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Messina Denaro “Diabolik”, 30 anni vissuti da latitante

Imprendibile per 30 anni. L’appellativo di “Diabolik” (era il suo fumetto preferito) non gli fu messo a caso, perché riuscì a sfuggire alla cattura per decenni. Dal 1993, quando scomparve nel nulla facendo perdere le proprie tracce. Da quel momento l’avvio delle ricerche in campo internazionale ma senza esito sino al 16 gennaio 2023 quando venne arrestato all’ingresso della clinica “La Maddalena” di Palermo. Come un leone finito in gabbia Matteo Messina Denaro si è dovuto arrendere davanti a un esercito di militari del ROS che lo hanno bloccato facendogli dire nome e cognome per certificare la sua identità.

Nato a Castelvetrano il 24 aprile 1962, Matteo Messina Denaro era figlio di Francesco, detto Ciccio, storico alleato dei corleonesi di Totò Riina, anche lui capomandamento di Castelvetrano. Prima di darsi alla macchia, Messina Denaro junior ha avuto la fama di dongiovanni incallito, auto di lusso, sempre in abiti di ottimo taglio e con Rolex al polso. Uno che amava vivere bene, senza farsi mancare nulla, alla luce del sole. Sino al 1994 quando la sua vita è diventata sommersa, nascosta, da boss latitante. Trent’anni senza farsi prendere ma con la mente da stratega, pronto a camuffare la propria identità. Nei pizzini che si scambiava con Provenzano si firmava Alessio, scriveva lettere e, durante la latitanza ebbe pure una figlia, Lorenza Alagna, cresciuta con la mamma Francesca Alagna a casa dei nonni paterni. Una figlia che non ha mai conosciuto (come confidò in una lettera a un amico agli atti degli inquirenti), sino a qualche mese addietro quando fu proprio Lorenza ad andarlo a trovare in carcere a L’Aquila e lui l’ha riconosciuta come figlia legittima.

Per trent’anni Matteo Messina Denaro è stato un “fantasma”, inseguito da una montagna di mandati di cattura e di condanne all’ergastolo per associazione mafiosa, omicidi, attentati, detenzione e trasporto di esplosivo. Nei più gravi fatti criminali degli ultimi trent’anni, a cominciare dalle stragi del ’92 in cui furono uccisi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, è stata riconosciuta la sua mano. Lui stesso, del resto, si vantava di avere «ucciso tante persone da riempire un cimitero».

Anche a quasi 60 anni e malato Matteo Messina Denaro è rimasto “Diabolik”. Nell’ultimo scorcio di latitanza, messo a nudo ora dai magistrati, viene fuori un uomo che amava la bella vita, quasi sorpreso di essere accusato di far parte di Cosa Nostra. Nel corso del primo interrogatorio in cella, al procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e all’aggiunto Paolo Guido disse che se non fosse stato malato e costretto a ricorrere alle cure della clinica, lo Stato non l’avrebbe mai preso.

Il tumore al colon scoperto a fine 2020, quelle cure affrontate sotto la falsa identità di Andrea Bonafede, la latitanza trascorsa in alcuni covi a Campobello di Mazara (l’ultimo in vicolo San Vito), i giorni col Covid trascorsi a casa della vivandiera Lorena Lanceri, il falso profilo di medico in pensione spacciato tra alcune persone con le quali s’è trovato a giocare a carte. Gli ultimi anni da latitante trascorsi in paese a Campobello di Mazara e non nei casolari di campagna, pronto a sfidare lo Stato. Sino al 16 gennaio 2023 quando i ROS l’hanno arrestato.

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