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Lidice che non si dimentica … e una poesia – di Maria Palazzo

Foto di Ria Dierikx-de Groot da Pixabay

Quando si va incontro alla Storia, non si finisce mai di imparare.
Il trafiletto che ho sempre trovato sui libri, riguardo alla città di Lidice, ha sempre riportato la dicitura: rasa al suolo, per rappresaglia.
In effetti, l’antica Lidice fu davvero distrutta, per rappresaglia, in seguito all’attentato, avvenuto nell’ambito dell’ Operazione Anthropoid, supportata dagli inglesi, in cui rimase ucciso il generale Reinhard Heydrich, detto il boia, Reichsprotektor di Boemia e Moravia. Boia, non era il suo unico appellativo: la Storia ci riporta che era soprannominato anche Macellaio di Praga, Bestia Bionda, Genio del male di Himmler, Giovane Dio Malvagio della Morte, Uomo dal Cuore di Ferro. Era nato il 7 marzo del 1904 e morì, a soli 38 anni, proprio in seguito all’attentato. I suoi soprannomi spiegano, di gran lunga, perché la Resistenza Nazionale Ceca ne volesse la morte. La Royal Air Force addestrò alcuni paracadutisti cechi, che avevano il compito di eliminare Heydrich e poi unirsi alla Resistenza.
La rappresaglia tedesca fu spietata: la città di Lidice fu rasa al suolo e sul luogo dove sorgeva, venne sparso del sale.
Circa 200 uomini furono subito fucilati, le donne deportate, i bambini deportati nei campi in Polonia e solo pochi di essi selezionati per la germanizzazione (adozione presso famiglie tedesche) si salvarono; il resto della popolazione fu uccisa sul posto. Le case bruciate e fatte esplodere: il filmato di propaganda girato dei tedeschi è proiettato, oggi, nel Museo della Memoria della città.
La piccola Lidice moderna, con le sue villette ordinate, sorge poco distante. Fu ricostruita nel 1949.
Nella valletta che ospitava l’antica città ora vi è un parco intorno a un piccolo lago: al centro il triste, ma splendido Monumento ai Bambini, portato a termine nel 2000, secondo il desiderio dell’ormai defunta artista Marie Uchitytilová, che non aveva potuto realizzarlo prima, per motivi economici.
Ho potuto recarmi a Lidice, avendo partecipato, con la mia scuola, l’ITE “Guarasci-Calabretta”, di Soverato, al progetto IL TRENO DELLA MEMORIA. Con gli alunni e altri quattro colleghi (i profs: Concetta Gallelli, Giovanni Bove, Bruno Furina, Massimo Iiritano) abbiamo visitato i luoghi della memoria, iniziando dal Campo di Terezin, non lontano da Praga, per poi proseguire, dopo aver visto Lidice, verso la Polonia, conclidendo con i campi di Auschwitz e Birkenau.
Un viaggio non semplice, fatto con altri gruppi scolastici, con i quali ci siamo riuniti a Bari, supportati dagli educatori de IL TRENO DELLA MEMORIA, tutto svolto in bus ed in economia, ospitati negli ostelli e condividendo ogni cosa.
Lidice è stata, per me, una tappa dolorosissima. Soprattutto perché la sua vicenda, forse, è fra le meno ricordate nell’Europa dell’Ovest… Il volto dei bimbi del monumento sembravano animarsi, mentre, in silenzio, rivolgevamo loro una preghiera muta. Sembravano sussurrarci mille sogni infranti, mille speranze perdute… Intorno al monumento, tanti piccoli pupazzetti, fiori, giocattoli, segno dell’amore di chi visita quel luogo. I bambini strappati alle loro famiglie. I bambini senza nessuno a difenderli, i bambini lasciati morire nei campi di sterminio…
In quel sacro silenzio, però, ad un tratto, sul sentiero del parco, mentre a testa bassa rivolgevamo tanti pensieri, tante piccole, silenziose preghiere, ecco il trillo di una vocetta felice. Un bimbo rincorreva due cagnetti e poi, con loro, iniziava a rotolarsi giù per la collinetta. La mamma lo osservava compiaciuta, non molto distante.
Quel bimbo, ignaro di tutto, ci riportava alla vita. Con le sue grida felici, con i suoi due cagnetti, uno bianco e uno nero, che gli stavano intorno, come a proteggerlo. La sua mamma stava vicino a un passeggino, dove un altro bimbo (o bimba) più piccolo, riposava.
Un quadretto gioioso in un luogo tristissimo. Una speranza. La vita che non si arrende.
Istintivamente, sui nostri volti, si apre un sorriso. E sembrano sorridere anche i bimbi del monumento: la piccola città rivive, nel loro ricordo.
E’ un segno, di grande significato.
Ora che la vita è risorta, che un bimbo, con la sua famiglia, può ancora ridere, anche in un luogo colmo di dolore, possiamo anche noi far sì che gli orrori del passato non si ripetano mai più e la preghiera diventa più intensa.
Mentre ritorniamo, all’imbrunire, passando per le strade ordinate della nuova Lidice, addobbata ancora a festa, per Natale (lì, nei paesi dell’Est, tolgono tutti gli addobbi natalizi il 2 febbraio), io ho scritto una poesia:

LE TENDINE DI LIDICE
Si accende il primo lume,
a sera,
nelle nuove case
della piccola Lidice.
Cala l’ultimo raggio di sole
sulla memoria dei bimbi,
fusa nel bronzo monumentale,
a valle.
Ogni casa ha
una piccola tenda ricamata
e
un giardinetto silenzioso.
Dietro quelle tendine,
in via 10 giugno 1942,
intravedo,
finalmente,
la vita.
Il sole tramonta.
Il mio pensiero accorato,
va
ai caduti, ai deportati,
ai giovanissimi occhi di ieri,
spenti

Maria Palazzo



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