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Murritiare e l’incomunicabilità dei nostri giorni

Murritiare”, stuzzicare, provocare, infastidire. Ma quando il “murritiare” viene esasperato con il sezionare e l’interpretare, allora si traduce in “scuncicari“, ossia schernire e infastidire all’estremo. “murritiare” è anche toccare un oggetto ripetutamente, fino all’esasperazione. Per estensione, è possibile “murritiare” anche con la testa, quando ci si accanisce nella dissezione di azioni e parole altrui.

Prendere le parole del nostro interlocutore e dar loro un peso, un contenuto diverso, dopo averle “murritiate” è il limite dell’incomunicabilità.

Non so perchè sia diventato così difficile prendere le parole e le azioni semplicemente per ciò che sono, perchè sia sempre necessario caricarle di un senso che non necessariamente hanno. Chissà perchè non è più possibile ascoltarle “come si respira il profumo delle rose, lasciandole fluire, su note profonde come il miele“. Chissà perchè “non si può staccare ogni sinapsi, senza fare domande, scansando le risposte più brusche” e vivere semplicemente ciò che si riceve, perchè qualcuno ha semplicemente voglia di donare.

Perchè si è deciso che servono le parole dove potrebbero bastare gli sguardi? Perchè si arriva a “murritiare” delle parole e dei gesti fino a farli diventare “chiummi“, pesi che avvelenano l’anima e il cuore.
Perchè dobbiamo raccontarci, interpretare, sezionare, “murritiare” la vita, ma non abbiamo abbastanza voglia per viverla?

Pessoa ha scritto “Due persone dicono reciprocamente “ti amo”, o lo pensano, e ciascuno vuol dire una cosa diversa, una vita diversa, perfino forse un colore diverso o un aroma diverso, nella somma astratta di impressioni che costituisce l’attività dell’anima”.

Esattamente. Impressioni, conclusioni, “murritiamenti” di parole e azioni, sono questi i limiti più grossi che ci poniamo nella relazione con il prossimo. Allora la comunicazione smette di essere semplicemente ciò che diciamo, ma diventa ciò che arriva agli altri e rimane dopo il “murritiare” attorno a ciò che si è detto. Non sempre rimane il meglio, anzi.

Per questo Karl Popper ha scritto “E’ impossibile parlare in modo tale da non essere frainteso”. Aggiungo che ancora di più ciò è vero se il “murritiare” riguarda le parole e i gesti, esasperandoli fino a rendere tutto funzionale alla sola versione che si desidera avvalorare. C’è chi sostiene che con sufficienti dati, ogni teoria possa essere dimostrata. Non lo credo. Credo piuttosto che con sufficienti parole, interpretazioni, “murritiamenti”, qualunque tesi sia sostenibile, qualsiasi sospetto sia alimentabile, qualsiasi comportamento sia accettabile o deprecabile.

Chissà quando e se mai saremo capaci di “rimanere in fondo a un oceano di petali di rose, senza misurare quanto sia profondo, senza cercare altre spiegazioni“.  Chissà quando e se saremo capaci di “osservare le albe discrete al finestrino che sorgono senza avvisare, senza pensare al tramonto“.

Alcuni mesi fa scrissi che forse alcune scelte mi avrebbero spezzato, ma ero anche convinto che non ci sia vergogna ad essere un uomo spezzato, perchè alla fine devi solo raccogliere i pezzi e ricominciare. Ero consapevole di quanto fosse impossibile sottrarsi al dolore della scelta, perchè inevitabilmente rinunci a ciò che non hai scelto. E’ proprio impossibile tale sottrazione anche se ci sembra in certi momenti di non provarne o vogliamo dimostrare agli altri che siamo “duri”.

Scrissi allora che se è vero che domani sarò ciò che oggi ho scelto di essere (parola di James Joyce), spero di avere sempre a fianco persone capaci di scegliere con coraggio, insomma supereroi Dei Nostri Giorni.

Ho dovuto fare le mie scelte, dolorose e complesse, distruggendo alle volte per poter ricostruire, sbattendo porte, sigillando le emozioni piano piano, pur di essere domani ciò che pensavo di aver scelto di essere oggi.

Ho anche avuto il privilegio di osservare due persone. in situazioni molto simili, comportarsi in modo drasticamente diverso: una era un supereroe e l’altra no. L’ho capito tardi, forse avevo bisogno di vedere tutto con i miei occhi, per poter fare definitivamente pace con me stesso e la vita, da gran signora quale è, mi ha sbattuto in faccia la realtà.

Mi è tornata in mente una poesia di Nizar Qabbani, uno dei più famosi poeti arabi contemporanei, che avevo letto nei mesi scorsi, e in particolare una strofa:

“Viltà non è scegliere,
non esiste terra di mezzo
tra inferno e paradiso”.

C’è chi preferisce costruirsi la terra di mezzo, rimanere per sempre come un fuscello sotto la pioggia, e chi invece sceglie. Scegliere però è anche ponderare, valutare ciò che si ha, rispettarlo e proteggerlo. Scegliere è anche lasciare per un attimo da parte il “murritiare” dei pensieri e delle parole, ascoltare il silenzio e vedere ciò che ci circonda con il cuore, prima che con gli occhi.

Ecco, questi sono i giorni in cui, come ha scritto Sam Shepard, “i finali più autentici sono quelli che vanno verso un altro inizio”.

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