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Le stime della Commissione mettono in allarme le imprese italiane. Lavoriamo sulle soluzioni e sulle opportunità che si presentano

Le previsioni economiche d’estate ci mostrano che la strada per la ripresa è ancora lastricata di incertezza“, anche perché “la pandemia ha colpito l’economia europea più forte dell’atteso, anche se un cauto rimbalzo sta cominciando“, il commento del commissario all’economia, Paolo Gentiloni.

Nel 2020 contrazioni forti sono attese in Italia, Francia e Spagna, mentre contrazioni più ridotte si attendono in Germania, Olanda e Polonia. Nel complesso ecco i cali previsti: Pil Italiano (-11,2%), Spagna (-10,9%), Francia (-10,6%). Per Bruxelles si tratta di “una recessione ancora più profonda” delle attese, e con “divergenze più ampie”.

In questo quadro a tinte cupe per l’economia italiana, una indagine dell’Istat sulle aziende tricolori fa capire quanto sia profonda la preoccupazione sulla tenuta produttiva. L’impatto della crisi sulle imprese è stato di intensità e rapidità straordinarie, determinando seri rischi per la sopravvivenza: il 38,8% delle Imprese Italiane ha denunciato l’esistenza di fattori economici e organizzativi che ne mettono a rischio la sopravvivenza nel corso dell’anno”, dice l’indagine sulle imprese sopra i 3 addetti. Il pericolo di chiudere è più altro tra le micro imprese (40,6) e la piccole (33,5%) ma è “significativo” anche tra le medie (22,4%) e le grandi (18,8%).

Vorrei a questo punto fare una considerazione generale: piccolo è ancora bello o è diventato repentinamente brutto? Dove è finito quel ‘made in’ fatto di piccoli artigiani, piccoli imprenditori e commercianti? Dove è finita la volontà di intraprendere degli italiani?

Insomma, se piccolo è davvero brutto e in pericolo – e questo è quello che emerge dall’analisi ISTAT – ciò mette in condizione qualsiasi cittadino di non pensare minimamente di rischiare e di fare l’imprenditore dal nulla. Se invece, piccolo è bello solo se è anche in rete, se costituisce un ecosistema, se riesce a far parte di un cluster diffuso… allora sono personalmente d’accordo. Non possiamo infatti pensare che l’Italia diventi improvvisamente il paese delle multinazionali! Non possiamo pensare che il tessuto produttivo di questo paese possa convertirsi tutto in grande industria. Dobbiamo, di contro, invece ragionare su come costruire davvero una rete di interessi e di capacità in grado, soprattutto con il digitale, di far fronte alla complessa situazione post Covid-19 e alla globalizzazione.

Questa mattina ho avuto la fortuna di parlare con tre imprenditori: uno mi ha espresso tutte le perplessità e soprattutto la ‘pressione’ di voler performare come nel 2019; il secondo ha con soddisfazione elencato i buoni risultati anche nel primo trimestre 2020 e quindi, ovviamente, non ha manifestato particolari preoccupazioni; il terzo mi ha invece fatto ragionare su un concetto:.il Covid-19 può anche rappresentare una grande opportunità per le imprese italiane per crescere, per aggregarsi, per fare rete, per internazionalizzarsi e innovarsi insieme.

Quello che mi sento di esprimere è un concetto semplice: i bilanci 2020 e forse anche quelli del 2021 saranno, ad eccezioni di pochi, condizionati dalla pandemia. Non è necessario quindi piangersi addosso ma invece credo che sia più produttivo procedere come mi ha suggerito il primo imprenditore: ‘la preoccupazione porta alla concentrazione, la concentrazione porta a pensare soluzioni, pensare soluzioni porta a trovare soluzioni… ed è questo il processo che stiamo attuando’.

#dettofatto di Giovanni Giorgetti

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