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L’Italia imbrigliata – Perchè non c’è futuro per l’università e l’impresa di oggi

Tra le tante tematiche di cui si parla giorno dopo giorno per discutere dei pro e dei contro dell’evoluzione dell’impresa e dell’avvento del paradigma dell’Industria 4.0, poco si è riflettuto sull’interazione di questo nuovo modello di azienda con l’individuo in sé e la sua dimensione sociale. In parole semplici, è inevitabile che la direzione intrapresa dall’evoluzione dell’industria verso il nuovo obiettivo del 4.0 abbia un’influenza e un peso non irrilevanti anche sulla dimensione sociale degli individui che dell’industria rappresentano il cuore pulsante. Se va ripensata l’azienda in termini tecnologici e digitali, va ripensato anche l’individuo e il suo rapporto con queste tecnologie. Di conseguenza, è la società stessa, soprattutto nella sua espressione sotto forma di welfare, che subisce, o nel caso italiano deve prepararsi a subire, una trasformazione radicale rispetto al modello di industria e sistema sociale che è sostanzialmente invariato per tutto il Novecento.

Ritorna ancora, come più volte è stato ribadito anche nelle affermazioni di ESG89 Group, la tematica del rapporto formazione-lavoro e di come la staticità del sistema delle imprese italiane abbia un parallelo nella staticità del sistema formativo italiano. Come sostiene Michele Tiraboschi, direttore del Centro Studi Internazionali e Comparati dell’Università di Modena e Reggio Emilia, sono due mondi che non dialogano, e si ostinano a non voler dialogare.

La polemica su questa immobilità cronica è ancora più accentuata in questi giorni, soprattutto in vista delle elezioni del prossimo 4 marzo, e le promesse su una maggiore osmosi tra mondo accademico e mondo del lavoro sono alla base di Quasi Tutti i programmi elettorali. Tuttavia, il problema sta alla base. Non basta una promessa per superare vent’anni di immobilismo accademico e di chiusura dell’impresa. Non basta la proposta di un cambiamento radicale e di un superamento della disoccupazione giovanile davanti all’amara verità di un sistema incancrenito in cui università e mondo del lavoro hanno ormai perso quasi tutti i punti di contatto, finendo per essere universi a se stanti e, nel peggiore dei casi, poco propensi al dialogo. Se il Jobs Act ha scosso dalle fondamenta questo sistema agevolando le assunzioni e, almeno in parte, il ricambio generazionale, l’altro lato della medaglia è rappresentato da un aumento del precariato e da una riduzione drastica, e preoccupante, delle tutele lavorative.

Prendere coscienza di tutto questo è il primo passo per sperare di riuscire almeno a vedere la luce alla fine del tunnel. Perchè il percorso è lungo, e il tempo per riflettere è molto poco. Le aziende devono crescere, l’orizzonte è ormai globale, riflettere sul problema è un lusso, trovare una soluzione ora è un imperativo.

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