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DAL PROFONDO DELLA PAGINA: IL CANTO DEL CIGNO DI LUCIO FULCI

(di GIUSEPPE MARESCA)
Voci dal profondo(Voices from beyond, Italia, 1990, 87') è un film del 1990 diretto da Lucio Fulci, scritto con la collaborazione di Pietro Regnoli e tratto dal omonimo racconto, contenuto nell'antologia Lucio Fulci, Le lune nere, Granata Press, 1992. Esiste qualcosa dopo la morte? E' possibile rimanere in contatto con chi abbiamo amato in vita? Lucio Fulci, che troppo spesso nella sua carriera ha dilapidato ottime idee in produzioni non all'altezza del suo estro visionario, è qui al suo penultimo film. Così alla fine della sua carriera, quando ormai il cinema di genere italiano è al lumicino, come le prostitute che dopo una vita di marciapiede si sposano per amore, si rivolge al più classico dei mezzi di comunicazione, il caro vecchio libro, dove non deve fare i conti con budget risicati, attori capricciosi, tecnici maldestri e produttori truffaldini. Certo, siamo sempre dalle parti della Alpha cinematografica di Lucidi e Nannerini, e lo si nota in più di una sequenza, ma rispetto ai precedenti Un gatto nel cervello, I fantasmi di Sodoma (il peggior film di Fulci) e Quando Alice ruppe lo specchio (il migliore della trilogia) per una volta i limiti della produzione funzionano e la trama è perfettamente in linea con la poetica fulciana dell'ultimo periodo, cioè una ricerca continua sul mistero della morte, su cosa si lascia e cosa ci attende dall'altra parte. La storia è una bella rielaborazione di un cliché romantico che quell'anno stesso aveva dato ben altri risultati (soprattutto al botteghino) col melenso Ghost, ma l'idea di Fulci è sicuramente di qualche anno prima, visto che il racconto di ispirazione venne pubblicato nel 1989 su La gazzetta di Firenze: il ricco Giorgio Mainardi, magnate della finanza, esala l'ultimo respiro (scusate, vomita l'ultimo rigurgito di sangue) in circostanze sospette, ma né l'autopsia, né le indagini riescono a capire le cause del decesso avvenuto per lacerazione degli intestini. Ovvio che si scateni tra quelle vipere dei parenti la caccia all'eredità, ma il defunto non vuole arrendersi nella ricerca del proprio assassino neanche nella bara, così, grazie a una "corrispondenza di amorosi sensi" di foscoliana memoria, stabilisce un contatto con la figlia Rosy, unica persona con cui abbia mantenuto un rapporto genuino in vita, cercando di aiutarla tramite percezioni extrasensoriali a dipanare il giallo prima che il suo corpo si decomponga nel sepolcro. Ma la soluzione è talmente fantasiosa che bisogna arrivare fino alla fine per rimanere sbalorditi. Quante belle idee aveva il Fulci dell'ultimo periodo (in realtà le ha sempre avute, ma pochi erano disposti ad ascoltarlo.)! Quasi tutti i racconti de Le lune nere, se fossero diventati film, sarebbero stati dei gioiellini del cinema fantastico (tre su tutti, Testimoni arcani, Buoni sentimenti e In assenza di Dio). Qui il regista segue pedissequamente ogni sillaba del suo racconto, rimanendo fedele all'atmosfera autunnale e onirica che le pagine ispirano, dilatando grazie anche agli effetti speciali per una volta ottimi, sequenze da incubo che sulla carta non hanno lo stesso effetto che rendono in pellicola; la più riuscita è quella dell'incubo dell'amante di Giorgio, che si vede servita al ristorante delle uova al tegamino che si trasformano in occhi, i quali contro la volontà di lei che come accade negli incubi si trova suo malgrado a tagliarli, sprizzano ettolitri di sangue a contatto con la lama, sequenza dove Fulci ha la possibilità di citare sé stesso per la più celebre scena di eye-violence di Zombi 2. Meno riuscito l'incubo cimiteriale di Rosy rispetto al racconto (troppa la somiglianza con le brutte sequenze di Zombi 3), ma la scena ha una potenza onirica tale che se non si ha il testo la si apprezza comunque. Voci dal profondo (o Urla dal profondo, come viene rititolato nella versione cut in dvd), rimane il vero testamento di Lucio Fulci, una continua e angosciosa domanda (ma anche una struggente dichiarazione d'amore) sul suo rapporto autobiografico con le figlie che di lì a poco avrebbe lasciato, risolta con una poetica sepolcrale che lascia spazio nel finale al sole e al movimento meccanicistico del ciclo della vita. Qui non ci sono Patrick Swayze o Demi Moore (c'è però la Huff che mostra le tette), non c'è l'Unchiained melody di Elvis (ci sono però le ottime musiche di Stelvio Cipriani), ma c'è una dedica finale nei titoli di coda: "A Clive Barker, l'unico vero amico che ho!" firmata Lucio. E state sicuri che dall'aldilà gli si può credere. (G. Maresca)


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