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L’Altro Me: lettera a me stesso

Era naturale essere depresso, come è naturale che lo sia per chiunque abbia ancora un’idea di quel che la vita potrebbe essere e non è. La depressione diventa un diritto, quando uno si guarda attorno e non vede niente o nessuno che lo ispiri, quando il mondo sembra scivolare via in una gora di ottusità e di grettezza materialista” (Tiziano Terzani)

A me il film “Inside Out” non è piaciuto molto. Ho provato a vederlo un paio di volte e “m’addurmiscivu” (mi sono addormentato, per i continentali). La cosa carina che ricordo però era che Riley (la protagonista) trova faticoso crescere e adattarsi a una nuova vita. Le sue emozioni (gioia, paura, rabbia, disgusto e tristezza) si scontrano su come affrontare la vita, su come crescere.

Io sono cresciuto (forse) e non credo che nella mia testa ci siano tutti questi personaggi (se ci sono, non sono così simpatici e divertenti), ma di sicuro c’è un me razionale e concreto, disciplinato e rispettoso, irascibile ed esigente che divide l’appartamento con l’Altro Me.

Questa è una lettera all’Altro Me. Il me che riesce ad Essere intelligente, brillante ma anche complesso e indisponente. Colui che ha preso il controllo di questi giorni.

L’Altro Me è quello che riesce ad essere ironico, inquieto, alle volte gentile con gli altri e capace di accettare le persone con pregi e difetti, magari provando a giustificare mancanze e ferite. L’Altro Me è poco razionale e, in rarissimi casi, prende il coraggio a due mani e lascia completo spazio alle emozioni, annullando le distanze di sicurezza dal prossimo. Quando l’Altro Me prende il sopravvento è il momento in cui riesco ad essere creativo, entusiasta, a volte sereno e pronto a nuove sfide. Ma, come  ho detto, l’Altro Me, quello non razionale e distaccato, è anche molto complesso.

E’ complesso perchè è quello che si abbandona alla depressione. Ho capito in questi giorni che per molte persone è incomprensibile quale sia la reale ampiezza dell’impatto di una depressione nella vita di chi ne soffre, anche se non in maniera cronica. In questi giorni sto comprendendo che la vita non è mai bianca o nera, che le parole hanno un peso relativo per ciascuno di noi, che deprimersi può anche essere una tana in cui nascondersi per stanchezza o per paura. Allora, da qualche giorno, combatto con le sfumature di grigio (non quelle del film, tranquilli), combatto con la tristezza e il dolore, ricerco in me una forza che non sono certo di avere. Sto imparando una nuova “hard lesson” nella mia vita: sto imparando la pazienza.

Questi sono i giorni in cui inizio a credere che tutti noi stiamo attraversando un nostro privatissimo ponte. A certi punti (per le circostanze della vita stessa) siamo costretti a fermarci, proprio nel bel mezzo del ponte, per accudire paure, tristezze, vergogne, gioie e felicità. Ci sediamo in mezzo al ponte e giochiamo con la nostra anima.

Alcuni giorni fa, l’Altro Me si è fermato, prima ha guardato a lungo giù dal ponte e poi, in qualche modo, si è seduto in sciopero da tutto (lavoro, amici, emozioni…) e non vuole più muoversi. Questo è accaduto non perchè non voglio bene alle persone che me ne vogliono o non mi curo di ciò che ho. No, io voglio bene troppo spesso senza riserve o giudizi, ma la stanchezza e la delusione hanno aperto le porte a l’Altro Me.
L’Altro Me si è seduto in sciopero e ha bloccato in manette quello razionale perchè non sono riuscito a convivere e gestire la tempesta che avevo nella testa e nel cuore e che durava da così tanto.

So che lentamente si vedranno spiragli di luce. Il me “razionale” ogni tanto fa sentire la sua voce. Non intendo dire che sarà facile. Chi mi conosce, forse, a distanza di tempo e come in passato, mi riterrà una persona forte, perchè tornerò a lavorare, metterò un po’ di ordine nella mia vita e rimetterò sotto controllo l’Altro Me.

Essere considerati forti o solidi è un complimento, ma ho una relazione complicata con queste parole, perchè spesso, molto spesso, non mi sento nè forte nè solido. Alle volte mi sono trovato seduto in mezzo al ponte, incapace di alzarmi. Finora ci sono sempre state le ripartenze, ma il peso aumenta.

Qualche giorno fa, nonostante ciò che possa apparire, l’Altro Me ha ucciso una parte della mia anima. Quando qualcuno muore, qualcuno che amiamo, che è parte di noi, siamo costretti a gestire il dolore. E’ stato scritto che il dolore è un amore che non ha più ancore o punti di riferimento. E’ una condizione in cui tutto si concentra sul passato perchè il futuro non può più essere. E quando si pensa a quanto potente riesca ad essere l’amore, quando questo perde la sua casa, i suoi punti di riferimento, le sue ancore, il risultato non può che essere il caos assoluto.

Credo che, a questo punto, l’unica ancora sia l’idea della persona che voglio essere. La forza e la solidità non è qualcosa che si ha dalla nascita, ma è qualcosa che va rafforzata e sviluppata anche per spirito di sopravvivenza. La forza d’animo viene dal sostegno della persona che ci sta accanto, dagli amici, dalle mani tese, dalle cose che amiamo fare, dai no che sappiamo dire, dalla capacità di convivere con i nostri dolori e anche dai punti di riferimento che abbiamo. Alla fine ciò che chiamiamo forza d’animo è, forse, solamente la capacità di vedere veramente il mondo per come è, accettandolo nel bene e nel male, vivendo i momenti per quelli che sono e non nell’aspettativa di qualcosa di più o nel timore di ciò che potrebbe andare male.

Non so se l’Altro Me rilascerà il me “razionale” e quanto durerà lo sciopero, ma sto provando ad allontanarmi dal parapetto del ponte e a fare qualche passo.

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