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Agli Amici, tra le braccia di Emanuele Scarello

Una chiacchierata con Emanuele Scarello nel suo ristorante “Agli Amici”. Una bellissima storia, raccontata con il cuore da Manuela.
Di Manuela Morana

Tra le braccia di Emanuele Scarello, chef a doppia stella Michelin del Ristorante Agli Amici di Godia di Udine.

A quattrocchi con tradizioni e innovazione, al cospetto di un artista dalla grande personalità.  E’ il Friuli Venezia Giulia, bellezza! Quattro province, l’Adriatico e il Tagliamento, la Carnia e il Carso e la terra, tanta, tantissima terra.

In un mondo prossimo all’Apocalisse (Remember, remenber, the 21 of December), dove un manipolo di chef mediatici fa da braccio violento della legge e manici di padella 2.0 ridisegnano i confini della creatività, ci sono uomini che fanno la resistenza e che si ergono come totem per garantire l’equilibrio cosmico, incarnando virtù e saggezza la cui origine si perde nella notte dei tempi.

Ne ho incontrato uno, nato nel XX secolo. Uno con gli occhi che lampeggiano, adrenalinico come chi è appena sceso da una fune tesa tra due vette, come il funambolo Michel Petit, l’uomo che nel 1974 ha sfidato la gravità facendo una passeggiata tra le Torri gemelle, regalando alla storia l’immagine di un sogno. Emanuele Scarello ha il nome legato indissolubilmente al Ristorante Agli Amici di Godia (Udine), luogo di tradizione secolare, che ha iniziato a contare le lune nel lontano 1887. Quest’anno sono due le stelle che sua Eminenza la Guida Michelin gli ha conferito. Titolo che in Friuli Venezia Giulia solo il Boschetti di Tricesimo della coppia Dovier-Trentin era riuscito a  conquistare negli anni ‘80 , e che se solo ci pensa, il giovane Scarello classe 1970, gli si inumidiscono gli occhi.

Emanuele – che è stato dal 2009 al 2012 presidente italiano dei  Jeunes restaurateurs d’Europe, network di cuochi e ristoratori dell’alta gastronomia – è appena tornato da Milano. Lo chef che ha raccolto l’eredità di nonni e genitori e fatto del Ristorante Agli Amici un tempio votato alla migliore cucina di terra e di mare, ha sfondato il fronte meneghino (ma non è mica la prima volta) e fatto irruzione al Ristorante Ratanà. Qui con la complicità di Gianluco Fusto e di Identità Golose 2013 ha confezionato una cena che fa onore alla “nuova cucina friulana” (fatevi un’idea del menù).

Vi anticipo che le lumache nel menù non ci sono: “come fai a mangiare una lumaca, come fai a privarla del guscio, a sfrattarla, come?”. Lo sapevate che il cibo-tabù di Emanuele Scarello è una casa, da trasportare col bello e il cattivo tempo, da non calpestare, da preservare? Ora lo sapete. Punto e a capo.

La casa di Emanuele si chiama Agli Amici. Agli Amici è un bar, poi un ristorante a 9 tavoli che paiono un palcoscenico (l’occhio di bue è puntato sul piatto, mi dice Michela, sorella e compagna di sogni e affari e viceversa di Emanuele, discreta come solo le grandi donne), un giardino-salotto da cui osservare inverni ed estati, un gattone che cammina raso muro, un casco di pannocchie e un gelso gigante, che vien voglia di abbracciarlo, memoria tattile della terra friulana, da cui sono emesse le radici degli Scarello. “Forza, unità e passione” è lo slogan inventato su due piedi da Emanuele per esprimere in poche battute la formula vincente di una famiglia che ha fatto dell’eccellenza gastronomica il proprio core business.  Fin dai tempi in cui Agli Amici era l’unica osteria del paese, dove rifocillarsi con un taj e un piatto caldo prima di cominciare a lavorare o riprendere il viaggio.

“Cucina del territorio e di tradizione”. A cinque stelle, aggiungo io, altro che due. “Quella che porta sul piatto un prodotto e la sua storia. Non voglio rifare il Toc’ in Braide. Voglio “fare” il Toc’ in Braide: la riesci a cogliere, questa differenza sostanziale?”. Scarello ha dalla sua una cura straordinaria per la materia prima, che preferisce vicina, la più vicina alla sua cucina, un km “meno di zero” con contadini, allevatori o pescatori. “A 10 anni mia madre mi propinava il kiwi, che arrivava dritto dalla Nuova Zelanda. Che senso aveva allora, che senso ha oggi?” E allora giù di mela, zucca e patata. Tubero mitico, quello di Godia, che Agli Amici si offre come snack, accanto ad un flûte di Champagne, come  entrée vertiginosa, poker d’assi calato alla prima mano, un brivido lungo la schiena destinato a replicarsi ad ogni portata e a durare fino all’ultimo boccone di dessert.

Dalla cucina di Emanuele escono piatti che nati dal cuore puntano al cervello, “piatti rivelatori di una grande personalità” dice la Michelin 2013.  Sì, ma la Guida non racconta che Emanuele Scarello è uno che studia e che crea in grande, che ha viaggiato molto (“Francia, Inghilterra, tanto per cominciare”) e che ad ogni ricetta da quel vigore che la rende indimenticabile, spingendo al massimo l’acceleratore del cromatismo e restringendo, battendo, sfilettando, passando, diluendo, destrutturando, ricomponendo, compattando, e tanto altro ancora.

Dodici anni fa galeotto fu il Millefoglie di filetto e fois gras. Giro di boa del giovane Emanuele, bagliore di geniale intuizione che lo portò ad immaginare l’armonia tra due tessiture e due cotture differenti e che venne riconosciuta con una stella, la prima Michelin. Il colpo di fulmine con le acque aromatiche, armi d’assedio per penetrare la fortezza del sapore, fecero il resto.  “Sai cosa succede quanto tagli un pomodoro? Che ne fai tu dell’acqua che rimane sul tagliere? Ho raccolto quell’acqua con un cucchiaino. L’ho assaggiata. Si è aperto un varco, ho visto il punto di fuga sull’universo aromatico”.

Il tempo stringe, Emanuele deve tornare in cucina. La brigata è già in azione. Un’intera squadra di calcio che si prepara per l’assist (“i miei collaboratori, alcuni poco più che ventenni, alcuni arrivano dal Giappone, tutti bravissimi”), pronta a replicare lo schema che assicura il pallone in rete. “Senza di loro non sarei lo chef che sono”. Emanuele Scarello è uno che cucina col cuore. “Le migliori ricette possibili, non hanno bisogno di altro”.



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