte alla sua famiglia e gli appelli – caduti nel vuoto – ai rappresentanti del suo partito affinché si potesse giungere alla sua liberazione. Una libertà giustamente e legittimamente rivendicata ma ingiustamente ed arbitrariamente negata, sottratta, uccisa.

“Rinchiuso dalle Brigate Rosse nella “prigione del popolo“, Aldo Moro scrisse moltissime lettere, indirizzate perlopiù ai familiari e alla dirigenza della Democrazia Cristiana, più precisamente a Benigno Zaccagnini, a Francesco Cossiga, Giulio Andreotti, a Riccardo Misasi e altri; oltre che al capo socialista Bettino Craxi, l’unico esponente di governo che abbia sostenuto la necessità di trattare per salvare la vita di Moro. Le lettere, che degli esami grafologici hanno attribuito come scrittura al politico, sono sicuramente di Moro, anche se ragioni tattiche (ascrivibili alla cosiddetta “linea della fermezza” e alla necessità di chiudere ogni spiraglio alla trattativa) spinsero buona parte dell’allora dirigenza politica (soprattutto DC) ad allinearsi e a metterne in dubbio l’autenticità, a sostenere che non fossero state pensate da Moro o fossero addirittura dettate dalle Brigate Rosse”.  (fonte Wikipedia)

Il memoriale di Moro ritrovato a Milano

In via Monte Nevoso, nella città di Milano, fu ritrovato il corposo memoriale di Aldo Moro. Corposo: cinquantacinque lunghissimi ed interminabili giorni di prigionia, infine, terminati con l’uccisione di un uomo

I misteri tanti, troppi.

L’agguato: quante erano le persone coinvolte oltre le BR. Le foto scattate in via Fani da un residente. Il covo in via Gradoli, quest’ultimo scoperto. Le segnalazioni dei servizi segreti non prese in considerazione tempestivamente.

La storia del rullino fotografico. Un abitante, residente nelle adiacenze dell’agguato, nell’incrocio di via Fani, quella tragica mattina del 16 marzo del ’78, nell’immediatezza della sparatoria ed il sequestro di Aldo Moro riuscì a scattare alcune fotografie pochissimi istanti dopo la fuga del commando brigatista. Foto preziosissime. Ritenute, di fatto, dal giudice molto importanti – spiega il senatore Sergio Flamigni, della Commissione Parlamentare d’inchiesta sul caso Moro – al punto che quando la moglie di questo carrozziere, Gherardo Nucci (che le avrebbe scattate, ndr), portò le foto al giudice, questi tagliò la parte che non gli interessava (fotogrammi relativi al lavoro dell’uomo), trattenendo invece i fotogrammi che riguardavano la scena dell’agguato. Fatto sta – dice Flamigni – che questo rullino fotografico è scomparso”. Chi poteva essere impresso su quei fotogrammi? Forse il volto dell’eventuale infiltrato sulla scena? Un uomo – spiega Gianni Minoli nel corso della puntata di Mixer – è stato sempre smentito dalle BR. Quelle foto resteranno un mistero, uno dei tanti misteri del “caso Moro, come un mistero ancora avvolge quei 54 giorni di indagine, coordinate da un Comitato tecnico-politico operativo, istituito presso il ministero del Viminale e presieduto dall’allora Ministro degli Interni, Francesco Cossiga.

1977, escalation terroristica

Un vero e proprio anno di piombo. E’ a partire da questo anno, il 1977, che segna l’apice dell’escalation terroristica: 2mila attentati, 42 omicidi, 47 ferimenti, 51 sommosse all’interno delle carceri, 559 evasioni.

 Aldo Moro. Un uomo lasciato completamente solo ma probabilmente Aldo Moro solo lo era già tempo. Egli stesso da sempre lungimirante ne aveva già avuto sentore affermando, di fatto, che bisognava avere il coraggio di vivere, di non cedere al pessimismo di essere fedele agli obblighi nel bene della collettività presente e futura. «Oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità; si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso. Si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato con tutte le sue difficoltà».

Un momento storico politico complicato, difficile ma che andava affrontato. Le lunghe ed accorate lettere che Aldo Moro trovò la forza di scrivere – quelle indirizzate agli uomini della Dc ed altre personalità dello Stato e non solo – nei giorni bui della prigionia, ne sono un eclatante esempio. Cinquantacinque giorni che non finiranno mai di pesare sullo Stato italiano.

Aldo-Moro-statista

Aldo Moro è morto ma non le sue idee, il suo pensiero, i suoi ideali e progetti affinché ogni generazione vivesse nel pieno diritto di democrazia. La morte di Moro non va dimenticata, per tale motivo oggi lo ricordiamo con una serie di fatti ed eventi storico-politici.

Non bisogna dimenticare né tacere la verità«La nostra vita comincia a finire il giorno che diventiamo silenziosi sulle cose che contano» Martin Luther King

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