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ZEN E FANTASCIENZA

Il sole probabilmente sta macinando tempeste energetiche, o comunque qualche cosa di strano ci dev’essere, la mia cagnetta è tutto oggi che abbaia, anche al nulla. Rispondo al cellulare, non subito perché la suoneria di X-file ci mette un po’ a farsi sentire, deve crescere e…  – Pronto! Vuoi un articolo, di Fantascienza “che è roba tua” (abbastanza vero) ma anche in estrapolazione con lo zen “tu sei l’esperto” (non esageriamo, comunque grazie). Scrivo del primo e ‘vivo’ nel secondo, ci provo per entrambi. E articolo sia!

Cos’hanno in comune zen e fantascienza? Tutto e niente. Sono entrambi percorsi di ricerca e quindi ‘liberi’ di poter essere tutto e niente, e volendo, di non far perdere tempo in dubbi e discussioni che non hanno nulla a che vedere in relazione a ciò che non interessa, andando per la loro semplicistica direzione. Hanno la capacità di attuarsi entrambe a livello mentale e non essere fisicamente riscontrabili, anche se il ‘crederci’ e la possibilità di realizzarsi (l’una spiritualmente, l’altra fisicamente) le rendono veritiere e quindi accettabilissime. Restiamo quindi in ambito ideologico, applichiamolo a noi stessi, e attraverso queste ‘nostre’ idee possiamo giungere a ‘svestire’ il potere creativo dei nostri pensieri, liberandone il potenziale a cambiare in meglio la nostra esistenza apprendendo a sostentarci di pensieri positivi.

Un appunto sul termine zen, che a voler essere pignoli sarebbe solo la sintesi, riduttiva, recente (però molto meno dell’iperusato new-age), giapponese, per indicare una linea di pensiero spirituale di parecchio più antico (eterna?) e non locabile in un unico ambito e tempo.

Dico zen e penso al passato, dico fantascienza e la accosto al futuro. La coscienza globale che ci accompagna commette un errore (uno dei moltissimi) rimanendo statica su questi clichè. I vimana che sfrecciano nei cieli dell’India (stante i Veda, le Upanishad, il Mahabharata e compagnia bella dei miti Indù) sono veramente passato remoto? Non fantascienza? Lo scorrere del tempo potrebbe benissimo essere come il criceto che cammina nella sua ruota, che ogni pochi passi ritocca lo stesso punto e così prosegue a oltranza. Ovvero il passato potrebbe essere il futuro o il trascorrere del tempo (che non esiste, stando in tematica zen) è solo fotogrammi differenti di un’unica immobile eternità. E al termine ‘fotogrammi’ non riesco a non soffermarmi su un’associazione che esce spontaneamente e non è per nulla fuori luogo: simbologia. Un simbolo, che sia un’immagine o un oggetto collegato a un archetipo, anche in forma di espressione verbale o singola parola o singolo suono (vedi mantra), svolge la mansione di unificare il mondo esteriore (di simbologia materiale ma con un’accezione interiore) in una configurazione percettiva spirituale, assolutamente intuitiva, in uno stato totalmente cosciente. Per questo il simbolo ha il compito intrinseco evocativo verso un avvenimento interiore, e spronato da un orientamento esterno, di unificazione. L’universo della materia fuso con quello dell’anima umana (che è anche emozione, spirito e pensiero). Da qui ci ricolleghiamo al linguaggio, mezzo espressivo abituale che usa parole, ognuno a modo proprio (esempi: scienza più concettuale, religione più simbolico). Le parole sono semplici vettori di comunicazioni utili per risvegliare pensieri e sentimenti, i concetti servono per comunicare idee-concetti, i simboli per manifestare considerazioni-percezioni- sensazioni.

Swami Shivananda disse: “il prâna è la somma di tutte le energie contenute nell’universo”. Il prâna praticamente è un’unica energia, che però si manifesta apparentemente composta di più elementi diversificati su funzionalità diverse. È l’energia indistinta che permea e anima l’intero creato e che si manifesta in ogni luogo e in ogni momento con aspetti sempre discrepanti. Il prâna è pensiero. Scientificamente (o fantascientificamente) il prâna è magnetismo, gravitazione, radiazioni e quant’altro. Noi esistiamo immersi prâna.

Sapete che vi dico? Comincio a credere che non c’è poi tutta questa differenza tra zen e fantascienza, con punti di contatto e similitudini… con qualcosa in comune che comincio a non sapere più che cosa sia effettivamente. In ogni caso possono star bene insieme, letterariamente parlando. Esempi lampanti? Un paio per tutti, a gusto mio: Io, l’Immortale di Roger Zelazny, scritto nel 1966 e il successivo capolavoro datato 1967 Signore della Luce (se li cercate sono usciti ultimamente su Urania collezione). ‘Storia’ della fantascienza (voleva essere una battuta…). Mitico Zelazny. Poggiandosi sulla mitologia induista e sfruttando le massime di pensiero, con un’intuizione fuori del comune. Intuizione… forse una sua facoltà mentale talmente sviluppata da essere in grado di fargli percepire realmente un significato di dimensione spirituale, e soprattutto renderlo capace di trasferirlo dal pensiero astratto a idea concreta (romanzo di fantascienza). Il percorso simbolicamente equilibrato nel trittico spirituale zen: amore, sapere, potere. A sto punto mi devo ricredere: non c’è assolutamente differenza tra fantascienza e zen, sono la medesima cosa. E quindi, finiamo l’articolo con una massima da: il Libro del Nulla di Hsin Hsin Ming.

“La Grande Via non è difficile per coloro che non hanno alcuna preferenza. Quando Amore e Odio sono entrambi assenti ogni cosa diviene chiara e viene svelata. Ma fai la più piccola distinzione, e paradiso e terra saranno infinitamente lontani. Se desideri vedere la verità non parteggiare a favore o contro. La lotta tra ciò che uno vuole e ciò che non vuole è la malattia della mente.”

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