Indivia, perché è un’insalata ambigua? Scopritelo subito leggendo il nostro articolo!
Scritto da Giorgia Fieni
Cosa c’è di ambiguo in un vegetale? Il nome, innanzitutto, visto che sono più frequenti le volte in cui la chiamiamo “invidia” di “indivia”, attribuendole così l’appellativo di un “vizio” che di solito non si manifesta o che lo fa in maniera eclatante. Però, dobbiamo ammetterlo: non ci discostiamo molto dalla realtà, perché tale insalata si comporta allo stesso modo.
Si manifesta quando la presentiamo come contorno. Assieme a succo d’arancia per la sogliola. In pastella di castagna per il cinghialetto fritto al profumo di limone. Con marmellata di agrumi per pettini di mare crudi. Brasata in padella (Csaba dalla Zorza consiglia di coprirla, verso la fine, con un coperchio di carta forno). Quando è il contenitore per un gustoso ripieno: risotto alle mele; topinambur, ceci al prezzemolo e grana; mozzarella affumicata, pinoli e uvetta; melanzana al forno e salsiccia saltata; salmone, acciughe, erba cipollina, crema di formaggio. In crema su una tartina di pane nero al salmone. Sulla pizza. Farcita (mascarpone, pecorino fiore sardo, tuorlo) e gratinata con zucchero di canna. Oppure come in questa fresca ricetta: Capesante con insalata di indivia, mango e chorizo
Non si manifesta (è molto amara, per cui ha bisogno di contrasti) in mezzo agli ingredienti di un’insalatone (anche di cereali o legumi) o di una minestra o di una pizza o di un panino o delle lasagne o delle polpette. In forno, sotto una salsa di gorgonzola e noci o uno strato di emmental (in Belgio però l’indivia, leggermente caramellata, è avvolta nel prosciutto cotto). In cocotte (mescolata a pomodori secchi e olive taggiasche e coperta di pasta sfoglia). In un millefoglie con patate e alici. In torta, con yogurt e brie. Stufata e coperta da salsa tonnata.
Poi, in realtà, l’insalata non si chiama nemmeno indivia: o meglio, ce ne sono diverse varietà (riccia, scarola e belga) e sono tutti appellativi della cicoria di Bruxelles, quindi non sapete nemmeno se potete fidarvi del tutto di lei (e lo conferma un grande chef come Pietro Leemann: Quando cucino e mangio l’indivia, devo farlo di nascosto per non ascoltare i commenti e non dover sostenere le occhiate delle mie donne che la disprezzano con tutto il cuore. Io invece la adoro), pure considerato il fatto che non cresce esposta all’aria e al sole, bensì al buio.
Presente da sempre nelle tavole di tutto il mondo, da quella di Cristoforo da Messisbugo nel 1548 a quella di Gwyneth Paltrow (Di solito ordinavo l’insalata di indivia croccante con salsina alla senape quando cenavo dopo ogni spettacolo alla Donmar Warehouse di Londra) e di Fabrizio Ferrari (immerge i cuori di belga per 10 minuti in olio extravergine di oliva – scaldato in forno a 100°C – e li usa come base per il suo Brighton Cab), essa “nasconde” però anche un segreto, nel suo passato: incrociandosi col radicchio rosso di Treviso ha avuto un discendente, chiamato “radicchio variegato di Castelfranco”. E se non è ambiguità questa…
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