Get Even More Visitors To Your Blog, Upgrade To A Business Listing >>

Ricetta Madeleine dolcetti francesi soffici a forma di conchiglia

Ah… le Madeleine… (lungo sospiro)… i famosi dolcetti francesi a forma di conchiglia citati da Marcel Proust nella sua opera “Alla ricerca del tempo perduto”. E, a proposito di ricordi e tempo passato, le madeleine nel mio caso hanno una lunga storia… in genere non parlo mai troppo di me e della mia vita ma in questo caso è ciò che conferisce un senso a tutto il post!! Mettevi seduti… allora, questo stampo mi è infatti stato regalato da Manila Vannucci, prof. presso la Facoltà con la quale collaboro (collaboravo? collaborerò? Boh…). Comunque era il 12 gennaio 2011 e mi arriva una mail di Manila (in versione cuciniera, mi scrive!) che mi chiede se ho la ricetta delle Madeleine visto che in giro per la rete se ne trovano diverse… stupita per la fuga di notizie (solo pochi professori sanno della mia doppia vita da foodblogger!) le dico di no, che non ho lo stampo e che so soltanto che il segreto è avere un impasto molto freddo e metterlo nel forno bello caldo in modo che lo shock termico faccia formare le gobbe caratteristiche.

Le scrivo inoltre che chiedo a Laurence, una ragazza del principato di Monaco che mi ha scritto qualche giorno prima e che cucina anche piatti francesi… scrivo a Laurence come promesso… nel frattempo il giorno successivo Manila mi manda una mail il cui testo  “Daniela, li abbiamo! Li ho trovati” indica che ha trovato lo stampo per le madeleine e ne ha preso uno anche per me. Proviamo a metterci d’accordo per la consegna ma… non ci troviamo coi giorni in quella settimana. Intanto le mando la risposta di Laurence e lei realizza le madeleine con successo… solo che poi succedono un po’ di imprevisti che fanno passare la cucina in secondo piano. L’8 marzo mi arriva una mail di Manila che mi dice che, guardando nel ripostiglio,  aveva trovato lo stampo e si era ricordata della mancata consegna! Mi manda inoltre le foto delle sue Madeleine che pubblichiamo su Ricette Condivise insieme alla ricetta.

Nel frattempo Manila si fa male a una caviglia.. la riabilitazione è un po’ lunga ma appena tornata operativa, non trovandoci mai con i giorni, mi lascia lo stampo in ufficio… siamo al 22 giugno! Seguono settimane calde e indaffarate perchè la settimana precedente alla consegna dello stampo io e Fabio abbiamo comprato casa… poi arriva l’estate e non posso nemmeno pensare di accendere il forno… arriva settembre e inizia la ristrutturazione della casa… insomma… alla fine tiro fuori lo stampo e realizzo le Madeleine mercoledì 1° febbraio 2012 approfittando dell’influenza e della nevicata in corso a Firenze! Eccole qua… 1 anno dopo! Ma passiamo alla ricetta… dell’uccellino canterino da cui è trapelata la mia doppia vita ne parlo più avanti!!!

Ingredienti per 15/18 madeleines:

  • 120 gr farina
  • 100 gr burro
  • 2 uova
  • 120 gr di zucchero a velo
  • 1 cucchiaino di miele (opzionale)
  • 5 gr di lievito per dolci
  • aroma di mandorla
  • scorza di limone grattugiata (io ho usato polvere di scorza di arancia)
  • stampo a conchiglia per madeleine o per le più piccole petite madeleine

Ti potrebbe essere utile

Sconto del 4%
MasterClass KCMCHB92 Mini vassoio per madeleine…
(1063)
LIHAO 2pz Stampi per Madeleines in Silicone, 9…
(74)
EMAGEREN – Confezione da 2 stampi in silicone a…
(126)

Preparazione delle madeleine

Pesate il burro

Quindi fatelo sciogliere dolcemente a fuoco basso o nel microonde (funzione scongelamento), aggiungete le gocce di aroma, mescolate e lasciate intiepidire

In un contenitore, unite le uova con lo zucchero a velo (ed il miele, se di gradimento)

con uno sbattitore elettrico lavorate le uova con lo zucchero per circa 5 minuti

fino a quando il composto sarà chiaro e spumoso

Aggiungete, a poco a poco, farina e lievito setacciati insieme

 e continuate a mescolare in modo da amalgamare la farina all’impasto

Aggiungere anche il burro fuso, mescolando fino a quando tutti gli ingredienti saranno ben amalgamati

Infine aggiungete la scorza di limone grattugiata e mescolate… io ho aggiunto invece polvere di arancia… realizzata facendo seccare le bucce di arancia della pianta del mio nonno e poi tritando finemente il tutto… che aroma quando apro quel vasetto!

L’impasto dovrebbe risultare morbido e non troppo liquido. Quindi, copritelo con la pellicola trasparente e mettetelo a riposare in frigorifero per alcune ore, meglio se 12 ore e ma comunque non meno di un’ora

Passato il tempo necessario… tirate fuori lo stampo per le madeleine.. ecco lo stampo regalatomi da Manila, ancora impacchettato nella sua confezione regalo

Altra “casualità” è che lo stampo è stato comprato da Brunetti Liste di nozze di Pistoia che si trova in via A. Frosini (foto sotto!) che per me non è via Attilio Frosini ma Andrea Frosini, altro giovanissimo e simpaticissimo prof. della Facoltà che condivide con me la passione per la cucina (i cantucci della sua mamma sono deliziosi) e che è stato il famoso uccellino canterino (lo dico in modo affettuoso) di cui ho parlato all’inizio!! Casualità? ;-) Forse…

Ma torniamo alla ricetta… imburrate lo stampo

Infarinatelo

Preriscaldate il forno a 220°C, togliete  l’impasto dal frigorifero e distribuitelo nelle conchiglie, riempiendole per circa 2/3

 Quando il forno ha raggiunto la temperatura, infornate e fate cuocere per 4 minuti a 220°C… vedrete l’impasto livellarsi e poi iniziare ad alzarsi centralmente

Quando vedrete formarsi il caratteristico rigonfiamento a cupoletta

Abbassate la temperatura a 180°C, continuando la cottura per circa 4 minuti o comunque fin quando non sono dorate

Fate raffreddare e gustatele… da sole, con un tè, con un infuso.. come preferite!!! Per conservarle ed evitare che induriscano riponete le madeleine in un contenitore con chiusura ermetica. Leggi anche la ricetta delle Madeleines alla lavanda. e la ricetta delle madeleine bicolore.

Io le ho servite sulla bellissima alzatina portadolci Diamantè IVV, accompagnate da un infuso servito con tazza e teiera delle Ceramiche Italo Casini di Sesto Fiorentino (che ormai non esiste più)…

Questo servito delle Caramiche Casini è bellissimo, praticamente introvabile e… con un grande valore affettivo, visto che per me Italo è sempre stato il nonno che non ho mai avuto (il mio nonno paterno che è morto molti anni prima che io nascessi)… già da diversi anni lui mi osserva da lassù e mi piace pensare che un ricordo di lui possa rimanere in rete… intatto e (forse…) incancellabile…

 Forse oggi mi sono dilungata inspiegabilmente molto (troppo!) su di me, sulla mia vita, sui miei affetti, sui miei ricordi, in modo forse un po’ nostalgico… ma forse è l’effetto madeleine!

Per concludere in bellezza questo post, non rimane che citare lo straordinario passo di Marcel Proust in cui, assaporando la madeleine inzuppata nel tè, al protagonista riaffiorano alla mente ricordi d’infanzia, sentimenti, emozioni, figure ed ambienti di allora…

“Già da molti anni di Combray tutto ciò che non era il teatro o il dramma del coricarmi non esisteva più per me, quando in una giornata d’inverno, rientrando a casa, mia madre, vedendomi infreddolito, mi propose di prendere, contrariamente alla mia abitudine, un po’ di tè. Rifiutai dapprima, e poi, non so perché, mutai d’avviso. Ella mandò a prendere una di quelle focacce pienotte e corte chiamate «Petites Madeleines», che paiono aver avuto come stampo la valva scanalata d’una conchiglia di San Giacomo.
Ed ecco, macchinalmente, oppresso dalla giornata grigia e dalla previsione d’un triste domani, portai alle labbra un cucchiaino di tè, in cui avevo inzuppato un pezzo di «madeleine». Ma, nel momento stesso che quel sorso misto a briciole di focaccia toccò il mio palato, trasalii, attento a quanto avveniva in me di straordinario. Un piacere delizioso m’aveva invaso, isolato, senza nozione della sua causa. M’aveva reso indifferenti le vicissitudini della vita, le sue calamità, la sua brevità illusoria, nel modo stesso che agisce l’amore, colmandomi d’un’essenza preziosa: o meglio quest’essenza non era in me. era me stesso. Avevo cessato di sentirmi mediocre, contingente, mortale. Donde m’era potuta venire quella gioia violenta? Sentivo ch’era legata al sapore del tè e della focaccia, ma la sorpassava incommensurabilmente, non doveva essere della stessa natura. Donde veniva? Che significava? Dove afferrarla? 
Bevo un secondo sorso in cui non trovo nulla di più che nel primo, un terzo dal quale ricevo meno che dal secondo. E’ tempo ch’io mi fermi, la virtù della bevanda sembra diminuire. E chiaro che la verità che cerco non è in essa, ma in me. Essa l’ha risvegliata, ma non la conosce, e non può che ripetere indefinitamente, con forza sempre minore, quella stessa testimonianza che io sono incapace d’interpretare e che voglio almeno poterle donare di nuovo e ritrovare a mia disposizione intatta, fra poco, per una spiegazione decisiva. Depongo la tazza e mi rivolgo al mio animo. Tocca a esso trovare la verità. Ma come? Grave incertezza, ogni qualvolta l’animo nostro si sente sorpassato da sé medesimo; quando lui, il ricercatore, è al tempo stesso anche il paese tenebroso dove deve cercare e dove tutto il suo bagaglio non gli servirà a nulla. Cercare? non soltanto: creare. Si trova di fronte a qualcosa che ancora non è, e che esso solo può rendere reale, poi far entrare nella sua luce.
E ricomincio a domandarmi che mai potesse essere quello stato sconosciuto, che non portava con sé alcuna prova logica, ma l’evidenza della sua felicità, della sua realtà dinanzi alla quale ogni altra svaniva. Voglio provarvi a farlo riapparire. Indietreggio col pensiero al momento in cui ho bevuto il primo sorso di tè. Ritrovo lo stesso stato, senza una nuova luce. Chiedo al mio animo ancora uno sforzo, gli chiedo di ricondurmi di nuovo la sensazione che fugge. E perché niente spezzi l’impeto con cui tenterà di riafferrarla, allontano ogni ostacolo, ogni pensiero estraneo, mi difendo l’udito e l’attenzione dai rumori della stanza accanto. Ma, sentendo come l’animo mio si stanchi senza successo, lo costringo a prendersi quella distrazione che gli rifiutavo, a pensare ad altro, a ripigliar vigore prima d’un tentativo supremo. Poi, una seconda volta, gli faccio intorno il vuoto; di nuovo gli metto di fronte il sapore ancora recente di quel primo sorso, e sento in me trasalire qualcosa che si sposta e che vorrebbe alzarsi, qualcosa che si fosse come disancorata, a una grande profondità, non so che sia, ma sale adagio adagio; sento la resistenza, e odo il rumore delle distanze traversate.
Certo, ciò che palpita così in fondo a me dev’essere l’immagine, il ricordo visivo, che, legato a quel sapore, tenta di seguirlo fino a me. Ma si agita in modo troppo confuso; percepisco appena il riflesso neutro in cui si confonde l’inafferrabile turbinio dei colori smossi; ma non so distinguere la forma, né chiederle, come al solo interprete possibile, di tradurmi la testimonianza del suo contemporaneo, del suo inseparabile compagno, il sapore, chiederle di rivelarmi di quale circostanza particolare, di quale epoca del passato si tratti.
Toccherà mai la superficie della mia piena coscienza quel ricordo, l’attimo antico che l’attrazione d’un attimo identico è venuta così di lontano a richiamare, a commuovere, a sollevare nel più profondo di me stesso? Non so. Adesso non sento più nulla, s’è fermato, è ridisceso forse; chi sa se risalirà mai dalle sue tenebre? Debbo ricominciare, chinarmi su di lui dieci volte. E ogni volta la viltà, che ci distoglie da ogni compito difficile, da ogni impresa importante, m’ha consigliato di lasciar stare, di bere il mio tè pensando semplicemente ai miei fastidi di oggi, ai miei desideri di domani, che si possono ripercorrere senza fatica.
E ad un tratto il ricordo m’è apparso. Quel sapore era quello del pezzetto di «madeleine» che la domenica mattina a Combray (giacché quel giorno non uscivo prima della messa), quando andavo a salutarla nella sua camera, la zia Léonie mi offriva dopo averlo bagnato nel suo infuso di tè o di tiglio. 
La vista della focaccia, prima d’assaggiarla, non m’aveva ricordato niente; forse perché, avendone viste spesso, senza mangiarle, sui vassoi dei pasticcieri, la loro immagine aveva lasciato quei giorni di Combray per unirsi ad altri giorni più recenti; forse perché di quei ricordi così a lungo abbandonati fuori della memoria, niente sopravviveva, tutto s’era disgregato; le forme – anche quella della conchiglietta di pasta – così grassamente sensuale sotto la sua veste a pieghe severa e devota – erano abolite, o, sonnacchiose, avevano perduto la forza d’espansione che avrebbe loro permesso di raggiungere la coscienza. Ma, quando niente sussiste d’un passato antico, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, più tenui ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l’odore e il sapore, lungo tempo ancora perdurano, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sopra la rovina di tutto il resto, portando sulla loro stilla quasi impalpabile, senza vacillare, l’immenso edificio del ricordo.
E, appena ebbi riconosciuto il sapore del pezzetto di ” madeleine ” inzuppato nel tiglio che mi dava la zia (pur ignorando sempre e dovendo rimandare a molto più tardi la scoperta della ragione per cui questo ricordo mi rendesse così felice), subito la vecchia casa grigia sulla strada, nella quale era la sua stanza, si adattò come uno scenario di teatro al piccolo padiglione sul giardino, dietro di essa, costruito per i miei genitori (il lato tronco che solo avevo riveduto fin allora); e con la casa la città, la piazza dove mi mandavano prima di colazione, le vie dove andavo in escursione dalla mattina alla sera e con tutti i tempi, le passeggiate che si facevano se il tempo era bello. E come in quel gioco in cui i Giapponesi si divertono a immergere in una scodella di porcellana piena d’acqua dei pezzetti di carta fin allora indistinti che, appena immersi, si distendono, prendono contorno, si colorano, si differenziano, diventano fiori, case, figure umane consistenti e riconoscibili, così ora tutti i fiori del nostro giardino e quelli del parco di Swann, e le ninfee della Vivonne e la buona gente del villaggio e le loro casette e la chiesa e tutta Combray e i suoi dintorni, tutto quello che vien prendendo forma e solidità, è sorto, città e giardini, dalla mia tazza di tè.”

 

The post Ricetta Madeleine dolcetti francesi soffici a forma di conchiglia first appeared on IdeeRicette.


This post first appeared on Ideericette, please read the originial post: here

Share the post

Ricetta Madeleine dolcetti francesi soffici a forma di conchiglia

×

Subscribe to Ideericette

Get updates delivered right to your inbox!

Thank you for your subscription

×