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Occhio: forse Trump ha capito una cosa (13/50)

Forse un giorno – tra mesi, tra anni o chissà, magari anche tra decenni – ricorderemo Questa Settimana come quella in cui Donald Trump capì qualcosa, e cioè come fare davvero il presidente degli Stati Uniti. Che non vuol dire necessariamente fare cose che vi piacciono, o con cui siete d’accordo: ma vuol dire fare cose scelte tra le alternative plausibili a disposizione di un presidente. E così facendo, mettersi nelle condizioni per ottenere qualche vittoria politica, trovare efficacia, risollevare la sua popolarità e darsi qualche possibilità di rielezione in più tra quattro anni.

Come vi avevo raccontato nel podcast di sabato scorso, il bombardamento contro il regime siriano di Bashar al Assad in risposta all’attacco con armi chimiche di Khan Shaykhun era stato già una svolta notevole rispetto alle cose che Trump aveva promesso e promosso in campagna elettorale. Giusto o sbagliato che fosse (diffidate da chi ha opinioni nette e definitive su una cosa così complessa), quel bombardamento gli ha fatto guadagnare elogi da parte di chi fin qui lo aveva sempre e solo criticato, compresi moltissimi americani. Questa settimana sono arrivate altre svolte simili.

In quella che l’esperto giornalista Mike Allen ha definito “Operation Normal”, Trump ha detto che la NATO non è un ente obsoleto (come aveva detto invece non solo in campagna elettorale, ma persino alla fine di marzo); che la Cina non manipola la sua valuta per avvantaggiarsi nel commercio internazionale ed è normale che incontri delle difficoltà nel contenere le follie aggressive della Corea del Nord; che l’esercito statunitense è «incredibile» e «cinque volte migliore di tutti gli altri» (in campagna elettorale diceva che fosse un disastro); che la Russia in Siria ha un effetto destabilizzante e non stabilizzante, e sta come minimo attivamente coprendo le azioni criminali del regime di Assad; che il suo consigliere ideologico Steve Bannon deve fare meglio – lo ha detto ufficialmente, al New York Post – se vuole conservare il suo incarico alla Casa Bianca; che invece del disimpegno sul fronte militare e internazionale sia il caso di percorrere una politica interventista e aggressiva, come nel caso del bombone usato contro lo Stato Islamico in Afghanistan.

Cosa è successo? Molte cose insieme, e nessuna di queste è cominciata questa settimana. Nel podcast della settimana scorsa vi avevo raccontato di come Jared Kushner stesse trovando sempre più influenza e ascolto alla Casa Bianca, per esempio, a spese dell’ala più radicale che fa riferimento a Steve Bannon, e di come la durissima sconfitta subita sulla riforma sanitaria avesse scottato Trump persuadendolo a cercare un altro approccio. Di come, in soldoni, quello Steve Bannon descritto come presidente occulto e grande manovratore, almeno in potenza, si è rivelato essere piuttosto scarso. Quello che abbiamo visto questa settimana è la concretizzazione di questa nuova realtà e di questo nuovo approccio: e fate attenzione a evitare un equivoco importante, non vuol dire che Trump sia diventato più moderato, ma solo più ortodosso.

Ci sono molte forze che hanno spinto e spingono nella direzione della “Operation Normal”.

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