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La malanova in Sicilia

Ricordo mia nonna materna utilizzare spesso la parola “malanova” per indicare una cattiva notizia o una disgrazia accaduta a qualcuno.

In questo periodo, “malanova” sarebbe un termine che si potrebbe adattare frequentemente alle notizie lette sui giornali relativamente ai posti di lavoro persi in Sicilia.
Tutto ciò mentre il nostro Premier dichiara che starebbe lavorando per aprire nuove startup a Napoli e Palermo.
Dell’intervista rilasciata da Matteo Renzi apprezzo, in particolare,
 un’affermazione: “in un mondo globale stare all’estero può non essere una fuga ma un’occasione anche per il territorio d’origine”. Verissimo. Lo stiamo dimostrando ogni giorno!

Il punto, però, che ancora mi sfugge è la strategia che il nostro Governo intende adottare (ove ve ne fosse una).

Secondo il Dizionario Treccani, “Le imprese nella fase di startup sono solitamente, le giovani imprese in fase iniziale presentano un rischio più elevato rispetto a quelle già consolidate sul mercato, rischio che esalta sia le prospettive di guadagno sia la possibilità di perdite. Questo compagnie, in caso di successo, traggono il loro vantaggio dal fatto che, essendo state appena avviate, utilizzano generalmente una limitata quantità di risorse sia umane sia finanziarie.

Quindi, una start-up implica rischio elevato, mortalità elevata ma, soprattutto, richiede un tessuto particolarmente favorevole in cui crescere . Insomma, se parliamo di startup parliamo di aziende deboli che devono crescere e per farlo hanno bisogno di un ambiente adeguato.

A questo punto, da siciliano, se potessi intervistare il nostro intraprendente Premier, mi piacerebbe chiedere quali sono i settori a cui sta pensando, quale è la strategia di innovazione nazionale (ci sono aree più importanti di altre o spariamo nel mucchio?), come selezionerà le start up da localizzare al Sud o da favorire, quali agevolazioni potrà introdurre, quali iniziative pensa di mettere in campo per rendere favorevole l’ambiente (infrastrutture, personale qualificato, connettività, supporto delle imprese esistenti…).
Perchè (forse Matteo Renzi manca da un po’ dalla Sicilia) non abbiamo una rete ferroviaria adeguata, un biglietto aereo da Palermo (o Catania) a Milano costa quanto (o più) di un Londra-New York, non abbiamo la banda larga adeguatamente accessibile, non abbiamo risorse qualificate, non abbiamo aziende strutturate con cui creare il network e con cui spingere la crescita, non abbiamo un’associazione di categoria che riesca ad affrancarsi dalle “relazioni pericolose” di questi anni, non investiamo adeguatamente nella formazione dei giovani e nella cultura della legalità,… insomma, la lista sarebbe veramente lunga.

Mi piacerebbe sapere se Matteo Renzi  sa quello che sta accadendo e si sta prospettando per il futuro. Saperlo permetterebbe di lavorare ad una strategia di medio o lungo periodo, indirizzando gli investimenti, sostenendo chi merita senza disperdere preziose risorse economiche.

Entro il 2020 cinque milioni di posti di lavoro andranno persi, rimpiazzati da robot e macchine intelligenti. È stata questa la notizia più rilanciata dall’ultimo World Economic Forum di Davos che quest’anno ha avuto come tema ufficiale “la quarta rivoluzione industriale” (#4IR).

La ricerca presentata al congresso mondiale si intitola Future Jobs e lo studio è stato introdotto da un lancio ufficiale che recita così: “La quarta rivoluzione industriale, in combinazione con altri cambiamenti socio-economici e demografici, trasformerà i mercati del lavoro nei prossimi cinque anni, portando ad una perdita netta di oltre 5 milioni di posti di lavoro in 15 principali economie sviluppate ed emergenti.” Lo studio non mette in diretta correlazione machine learning e robotica con la perdita di lavoro, ma si parla piuttosto di come le trasformazioni portate anche dalla tecnologia incideranno sul mercato del lavoro, determinando una naturale selezione delle skills più qualificate.

Secondo un’analisi di Gartner – una società multinazionale leader mondiale nella consulenza strategica, ricerca e analisi nel campo dell’information technology – non c’è infatti da preoccuparsi: lo scenario più probabile è che le nuove macchine entreranno nelle aziende come fecero i robot nelle industrie degli anni ’60, migliorando l’efficienza dei processi e aumentando la qualità del lavoro. Insomma, c’è da pensare più che altro che le macchine svolgeranno i compiti più ripetitivi perché non vi è niente che possa sostituire la creatività umana. Come nel caso delle precedenti rivoluzioni industriali, però, le fasce meno qualificate del lavoro subiranno notevoli effetti.

Future Jobs definisce anche un nuovo indice chiamato “skills stability” che misura la tenuta delle competenze che ci rendono indispensabili per determinati mestieri. Su questo tema è chiaro che le cose cambieranno radicalmente e che sarà sempre più necessario aggiornare le competenze in modo da essere un passo più avanti rispetto ai futuri robot lavoratori.

Quindi, capisco che potrei anche risultare un po “camurriusu“, ma, mio caro Matteo, a cosa stai pensando esattamente? Hai presente cosa accadrà nel prossimo futuro? Come riconvertiremo o creeremo competenze in un territorio dove si fatica a trovare persino i semplici programmatori e dove non si investe in formazione qualificata?
Non è che, per caso, abbiamo qualche altro gruppo mondiale in odore di evasione e lo stiamo “convincendo” ad aprire una sede a Palermo per qualche anno? Perchè se così fosse, ci stiamo prendendo in giro e non credo che dopo Fiat, Almaviva e roba del genere, il Sud abbia bisogno di questi giochetti.

Baciamo le mani!

 

 

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