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I miei primi vent'anni con Brendon: ricordi nel tempo e nello spazio


(di GIUSEPPE MARESCA) - "Giù i cappelli, satanassi..." Chi lo diceva? Se non ricordo male era un vecchio eroe dei fumetti che fece epoca, e se non lo diceva lui sicuramente è un modo un po' "western" o da duri per iniziare un discorso che pretende rispetto per qualcuno; però non inizierò così, questo sarà un post lungo, quindi ve lo dico in partenza: o non lo leggete, o vi mettete comodi e sprecate un po' di tempo per un mio vecchio amico ormai diventato più che maggiorenne. Ultimamente odio la "masturbatio digitalis", come mi piace definire la scrittura davanti al computer o a qualsiasi altra diavoleria elettronica, ma in questo caso sentivo il bisogno di buttar fuori qualcosa.
La seconda parte del doppio appuntamento estivo con il Cavaliere di Ventura più famoso della Nova Inghilterra non è solo la parte conclusiva di una storia affascinante: è anche la celebrazione dei vent'anni di vita editoriale di uno degli eroi più romantici e umani della scuderia Bonelli. Con Nel tempo e nello spazio, Brendon si ritrova in uno dei suoi incubi più contorti, prigioniero di una strega dall'acconciatura ottocentesca prima, di una folle donna cannone dopo, della odiata milizia e, ciliegina sulla torta, pure dei propri amori e dei propri sensi di colpa.
Leggendo il lavoro di Claudio Chiaverotti, l'impressione che si ricava è che l'unica costante che attraversa la storia del genere umano (presente, passato e futuro, ma anche Nello Spazio siderale come qui sulla terra) sia il Male, quello assoluto, con la lettera maiuscola, annidato dentro il cuore dell'uomo o nelle pieghe del tempo, pronto a saltare fuori e colpire come un serpente che sbuca dal buio. Ma ricordatevi, stiamo parlando di Brendon, un cavaliere delle fiabe anche se a volte paurose, che a costo della sua vita e delle sua libertà, dà a tutti l'insegnamento che il Male viene combattuto da un antidoto potentissimo, che resiste anche esso nel tempo e nello spazio: la pietà umana, che come tutte le cose buone, genera frutti migliori delle erbacce prodotte dal suo antagonista.
Nel tempo e nello spazio è una storia poetica che sarebbe sicuramente piaciuta a Fabrizio De Andrè per i suoi commoventi risvolti (la protagonista, Silke, ne dà una prova magistrale), ma sarebbe piaciuta pure a Dario Argento, perché come dimostra la vecchia strega Slina Petrula (non c'è riuscito a fermarla Dylan Dog nella Vecchia Era, adesso tocca a Brendon) anche il bene può diventare male, e l'amore, tenebre. Tornando però al compleanno di Brendon, non è casuale che abbia iniziato con una frase dei fumetti, perché di questo si tratta, di nuvole parlanti (o Ottava Arte per chi ci crede), più che altro comincerei col titolo di questo post che - ça va sans dire - non è una mia frase, ma di Italo Calvino, per raccontare una storia di amore e di amicizia che parte da molto lontano. Come il simpatico "scoiattolo con la penna" (come lo chiamava Cesare Pavese) ligure-cubano, condivido l'idea che non esista un Paradiso e un Inferno come pensano i cattolici (idea un po' risibile - ma nessuno si offenda - dal mio punto di vista per come è concepita, poiché se così fosse l'Inferno dovrebbe straripare, il Paradiso invece dovrebbe essere stravuoto) e che piuttosto l'Inferno sia qui e ora, fatto da arrivisti, prepotenti, impotenti, finti-potenti, immemori, colletti bianchi, polsini bianchi (spesso con cravatta), buonisti, buonisti per convenienza, burocrati, tecnocrati, falsi profeti e tanti altri mostri che girano indisturbati nel nostro mondo...E poi ci sono i Cavalieri di Ventura, che non sono Inferno! Ma questi sono lontani dall'Inferno, come da lontano parte questa storia, che in fin dei conti è una storia di amicizia e d'amore come dicevamo. Comincia tanto tempo fa, quando una mattina di Giugno, uscendo dall'università mi imbattei in edicola in una nuova serie a fumetti dal titolo Brendon, rimasi folgorato... e fu amore a prima vista. 
Il protagonista in copertina assomigliava all'attore del film Il corvo (a cui forse inconsciamente rende omaggio la bellissima copertina qui riprodotta dell'incontrastata regina dei pennelli Lola Airaghi), cupo e poetico apologo d'amore e morte, di cui la vulgata oramai ha fatto storia sull'attore Brandon Lee che divenne cifra e modello per molti ragazzi della mia generazione, per la cultura e la musica, grazie alla sua ultima interpretazione intensa e malinconica, novello Orfeo truccato da triste Pierrot dark che torna dalla morte per riscattare la sua Euridice.
Sono sempre stato un divoratore di fumetti, ma non di quelli con americani tutti sorriso brillante e calzamaglie o tute metalliche per proteggere la loro (presunta) virilità liberista; i miei eroi invece erano personaggi senza superpoteri, armati solo della loro umanità, che spesso cercavano di capire gli orrori a cui davano la caccia e che non avevano paura di prenderle pur di affrontare temi delicati o i "normalissimi" mostri infernali dell'inizio del post (vedi Dylan Dog). Poi arrivò Brendon, e oltre a un'avvincente lettura trovai un vero amico. Sì perché il cavaliere pallido, dalle occhiaie sempre presenti (che vedo allo specchio al mattino sul volto di qualcuno che conosco) che si aggira in un Medioevo futuristico dopo una catastrofe che ha portato l'umanità indietro di secoli, affronta i drammi degli uomini di tutti i giorni: solitudini, rabbie, malinconie, tradimenti, distacchi, sogni, speranze, amori (il più delle volte tormentati). Per quasi diciassette anni, ogni due mesi la mia vita è stata scandita dalle uscite di questo amico di carta che veniva sul suo destriero per insegnarmi qualcosa su come affrontare la vita imparando anche a dire "non ci sto a questo", portarmi sulle ali della fantasia verso nuove avventure in un mondo in bianco e nero che assomiglia terribilmente al nostro ma molto più grigio (il nostro, che avevate capito, mica quello dei fumetti...) e regalarmi un po' di sincera emozione e perché no, una sana dose di curiosità e cultura. Come lui, in questi 20 anni, ho amato e perduto la mia "Anja", ho seppellito mio padre consolato da lui, ho lottato e ho raggiunto il traguardo faticosissimo della laurea e ho dato il via la mia avventura nel mondo dei "mercenari dell'istruzione", ho iniziato come lui il mio peregrinare da solo in una terra che non è la mia, ho cimentato un bellissimo legame con tanti alunni diventati anche loro compagni di viaggio di Brendon, ho avuto come lui altri amori, solitudini, momenti belli e conviviali, ho incontrato come lui nel mio cammino amici, mostri (sempre paurosamente reali o "normali"), banditi e cantastorie (pochissimi, purtroppo). Ma soprattutto ogni due mesi ho avuto un amico con cui confrontarmi, che continuava a ripetermi dalle sue pagine di non accettare subito la cosa più conveniente e a riconoscere, con continuo studio e apprendimento, "ciò che non è inferno" e a rialzarmi "sputare in faccia al dolore e alla fatica" (sono parole sue) ogni volta che finivo a terra, a commuovermi, ad arrabbiami e ad amare con tutto il cuore, anche quando le circostanze erano contro di me. Adesso, in una calda mattina di fine Estate, l'ultimo dei Cavalieri di Ventura salta in sella, e portando con sé tante avventure, speranze e malinconie ci dà appuntamento (noi tutti lo speriamo) tra un anno. Mi piace immaginarlo libero e selvaggio che cavalca per le lande della Nuova Inghilterra, fischiettando la colonna sonora de "Il mondo di Yor" come facevo io quando mi immergevo nelle sue pagine, alla ricerca di un ingaggio per poche regine e di un po' di autentico calore umano (cosa ben più rara). Grazie amico, grazie per esserci stato, a nome di tutti quelli come me che credono ancora nella fantasia; tornerai sempre a cavalcare nei miei sogni e a portarmi con te lungo i sentieri dell'avventura e del sentimento continuandomi a indicare "ciò che non è Inferno". Intanto però il suo geniale autore ci terrà compagnia durante l'Inverno con un crossover tra il suo secondogenito e nientepopodimeno che il suo primo amore: quel Dylan che abita a Craven Road e al quale Claudio ha regalato molte delle sue avventure più belle (e tuttora insuperate stilisticamente).
Tornando a Brendon, come si faceva per gli antichi eroi, saluterei il mio amico cavaliere con i versi di un grande (ma sottovalutato) poeta di fine Ottocento, che col nostro eroe aveva tanti vizi in comune: "Giacché più che il mio pallido demone odio il minio e la maschera al pensiero. Giacché canto una misera canzone ma canto il vero." (Emilio Praga)
Buona vita e buon compleanno, Cavaliere di Ventura, ovunque tu stia andando! A vent'anni il cuore è sempre leggero.


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