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Soverato, si è spento Antonio Siciliano

Antonio Siciliano

Si è Spento Antonio Siciliano, funzionario ASP, instancabile operatore e cameraman tv. Con la sua telecamera per più di venti anni ha raccontato la storia della città. Discreto, simpatico, gentile, sempre disponibile, una squisita persona e un amico. Nella nostra mente resteranno sempre scolpite le immagini del nostro territorio che proviamo a raccontarvi attraverso la mediazione delle parole in questo estratto di “Fenomeno Pecci, ovvero gli ammonitori”. In esso viene descritto il lento scorrere delle riprese del paesaggio di Soverato e dintorni. Il paesaggio che Antonio amava. Ciao Antonio, ci mancherai !! f.g.

“… Per solito la telecamera prende abbrivo dall’accesso nord della via detta Panoramica e ascende lenta i suoi dolci tornanti raggiungendo ben presto, alla sua destra, il primo versante orientale del tratto di altura su cui è arrampicato il coacervo di ville più o meno eleganti e opulente, più o meno economiche e popolari, ma tutte munite di orto o di giardino che compongono il principale quartiere residenziale della città: affastellate, costipate una sull’altra o a ridosso l’una dell’altra e separate tra di loro, a
stento, da torti sentieri, straducole precipiti, passaggi angusti e difficili, transiti incerti e perigliosi. Ci è avvenuto a volte, capitati da quelle parti, di ricercare d’istinto nel pozzo ormai caliginoso della nostra mente vecchi e coerenti versi di Eugenio Montale e di ripeterceli con emozione dopo avere rimesso in ordine (chissà se correttamente) i frammenti ritrovati: …. strade e scale che salgono a piramide, fitte di intagli, ragnatele di sasso dove s’aprono oscurità … archivolti tinti di verderame, si svolge a stento il canto delle ombrelle dei pini e indugia affievolito nell’indaco che stilla su anfratti, tagli, spicchi di muraglie … Siamo forse in presenza, con l’agglomerato di cui andiamo discorrendo, di una rivisitazione, in chiave moderna e nostalgica degli antichi borghi che punteggiano qua e là, non lontano dal mare e in faccia ad esso, il culmine o le pendici dell’entroterra collinare calabrese e, se vogliamo, dell’intero arco appenninico italiano. Del prodotto, dunque, d’una sofisticata urbanistica, per così dire, di riporto in cui gli spazi esterni, quelli cioè residuali e stretti tra una fabbrica e l’altra, regolarmente penduli e scoscesi per la natura del terreno, risultano, in aggiunta, coartati e ingombrati e invasi da muri, muraglie, cinte, barriere, protuberanze, aggetti, ramaglie d’ogni sorta. In un analogo agglomerato detto “Cittadella” distante non più di un Km in linea d’aria da quest’ultimo e ricadente nel territorio di Satriano, abbiamo visto una villa che merita attenzione e rilievo. Si tratta di una costruzione vasta e possente tant’è che non manca, al suo interno al piano terra, poco dopo il portone d’ingresso, dell’alloggio per il custode. Un alloggio in tutto simile per dimensione e forma (così ha ritenuto di disegnarlo e realizzarlo il progettista) alle antiche casipole e agli abituri, ormai da tempo inabitati che ancora qua e là residuano, solitamente subalterni e contigui a qualche grosso o pretenzioso palazzo, nei borghi collinari di cui prima si è detto. E come accade per quelli, lo stesso è separato dal corpo principale e per
così dire dominicale dell’edificio, – che pur, come abbiamo detto, lo ingloba – non già a mezzo di un corridoio, ma piuttosto di un angusto e contorto vicolo (”vineria”, in gergo) felicemente realizzato nella forma e nell’aspetto di quelli che a dette casipole corrispondono nel loro vetusto sito. Deve essere, questo gusto del passato, un lascito dell’infanzia che alcuni architetti calabresi si portano struggente nella loro memoria ad ogni ora e che li induce spesso a questo genere di ardue e difficili espressioni. Ma è ora di mettere da parte la lunga e forse inutile digressione che precede e tornare al seguito della telecamera. Che si limita a riprendere soltanto a margine e di sfuggita il quartiere residenziale sul quale a lungo abbiamo indugiato e, piuttosto, spostandosi a sinistra, getta uno sguardo, dall’alto, sul nucleo abitativo men recente, il c.d. centro storico della città: ne segue lentamente il suo breve degradare verso il mare, si sofferma un attimo sull’azzurra distesa di quest’ultimo sulla quale, solitario, un piccolo peschereccio all’ancora beccheggia dolcemente. Raggiunta intanto l’uscita in alto della via Panoramica, si immette, piegando a sinistra, sulla via Verdi e scende lunghessa piuttosto velocemente a valle, sino al passaggio a livello. Non lo attraversa ma tenendosi sulla destra imbocca la via Trento e Trieste e la percorre sino in fondo indugiando appena un attimo a riprendere il complesso edilizio e territoriale della ex stazione delle ferrovie CC.LL. . Raggiunta finalmente la nazionale 106 piega a sinistra e da qui fatto un breve tratto di strada periferica, imbocca il lungo Corso Umberto, lo percorre sino in fondo, quindi piegando a destra prosegue per la via S. Giovanni Bosco, in direzione sud. Subito dopo, in senso contrario risale la parallela via Cristoforo Colombo avendo a manca una fitta sequenza di ristoranti e pizzerie e a dritta un oblungo boschetto di pini e abeti e altra similare vegetazione. Travede la telecamera al di là di quest’ultimo, oltre un varco di tronchi e di labili ramure quel che, ormai da oltre sette anni è diventato l’ex lungomare: una straordinaria isola pedonale adiacente alla spiaggia e contermine al mare, tutta pavimentata a mattoni per effetto
dell’intervenuta congiunzione fra di loro dei due preesistenti marciapiedi laterali mediante la collocazione di detto laterizio sull’asfalto dell’antica carreggiata con il conseguente innalzamento della stessa. Si tratta di un sito di singolare specie e bellezza: affatto simile per struttura, forma, profilo e parabole a un largo viale, e divenuto, invece, d’un tratto, un
enorme belvedere, un elegante e interminabile roof-garden. Queste sono le immagini che solitamente scorrono sul teleschermo di Soverato 1 quando la nota emittente fa spazio, all’interno del suo tg, una volta ogni settimana alla performance del sedicente Adriano Pecci. Sono immagini che abbiamo voluto descrivere nella loro sequenza con pedissequa fedeltà. Per farlo abbiamo impiegato uno sforzo supremo. Ma ci rendiamo conto che i risultati raggiunti sono a dir poco incongrui e, in ogni caso, inadeguati allo splendore, all’evidenza, alla forza e, oseremmo dire all’eloquenza che esse contengono in sé e che possono comunicare al pubblico solo raggiungendolo direttamente dal video e non certo de relato ossia attraverso la mediazione delle parole. (Fenomeno Pecci, ovvero gli ammonitori – di Vincenzo Guarna)



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