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My Funny Valentine. Vecchie idee e tre poesie inedite

My Funny Valentine

Iannozzi Giuseppe

I.

L’ho fatto fuori bene
il tempo destinato a me,
fuori dal tempo
fra romanticismi
e fumose note di jazz

Guardano le donne
in modo un po’ strano
le dolorose poesie
nel fascino di Coltrane
versate

Non capiscono perché,
non immaginano Garibaldi
fra mille barbuti soldati
per l’amata sua Anita,
come un uomo, piangere

È che non capiscono il jazz,
il fascino d’una notte stellata
che nell’animo del pianista,
per ubriaca eternità, collassa

Per le loro gonne,
lunghe o corte,
si preoccupano le donne :
non amano il jazz,
loro solo bevono il tè

Non amano me,
non intendono te

II.

Soffre tempesta
di uomini donne bambini
la fragilità d’un angelo
caduto
nell’inverno
delle nevose sue ali.

Ride Dio
in una spettinatura
che l’indice destro
raccoglie
in carezza di vento
su mille e mille
scomposti avelli
che i nomi loro
non sanno.

All’incrocio,
fra Sodoma
e Gomorra,
si spenge il semaforo,
mentre perde
un figlio il seme,
al silenzio confessando
il crimine commesso
nel sonno
d’un’ammaestrata scimmia.
All’incrocio Dio:
vuoto di sé un uomo

III.

Dipingesti
una casa,
il cappello,
la notte stellata
e il girasole,
inseguendola
la vita,
sangue
che fuggiva
dalla mano
nei tratti
lasciati
dal pennello.
Orecchio
donasti
ai sordi.
Ma quelli
continuarono
l’ostinazione
dell’incomprensione.

Non fu l’amore
e neanche la povertà:
cadesti
nel giallo
delle tele,
nella vita,
e nel rosso
della verità
che
solo tu sapevi
morire, Vincent.

IV.

Ero io quello
a cui rubavano
sempre la palla
da bambino;
quello che a scuola
sognava forte
e non diceva niente,
niente d’importante mai;
quello che tutto sapeva
di Dante e Omero,
Chet Baker e Davis…

Ero io quello
da interrogare
per gli errori sui temi,
per un consiglio
su come mortificare
nelle ore di storia
l’infido sbadiglio

Ero io quello strano,
quello strano davvero
che dalla a alla zeta
la sapeva la poesia,
quello che amici no,
non ne aveva

Ero io quello…
maledetto,
tale e quale a un negro
in un angolo sbattuto

Ma Dove,
dove adesso voi?
Io qui, al posto mio,
cresciuto un po’, sì…
Migliore? Non lo so

Ma dove,
dove adesso voi,
davvero non lo so
Io sempre qui e qui,
al posto mio…
capace d’un vaffanculo anche
senza pensarci troppo su

V.

L’ombra del tuo sorriso
sul cuore mio fermo
arrestato
fra un tombino e un semaforo;
ma la strada davanti
di uomini-topi,
di macchine veloci,
e la notte loro complice,
tutto questo almeno è vero
Lampioni e neon,
non c’è però luce
che non muoia,
e non c’è ombra che dia gioia
Prima o poi
prenderò sotto la tua ombra
o ridendo di pazzia
sparerò alla mia

VI.

Per un orgasmo,
o per un attacco di sarcasmo,
lasciati adesso andare all’estasi
Ti amerò lo stesso:
come un eponimo darò via
il mio nome al tuo sesso

VII.

In un tormento
d’eco vuoto
cader lo vidi,
in gola rattenendo
lo spasmo doloroso
d’un dolore
al di là del dolore

Senza sgomento
lo vidi poi rialzarsi
lo sguardo puntando
là dove
non è ancor di casa
il tramonto;
muto l’osservai andar via,
già mezzo sepolto
in un impossibile ventaglio
di nebbie e fantasmi

Non era Dio,
di certo però l’abbracciò


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