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Piigs

@ Futuribilepassato | Luca Tittoni. Come ogni punto di vista quello del film sulle politiche di austerità adottate con forza verso alcuni stati interni alla UE ci fornisce pezzi di un puzzle molto interessante. 
Un quadro contemporaneo che riguarda, ormai, una porzione sempre più consistente del popolo europeo.
Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna, rigorosamente in ordine alfabetico e non di "buffi", sia chiaro; i cosiddetti "porci", secondo una certa stampa - e non solo - nord europea, sarebbero l'anello disfunzionale del progetto economico - monetario dell'UE.
Elementi deboli perchè molto indebitati. Buffaroli a tal punto da non essere sostenibili, quindi insolventi o a rischio di insolvenza.
Ma è realmente così?
Il film, opportunamente descritto negli articoli che propongo sotto: il primo preso da Scenari Economici, il secondo da Il Fatto Quotidiano (quest'ultimo tuttavia con qualche banale errore di troppo), pone consistenti dubbi che le cose stiano effettivamente in questo modo.
Prendiamo ad esempio l'ombelico della cosiddetta periferia, l'Italia. Davvero l'Italietta sarebbe così indebitata o spendacciona da meritare una cura lacrime e sangue per mezzo dell'austerità indotta da Francoforte?
Peraltro meglio non osservare l'andamento del nostro Debito Pubblico dall'adozione della moneta unica europea e, ancor più, dall'adozione delle misure di austerità. Grafici vietati dopo pasti pesanti e ai deboli di cuore.
La crisi che ha investito l'area Euro negli anni passati e che lascia ancora boccheggiare le economie del Mediterraneo, spiaggiate in cerca di ossigeno e con riforme calate dall'alto che non orignano nessuna soluzione nel medio - lungo termine, non era tecnicamente uno schock originato dalla crisi dei debiti sovrani. 
Non i debiti di stato insomma e, quindi, non come ci è stato sempre o quasi detto.
A sgomberare il campo da qualsiasi arbitrio è Vítor Constâncio, non il referente economico di qualche partitello nazionale, ma il vicepresidente della Banca Centrale Europea: La BCE scopre che il problema è la finanza privata e non quella pubblica, tratto da Vocidallestero; ma le parole di Constancio trovano facile risontro un po' ovunque.
Di quella relazione ne propongo qui uno stralcio leggibile in toto a questo link.
La prima domanda è importante per identificare le possibili carenze nella progettazione dell’unione monetaria che hanno bisogno di essere corrette per evitare crisi future. La mia opinione è che il principale fattore scatenante è da ricercarsi nel settore finanziario, in particolare in quelle banche che hanno fatto da intermediarie nell’immenso flusso di capitali verso i paesi periferici, che ha creato squilibri divenuti insostenibili a seguito del “sudden stop” (arresto improvviso, ndt) causato dalla crisi internazionale e dalla brusca revisione delle valutazioni del rischio che questa ha causato.
La seconda domanda è utile per comprendere se la costruzione dell’unione monetaria sarebbe stata sufficiente ad assicurare una graduale correzione delle vulnerabilità e evitare una crisi, nel caso in cui lo shock internazionale non fosse avvenuto. Si potrebbe ipotizzare che, senza influenze esterne, l’eurozona avrebbe potuto superare gradualmente le sue debolezze con un processo di riequilibrio interno. Non potremo mai essere certi di questo. Fortunatamente, questa domanda è meno significativa della prima.
...
Cominciamo con la prima prospettiva sulle cause. La spiegazione più vecchia  della crisi, progressivamente corretta dagli accademici ma sempre popolare tra alcuni segmenti dell’opinione pubblica, dice più o meno questo: “Non c’era niente di intrinsecamente sbagliato nel progetto dell’Unione monetaria europea, e la crisi sarebbe scaturita essenzialmente dal fatto che diversi paesi periferici non avrebbero rispettato quel progetto – in particolare le regole fiscali e il Patto di stabilità e di crescita – il che avrebbe generato una crisi di debito pubblico.”  Questa è la spiegazione secondo la quale  “il problema è essenzialmente fiscale”, che può essere facilmente connessa ad altre due : l’indisciplina fiscale ha portato ad un surriscaldamento dell’economia, l’aumento di salari e prezzi ha implicato una perdita di competitività, e questo ha portato alla crisi da bilancia dei pagamenti.
Nonostante questa spiegazione abbia una sua coerenza interna, essa non è corretta, specialmente per quel che riguarda il fattore scatenante della crisi.
Anzitutto, non c’è una forte correlazione tra il rispetto del Patto di stabilità e crescita di un membro dell’eurozona prima della crisi e il relativo spread richiesto dai mercati finanziari oggi. Per esempio, Germania e Francia non hanno rispettato tale Patto nel 2003-2004; mentre Spagna e Irlanda lo hanno rispettato più o meno pienamente fino al 2007.
In secondo luogo, nei paesi il cui debito pubblico è oggi sotto attacco, durante i primi anni della moneta unica non c’è stato alcun aumento non c’è stato alcun incremento uniforme del livello complessivo del debito pubblico.
A tante domande una risposta.
Smontato quindi il maggiore credo popolare, messo fuori dall'austero angolo il colpevole dei (non) colpevoli, lo stock di debito pubblico, viene ora da chiedersi dove cercare quindi la vera causa.
Anche qui lo stesso Constâncio ci fornisce valide indicazioni e con un po' di intuito si può passare dall'acqua al fuochino. Non ci resta che giocare.
L'Italia, intanto, con un debito pubblico attorno al 132% del PIL è lontana ad esempio da quel Giappone che sfonda di gran lunga il tetto del 200% - roba da olive greche! - senza batter ciglio dei tanto affascinanti occhi a mandorla.
Perché con un rapporto debito/Pil al 236% il Giappone spende e spande mentre l'Italia va giù a colpi di austerity? Il Sole 24 Ore, qui.
Possibile? Pizza, corruzione e mandolino più virtuosi degli introspettivi samurai? Chissà cosa direbbe la ferrea Angela da Berlino.
Tecnicamente però è così, ma questo quanto ci costa in termini reali? Molto, un prezzo difficile da stimare.
Purtroppo il Sol Levante dispone ancora di due cose che noi abbiamo perso o meglio, ceduto in nome di un disegno unitario che unitario non pare essere: la leva monetaria e, praticamente, anche la leva fiscale, per tenerci all'essenziale.
L'harakiri  - per noi, ovvio - giunge con la regola di Maastrich secondo la quale il tetto virtuoso di debito pubblico per ogni paese aderente all'Euro debba essere pari e non oltre la soglia del 60%. Concetto, questo, che non risponde, nei fatti, a nessuna dottrina macroeconomica.
I meticolosi samurai l'hanno capito bene e anche dall'altra parte del Pacifico non scherzano affatto, con Trump poi.
Ai tempi dell'Euro non è solo il debito pubblico ad essere oggetto di particolari attenzioni.  Fa infatti da specchio a questa tematica anche l'annosa questione del rapporto deficit/PIL sotto la soglia del 3% per ogni stato appartenente alla moneta unica.
Virtuosismi recessivi e basterebbe osservarne la realtà dei fatti.
Prendiamo sempre il nostro Paese, l'Italia rispetta con molti sacrifici questa soglia dal 2012, al contrario ad esempio della Francia, ancora allegramente fuori da tale parametro.
Per rimanere dentro questo vincolo il nostro Paese sta smantellando il suo tessuto manifatturiero e artigianale, sta tagliando servizi primari al cittadino, elevando la tassazione, tutto in nome di un'efficienza che non ha fondamenti economici reali.
Forse un giorno andrà riscritta la nostra storia recente, chissà. I Piigs non sono porci e forse non erano neppure così "buffaroli". Intanto abbiamo una certezza: in passato erano molto più ricchi.
Qui il trailer.
Buona visione, al cinema.

Da Scenari Economici: E se in un unico documentario alcuni tra gli intellettuali più prestigiosi del mondo sostenessero che le politiche di austerità dell’Unione Europea ci stanno portando sull’orlo del baratro economico invece che salvarci dalla crisi?
E se quello stesso documentario vi dimostrasse che le regole dei trattati europei sul deficit, il debito e l’inflazione sono frutto di banali errori di calcolo?
E se vi venisse svelato come queste politiche influiscono direttamente sulla vita di ognuno di noi aumentando disoccupazione, povertà e diseguaglianze?
Ci ripetono costantemente che lo stato sociale non è più sostenibile. Intanto il malcontento popolare monta, sempre più cavalcato da partiti estremisti con conseguenti e quotidiane derive xenofobe. L’Europa sembra assistere impotente a questo pericoloso scenario, il rischio di una disgregazione è sempre meno peregrino, la Brexit ne è un clamoroso esempio.
Preoccupati per questo quadro desolante e per un orizzonte tutt’altro che roseo, ci siamo chiesti cosa potesse fare il cinema. Il progetto è totalmente autofinanziato e riconoscendone il valore sociale hanno aderito gratuitamente alcuni dei più grandi intellettuali del mondo, tra cui:
Noam Chomsky (filosofo e linguista, definito dal New York Times “Probabilmente il più grande intellettuale vivente”), Yanis Varoufakis (ex ministro delle finanze greco), Stephanie Kelton (economista capo del budget del senato degli Stati Uniti e consulente economico di Bernie Sanders), Warren Mosler (insider finanziario, esperto di sistemi monetari), Paul De Grauwe (London School of Economics), Erri De Luca (scrittore). Con il loro aiuto e attraverso un’indagine durata cinque anni, il documentario sfata alcuni dei più incrollabili dogmi economici che influenzano le politiche dell’Unione Europea. Dogmi che non solo hanno impedito ai Paesi europei di risollevarsi dalla crisi peggiore degli ultimi cento anni, ma che addirittura… la aggravano. 
Prosegue qui.

Da Il Fatto Quotidiano: Attraverso una indagine lunga ben cinque anni, Piigs distrugge alcuni dei più incrollabili dogmi economici che influenzano le politiche dell’Unione europea e dunque anche la nostra vita. I comuni non possono spendere danaro per migliorare la vita dei propri cittadini? Le regioni sono costrette a chiudere gli ospedali? In Italia nel 2016 si è raggiunto il record storico di povertà assoluta (4 milioni e seicentomila persone)? Tutta colpa della regola del 3%, cioè di quel limite insuperabile imposto dall’Unione a tutti i paesi membri nel rapporto tra deficit e Pil. Ma chi sa come nacque questa regola europea diventata legge costituzionale in Italia?
Lo spiega nel documentario un divertito Guy Abeille, già funzionario economico del gabinetto del presidente francese Mitterand: “Un giorno il Presidente ci chiese un sistema semplice e veloce, non tecnico, per imporre un tetto alle spese statali. Ci riunimmo e in un’ora pensammo al rapporto deficit/pil che in quell’anno in Francia era del 2,6%, così demmo un tetto per noi non traumatico, del 3%. Lo proponemmo a Mitterand e lui lo accettò entusiasta. Nel 1991, Jean Claude Trichet, governatore supplente del Fondo Monetario Internazionale, lo ripropose come limite fisso europeo e la Comunità lo accettò. Nessuna teoria a suffragarlo. Nessun calcolo a giustificarlo”.
Il Re è nudo. Una volta svelato questo, è facile anche per Erri de Luca, Paolo Barnard e Federico Rampini sparare a zero contro quella che Piigs fa apparire come una vera e propria idiozia finanziaria collettiva. Macroeconomia e microtragedia. Piigs, infatti, non scava solo nella storia dei conti delle nazioni, ma anche nel presente drammatico di chi ha a che fare concretamente con le clausole di salvaguardia che limitano la spesa pubblica dei Comuni italiani.
Ecco allora la storia della cooperativa sociale ‘Il Pungiglione’ di Monterotondo e la sua quotidiana lotta per assistere 150 ragazzi disabili. La svolge dal 1991, lo stesso anno della nascita del famigerato 3% e oggi, a causa sua, un centinaio di dipendenti ed il loro prezioso lavoro sono a rischio.
Sabato si è celebrato il sessantesimo anno dei Trattati di Roma, sperando in un Paese più unito, più solidale, membro di un’Europa molto diversa da quella che i padri della Comunità avevano previsto e che i banchieri ci hanno costruito intorno senza che noi ce ne accorgessimo.
Prosegue qui.


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