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Falcone-Borsellino 30 anni dopo, Ingrosso: “Io, nato nel ’92 delle stragi”

Filippo Ingrosso le stragi del ’92 non le ha vissute. Quando la mafia uccise il giudice Giovanni Falcone, la moglie e 3 agenti di scorta, lui era nel grembo di sua madre. Nemmeno 57 giorni dopo, quando in via D’Amelio saltò in aria il giudice Paolo Borsellino e 5 agenti di scorta, lui era nato. Il lieto evento avvenne il 10 agosto di quell’anno, quando i riflettori su quelle due stragi non si erano ancora spenti. «La prima volta che sentii parlare dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, così come della mafia, fu alle scuole elementari», racconta Filippo Ingrosso, originario di Castelvetrano, oggi infermiere presso l’ospedale di Monza.

Quest’anno ricorre il trentennale delle stragi e la Sicilia tornerà a commemorare le vittime. Da più parti l’interrogativo che ci si pone è questo: Cosa è cambiato 30 anni dopo? Filippo Ingrosso, degli anni del dopo stragi ricorda i momenti spensierati della fanciullezza. Gli anni della scuola dell’obbligo e del Liceo Classico a Castelvetrano sono stati poi quelli che gli hanno fatto acquisire la consapevolezza di cosa fosse la mafia. «Nonostante tra i miei coetanei sentivo dire “la mafia è cattiva ma non cattivissima”, io crescendo ho cercato di argomentare contro chi mi parlava degli aspetti seducente della mafia. Basti pensare che la criminalità mafiosa nasce e cresce per reprimere la libertà».

C’è uno spartiacque deciso tra ciò che è giusto e ciò che è ingiusto. E Filippo Ingrosso lo sa. Le stragi del ’92 a lui le racconta la storia delle testimonianze, dei libri, dei film, dei documentari. Innumerevoli per raccontare quello che è successo nel ’92 ma anche tutto ciò che è venuto dopo. Negli anni in cui questo giovane siciliano, originario della città dove è nato il superlatitante Matteo Messina Denaro, è cresciuto: «Penso che la mafia limita il pensiero – racconta Filippo Ingrosso – e oggi si vive spesso ancora il timore che qualcosa non si può fare o non si può dire. La mafia spesso è una questione culturale che frena i tantissimi giovani che hanno voglia di fare, di crescere professionalmente e che, invece, si ritrovano a emigrare».

Lo sa bene Filippo Ingrosso che, dopo gli studi al Liceo di Castelvetrano e la laurea triennale a Palermo, ha scelto di andar via: dapprima nel 2017 a Piacenza e dal 2018 a Monza. «Io sono figlio di quello stato di cose che si vive spesso in Sicilia, dove nulla si fa e niente si lascia fare», racconta. Dalle stragi sono passati 30 anni, gli stessi anni che compirà il 10 agosto Filippo: «Sembrano tanti se visti con gli occhi di un ragazzo improvvisamente diventato grande, ma se vissuti col ricordo di ciò che è stato sembrano fin troppo pochi – dice ancora il giovane infermiere – la consapevolezza, lo sconforto, la speranza, la ribellione, il coraggio, tutto deve continuare a vivere in funzione di un impegno con sè stessi e con la propria terra. Un impegno affinché si abbia sempre la lucidità di saper fare, senza dubbio alcuno, una precisa scelta di campo», conclude Filippo Ingrosso.

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