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Solo

La solitudine può portare a forme straordinarie di libertà.” – Fabrizio De Andrè

Questa sera in aereo ho provato a pensare Alle Cose Migliori Che ho fatto.
C’è voluto un attimo.
Quindi, sono passato alle cose buone che ho fatto.
Tranquilli, la lista (come questo post) è breve (o almeno spero).
A pensarci bene, tra le cose migliori che ho fatto c’è di certo l’avere imparato a stare bene da solo.
Da anni, so viaggiare, dormire, cucinare, mangiare, passeggiare, guardare la tv, ascoltare musica, andare al teatro da solo. Ripensandoci, forse, tra le ore più serene che ho vissuto in questi anni la maggior parte delle volte ero solo.
Magari passeggiando al mare o al parco con i miei cani o guidando in autostrada o seduto al tavolo di un ristorante a mangiare un buon piatto di pasta o un piatto di pesce.
Solo. A pensare ai fatti miei. A osservare le persone o le coppie ai tavoli vicini, magari ad ascoltare i loro discorsi, immaginando le loro vite. Più spesso a leggere, tanto per evitare la “mummiata” (termine siculo che normalmente si riferisce agli sguardi indiscreti che gli uomini lanciano alle donne più giovani e attraenti, ma per estensione può applicarsi a questa circostanza).
Alle volte, in queste occasioni, ho pensato al lavoro e fatto progetti che non si sono realizzati o che magari sono diventati realtà. Meno spesso, ho pensato al mio futuro (personale), sognando una vita migliore e più serena, magari una famiglia. Questi progetti per lo più non si sono realizzati. Eppure sono tutte cose che in un modo o nell’altro hanno reso finora piena e sensata la vita.
Tante volte, soprattutto a Londra, ho preso da solo la metropolitana e lì ho osservato i volti, magari ho rubato qualche foto (come quella di questo post), in silenzio o con le cuffie, semplicemente guardando l’umanità attorno a me, le facce degli altri. Ho provato a immaginare le loro gioie, chi li attendeva a casa, le angosce, le storie.
Quando viaggio in treno o in aereo, spesso ho occupato il silenzio scrivendo (come stasera) o guardando fuori dal finestrino un’alba o un tramonto colorare il cielo in modo indescrivibile. Anche qui, alle volte ascoltando la vita dei vicini oppure semplicemente osservando, da solo.
Nessuno ci insegna a stare da soli, non esiste una scuola di solitudine o perlomeno nessuno l’ha mai insegnato a me. L’ho dovuto imparare.
Eppure se lo insegnassero a scuola, ci aiuterebbero a capire in tempo quanto può essere difficile e, alle volte, doloroso il silenzio con sè stessi (se non sei pronto).
Se lo insegnassero a scuola forse sapremmo prima per quale strada avviarci senza sviluppare un senso del possesso verso le cose e le persone che usiamo per riempire la solitudine e il silenzio.
Non fraintendetemi. Non è che non tengo alle persone o agli oggetti che mi ricordano qualcuno o che rendono calda la mia casa. Solo che mi sono addestrato (o almeno ci provo) a non attaccarmi nè agli uni nè agli altri.
Meglio chiarire. Non sono anaffettivo. Provo ad attaccarmi solo quanto è lecito, ricordando sempre che, come la vita, tutto e tutti ci vengono dati in prestito.
In alcuni casi si è fortunati e il prestito è a lungo termine, quindi si tende a dimenticare la natura temporanea del possesso.
In altri invece si impara in fretta a capire che il prestito è a breve termine.
In ogni caso, quando si paga l’ultima rata del prestito (e spesso è veramente dolorosa), alle volte può arrivare il silenzio e bisogna stare soli. Se non sei pronto, il cuore viene messo a dura prova.
Beh, in questi giorni, mi viene comunque di dire grazie alla vita per il silenzio e la solitudine che mi ha regalato.
Credo di dovere dire grazie anche a nome di chi non può più farlo.

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