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Robot, innovazione e il nostro futuro

Penso che molti di voi liquideranno questo post come “fissarie” (traduzione: scemenze, cretinate) o “fantascienza”… forse lo è, ma non troppo distante. Insomma, non vi sto raccontando roba da nerd o da fissati dell’informatica, nè tantomeno voglio portare “attasso” (traduzione: sfortuna).

Temo che non si sia saputo in Italia, ma durante la ‘lecture‘ del Governatore della Bank of England (quindi non proprio uno qualsiasi) questa settimana, si è parlato prevalentemente di innovazione e di sistemi automatici (robots e roba varia) che avranno impatti non trascurabili sulle economie mondiali e potrebbero contribuire a sottrarre il lavoro agli esseri umani, provocando ulteriore malcontento e rabbia elettorale, che ha già trovato sfogo nelle recenti elezioni in UK, USA e Italia.

“During the last quarter century there have been a series of profound disruptions to the way we work, trade, consume and live. The fall of the Berlin Wall and the reforms initiated by Deng Xiaoping led to the integration of a third of humankind into the global labour force. Those workers are increasingly linked by global supply chains that have spread from goods to services. In parallel, an explosion of technological innovations has brought access, at the click of a virtual button, to the sum of human knowledge to three-and-a-half billion people.” – Mark Carney, Governor of the Bank of England

Nel seguito, lo stesso Governatore ha specificato che: “Ogni rivoluzione tecnologica distrugge posti di lavoro, spesso molto prima di crearne di nuovi“. Trovo questa affermazione quanto mai corretta.

Assunto che nel Regno Unito si parla di robotica in maniera insistente già da mesi (anche sui media sono uscite delle inquietanti serie televisive: una su tutte Humans), si discute animatamente negli ambienti dell’innovazione su quali possano essere le implicazioni etiche e le ricadute occupazionali che inevitabilmente ci saranno.

Il discorso del Governatore ha implicitamente ammesso che il progresso tecnologico possa amplificare la disuguaglianza sociale, ma nello stesso tempo il solo tentativo di arginarlo potrebbe rendere un paese meno competitivo e innovativo, con conseguenze anche peggiori sulla collettività.

Ho già scritto dell’impatto che le nuove tecnologie hanno nelle nostre vite, ma inizio a credere che ciò che si prospetta sia molto più imminente e rilevante di quanto credessi. Mi chiedo quanto l’Italia e in particolare la Sicilia sia pronta a fronteggiare e sfruttare questa rivoluzione, perchè può essere un’occasione per la nostra terra, ma anche il colpo di grazia per le professioni a “minor valore aggiunto”.

Il fatto è che l’aumento esponenziale delle potenze di calcolo e dell’automazione altererà (quando non eliminerà) inevitabilmente alcuni lavori, molto prima di quanto immaginiamo (la prima cosa che mi viene in mente sono il manifatturiero ed i call center, quest’ultima una delle prime fonti di occupazione dei giovani al Sud).

Credo che l’unico fattore che ci permetterà di avere un lavoro in futuro sarà il livello di originalità e creatività che potremo aggiungere e che (almeno nel breve) le macchine non potranno replicare. Quando parlo di creatività intendo la capacità creativa ripetuta e costante, non uno stile creativo che si ripete. I nuovi sistemi basati su intelligenza artificale e “cognitive computing” sono già oggi in grado di identificare patterns e replicarli. Ciò significa che, ad esempio, un giornalista che lancia le notizie “con un suo stile” potrà essere “replicato”, esattamente come tutto ciò che ha dietro dei pattern, dei comportamenti ripetuti e metriche numeriche.

Nei giorni scorsi, dopo aver assistito alla prima intervista ad un robot della CNN, una startup ha presentato al Web Summit,  Sophia, un robot/chatbot (cioè, un software progettato per simulare una conversazione intelligente con esseri umani tramite l’uso della voce o del testo) capace di fornire assistenza ai servizi bancari (ergo attività di call center). Al momento, non è stata adottata solo perché la voce di Sophia risulta un po’ irritante.
Non credo ci vorrà molto a risolvere il problema….

Allora, diventa importante avere un piano formativo per riconvertire le nostre risorse ed educare i nostri figli a fronteggiare questa rivoluzione. Non farlo significa escluderli dal mondo del lavoro e infoltire le fila del malcontento.

Questo è il periodo dell’anno in cui si fanno le previsioni per l’anno nuovo e i successivi. Non sono un guru delle previsioni o un fine analista, ma vedo quello che accade in un osservatorio privilegiato nel mondo dell’innovazione. Temo che assisteremo nel prossimo futuro ad un nuovo progressivo cambio nel nostro modo di concepire il lavoro, in cui magari dovremo insegnare ai nostri robot ad interagire, dovremo educarli e forse impareranno anche a ridere alle battute infelici per compiacere il nostro capo o a raccontare storie divertenti ai nostri figli.

Insomma, non credo che dopo esserci entusiasmati non appena arriveranno i primi dispositivi dotati di intelligenza artificiale nei nostri negozi (basti pensare ad Alexa di Amazon, non ancora disponibile in Italia), potremo poi “rifardiarcela” (l’espressione rifardiàrisi in siciliano significa tirarsi indietro. viene dall’arabo rafarda, ossia rifiutare) perchè non ci conviene.

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