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La forza delle piccole idee per creare il futuro

In siciliano si dice “Tanti picca, fannu assai”, ossia tante piccole cose formano grandi cose. Tante piccole idee fanno innovazione.

Provate a leggere il libro “La Forza delle Piccole Idee – Minifesto per riappropriarci del futuro” di Magnus Lindkvist.

Ve lo dico perchè non è un libro comune sull’innovazione, è un pugno nello stomaco che sovverte la prospettiva sui processi creativi e su come la tecnologia stia cambiando la nostra percezione della realtà. L’autore lo fa citando tanti piccoli casi di grandi cambiamenti e dimostrando come siamo portati a vedere ormai l’innovazione e il nostro futuro in un’unica prospettiva auto referenziante.

Il libro mi piace assai perchè prende le mosse da un preambolo ambientato durante una vacanza. – “vacatio, che vuol dire lasciarsi dietro qualcosa, soffiare via la polvere dall’anima”. Riflessioni veloci che aiutano a lasciarci dietro l’idea che i processi di innovazione nel mondo di oggi debbano solo seguire i grandi trend, quando, in realtà, i momenti di mutazione si determinano nel momento in cui i risultati attesi prendono una piega inaspettata, quando giochiamo, improvvisiamo, sperimentiamo e, soprattutto, falliamo.

La domanda chiave è: è meglio fare un balzo da giganti (quella che oggi chiamiamo disruption) o mille piccoli passi?

La percezione ampiamente diffusa che viene contestata in questo libro è che il futuro sia un cammino tracciato, sia fatto solo da leader visionari, da innovazioni rivoluzionarie, da grandi idee, di volta in volta dirompenti, minacciose o più o meno “big” (il libro recita: “la parola “big” descrive tutto quanto “Big Data”, “Big Brother”, “Big Five”…).

Eppure non è vero, anzi, aggiungerei, non è sempre vero. Pensiamo (o ci hanno fatto credere) che la capacità di innovare sia ormai solo delegata ai governi o alle grandi organizzazioni, con i loro reparti di ricerca e sviluppo. Pensiamo che Apple, Google, Amazon, IBM… siano gli unici soggetti che potranno disegnare il nostro futuro, quando in realtà spesso (molto spesso) ciò che veramente c’è di innovativo e di successo dietro queste tecnologie è frutto del genio di piccole intuizioni, ossia un momento in cui qualcuno è stato capace di scorgere e afferrare al volo un’idea fragile, nascosta, “piccola”, ma tutt’altro che insignificante (cfr. il libro di Mariana Mazzucato – Lo Stato Innovatore).

Il futuro non esiste. In molti casi, il futuro, le innovazioni provengono da persone che semplicemente hanno voglia di sperimentare, di prendersi dei rischi, di fallire o sbagliare e provare ancora. Piccole idee.
Il futuro non esiste perchè non esiste una ricetta per l’innovazione. Il futuro non nasce dai commenti degli esperti, dai report, dagli analisti o dai grandi discorsi dei leader carismatici, ma dall’umiltà, dalla creatività e dalla voglia di andare verso l’ignoto delle persone comuni. Il futuro nasce da piccole idee “selvatiche” che possono sbocciare in qualsiasi contesto o territorio, senza ricette, in ogni momento, dalle persone prive di certezze che meno sarebbero titolate ad averle, ma che sono andate dove gli altri non osano.

Per attivare questi processi è necessario non avere paura del nulla, o meglio è necessario buttare via tutto ciò che si è ottenuto prima, per sgombrare la tavola e iniziare con una mente nuova (approccio spaventoso, se ci pensate, perchè la disperazione, l’insuccesso, l’annullamento ci rende vulnerabili, ma è la vulnerabilità che apre la nostra mente alla creatività, o chiamatela pure arte di arrangiarsi).

L’insuccesso, e in particolare la sua tendenza a far venire meno le nostre convinzioni, apre quell’antiluogo in tutti noi. Il prezzo che paghiamo può essere elevato – alcuni non si riprendono mai dall’insuccesso – ma è un rischio che dobbiamo essere disposti a correre se vogliamo scoprire qualcosa di nuovo al di là dell’orizzonte”.

Siccome però parlare di innovazione è impensabile senza affrontare il tema delle informazioni, la prospettiva interessante contenuta nel libro è quella che riguarda la pericolosa tendenza a mettere al centro le differenze, di classe sociale, di colore, di genere, di estrazione culturale e di esperienza. Tralasciando le cause di questa tendenza (accessibilità alle informazioni. “moon-walking ratio” in aumento, affermazione dei poteri carismatici dei singoli, creazione di gap informativi sempre più profondi tra le classi sociali, sistemi di informazioni auto referenzianti…), è importante il passaggio:

Non dovremmo diventare schiavi delle opinioni altrui in merito al futuro. […] La creatività non dovrebbe essere presa in ostaggio dai sostenitori di grandi idee, perchè ha bisogno di libertà per respirare – la libertà di essere, di pensare e di fare. Una “libertà da…” che viene prima della “libertà di…”. Il noi del futuro è stato disgregato da una mentalità antagonista che viene usata per rafforzare le mega narrazioni”.

Per innovare abbiamo bisogno dell’effetto “pinballing, un neologismo che evoca la pallina del flipper, capace di cambiare costantemente direzione e andare sempre verso qualcosa di nuovo e inaspettato. Tradotto non abbiamo bisogno di fanatismo (il fanatico è colui che non è in grado di cambiare le proprie idee), ma di un approccio mentale aperto e accogliente in cui cambiare idea è flessibilità e non motivo di derisione o conflitto. Abbiamo bisogno di contaminazioni e di informazioni di qualità.

Queste parole spiegano molte tendenze nella nostra società, nel mondo dell’innovazione digitale, dell’informazione e in quello politico attuale. Queste parole però danno anche un indirizzo sulle possibilità del futuro che vengono troppo spesso sacrificate sull’altare della paura.

N.B. Questo post è stato pubblicato in anteprima su EconomyUp. Leggi.

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