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La terribile influenza del ’17, una storia di Natale

Quella che sto per raccontare è la mia storia di Natale preferita.

Però prima ho bisogno fare una premessa. E la premessa è che Dio non esiste e Gesù non era figlio di Dio. Lo so che questa è una storia di Natale, ma davvero non so come girarci attorno. Dio non esiste e la religione è tutta una finzione. Sono solo storie che ci raccontiamo.

Fatta questa premessa, da questo momento inizia la vera storia di Natale.

La storia inizia il 18 dicembre quando Costanza stava cantando nel coro della sua scuola. Indossava un cappello da Babbo Natale, così come tutti i suoi compagni di classe. Era un momento importante e lei si stava preparando da settimane. La sua scuola aveva partecipato ad un progetto del Coro dell’Antoniano di Bologna e questa cosa l’aveva entusiasmata. Ogni tanto a casa si metteva a cantare: “L’angioletto del presepio / fa un lavoro faticoso / è attaccato alla capanna / senza ferie senza ferie né riposo”.

Io e la mamma di Costanza eravamo seduti tra i banchi della chiesa dove lei e gli altri bambini stavano cantando. La chiesa si trova vicino alla scuola di Costanza. La scuola di Costanza non è una scuola cattolica, è una scuola pubblica, ma in città è davvero difficile trovare posti dove organizzare recite di Natale e spesso le chiese ospitano queste cose. La scuola di Eleonora, la figlia più grande, aveva provato ad organizzare lo spettacolo di Natale nei locali della scuola stessa, ma era andata così male che alcuni genitori avevano scritto una lettera ai giornali per lamentarsene.

E pensare che qualche giorno prima, io e la mamma di Costanza eravamo andati a vedere lo spettacolo di Luisa, la nostra figlia più piccola, e quello lo avevano fatto in un teatro, con i bambini che uscivano dalle quinte, con dei costumi veri, cuciti da sarti veri. La recita di Luisa era stata organizzata dai preti del Seminario della città, perché la scuola di Luisa è una scuola privata e religiosa. Perché sarà anche vero che Dio non esiste, ma i preti e la Chiesa esistono e sono imbattibili in quello che fanno.

Io guardavo la piccola Costanza e i suoi compagni, ognuno con un cappello di forma e colore diverso, dal rosso scuro all’arancione, c’era perfino una bambina in prima fila che aveva delle lucine montate sul suo berretto, e pensavo che erano tenerissimi e belli, ma sapevo che il mio era un giudizio di parte. E sono certo che se esistesse un recensore di spettacoli di Natale, questo avrebbe di sicuro stroncato lo spettacolo della scuola pubblica (“scarsa acustica, una scelta di brani stucchevole e una direzione artistica scontata”) mentre avrebbe di sicuro promosso lo spettacolo del Seminario (“un assoluto capolavoro, un classico senza tempo”).

Costanza era nelle ultime file. Immagino fosse stata una sua scelta quella di mettersi laggiù, perché a lei piace guardare il mondo, non esserne al centro.

Costanza era pallida, più bianca del solito. Io e la sua mamma pensavamo che fosse solo lo stress accumulato prima del grande debutto, ma ci sbagliavamo.

Il giorno dopo arrivò la febbre.

Costanza ha molta forza, sia fisica sia mentale. Perciò, di solito, le basta una nottata di febbre per sconfiggere i virus. Ma questa volta non successe. La febbre restò alta per diversi giorni.

In casa abbiamo imparato che le febbri dei bambini si affrontano seguendo poche e semplici regole. Per i primi tre giorni di febbre si usa la Tachipirina. Dopo il terzo giorno di febbre ci vuole la visita dal pediatra, e solo lui può decidere se vale la pena di iniziare la cura antibiotica. Il dottore la visitò il 21 dicembre e decise che Costanza doveva iniziare con gli antibiotici, ogni otto ore.

Dopo due giorni di antibiotico e di tachipirina, però, la febbre di Costanza non era scesa e lei dormiva sempre. Era diventata bianca, ancora più bianca, e dormiva sul divano e sul letto. Mangiava poco e tossiva. Nel frattempo era arrivata la vigilia di Natale.

“Dobbiamo portarla all’Ospedale”.

Lasciammo le altre bimbe insieme alla nonna e andammo al Pronto Soccorso. Noi viviamo vicino all’ospedale Fatebenefratelli, ma decidemmo di non andare lì, perché è vero che i preti e la chiesa sono i più bravi in quello che fanno, ma sapevamo anche che il reparto pediatrico dell’Ospedale Rummo era migliore.

“Dobbiamo andare al padiglione San Pio”.

Terzo piano, c’è una porta con una luce, se la luce è rossa vuol dire che c’è già una visita in corso e bisogna aspettare.

La dottoressa che visitò Costanza era molto gentile. Era giovane e trattava Costanza con un tono scherzoso, ma allo stesso tempo deciso, non so come ci riuscisse. Era brava però. Ci chiese se quello fosse il suo colorito normale e noi dicemmo di no.

“Dobbiamo fare il prelievo”.

Costanza ha molte paure, perciò è coraggiosa, molto più coraggiosa di me. Le presero il sangue mentre lei urlava: “Perché mi fate questo?”. Io mantenevo le gambe e la dottoressa le bloccava il braccio e la pancia. L’infermiera ci mise un’eternità a trovare la vena, o almeno a me sembrò un’eternità.

Per aspettare i risultati degli esami ci misero in una stanza del reparto.

Costanza era stanca, ma voleva andare a casa. Non si voleva stendere sul letto, ma era stanca. Poi ci chiese se ci avevano dato il permesso di usare il letto della stanza. Quando la tranquillizzammo che la dottoressa e l’infermiera ci avevano detto che potevamo usare i letti di quella stanza, solo allora si convinse a stendersi e si addormentò.

Passammo così due ore.

Quando arrivarono i risultati ci richiamarono nella stanza dove c’erano la dottoressa gentile e l’infermiera. Costanza capì da subito che non sarebbe tornata a casa in tempo per il Natale. La dottoressa disse che andava ricoverata perché aveva il sistema immunitario troppo indebolito e andavano fatti ulteriori esami.

Costanza era stata coraggiosa, aveva affrontato il terrore degli aghi, aveva superato la sfida dell’ospedale, ma voleva passare il Natale con le sue sorelle. Si mise a piangere, come non aveva mai fatto. Io e la mamma provammo a tranquillizzarla, le dicevamo che Babbo Natale sarebbe arrivato anche all’ospedale.

“Ma a me non interessa Babbo Natale, è la Vigilia di Natale, voglio stare a casa con le mie sorelle”.

Costanza piangeva, e urlava, e implorava, e diceva “per favore”, e voleva le sue sorelle. Piangeva, tanto, diceva che quello era il Natale più brutto della sua vita, che c’era il cenone, che voleva stare con la sua famiglia.

Le mentimmo.

Le dicemmo che doveva fare qualche altro esame e poi avremmo deciso se tornare a casa. Non vado fiero di averle detto una bugia, non mi piace dire le bugie alle mie figlie, ma si calmò e torno a letto.

Dopo un’oretta ci vennero a prendere e ci portarono in un altro padiglione perché Costanza doveva farsi un’ecografia e una radiografia al torace. La macchina della radiografia era grossa quanto tutta la stanza e faceva molto paura a Costanza. Mi misero un grembiule di piombo e strinsi la mano a Costanza, mentre lei diceva di aver paura. Il tecnico che ci stava facendo la radiografia spiegò a Costanza che doveva appoggiare il petto ad una grossa lastra di metallo, ma quella cosa faceva paura. Costanza è una bimba coraggiosa, diceva di avere paura, piangeva, ma si fece fare la radiografia.

L’ecografia fu un po’ più semplice, c’era un dottoressa che era gentile, ma Costanza aveva paura che le facessero un’altra puntura sul braccio. Si fece coraggio, supplicò di non farle del male e alla fine si fece fare anche l’ecografia.

“L’ecografia è a posto”.

Grazie a Dio era tutto a posto.

Tornammo in camera. Io e la mamma di Costanza preparammo un piano di azione. Io sarei andato a casa per controllare la situazione con le altre figlie mentre lei sarebbe rimasta lì, poi io sarei tornato portando un po’ di roba da casa e ci saremmo alternati tra casa e l’ospedale.

Arrivato a casa, io e la nonna preparammo una borsa con pigiami e vestiti di ricambio. Raccolsi un po’ di pacchetti da sotto l’albero, mangiai due frittelle e un po’ di insalata di rinforzo. Presi un po’ di roba da mangiare per Costanza e sua madre e misi tutto in alcuni contenitori. Misurai la febbre ad Eleonora, che nel frattempo stava mostrando gli stessi sintomi della sorella ricoverata. Salutai tutti e tornai all’ospedale.

Erano le otto di sera della Vigilia di Natale.

Trovai Costanza nel letto della sua camera. Avevano acceso la televisione (donata da un’azienda locale, azienda a cui va il mio immenso ringraziamento) e stavano vedendo lo Speciale di Natale di Curioso come George.

“Le hanno fatto una flebo di antibiotico, non è stato semplice”.

Costanza aveva un cerotto bianco sulla mano sinistra e dal cerotto usciva un tubicino celeste. Con molta attenzione, senza toccare il sondino celeste, si tolse la maglietta che aveva e riuscimmo a metterle il pigiama. Aveva molta fame, si mangiò il prosciutto e le zeppole che le avevo portato da casa.

Io e sua mamma ci guardavamo negli occhi e un po’ avevamo paura. Ci sentivamo protetti dalle infermiere gentili e dalle dottoresse, e un po’ la paura era diminuita, ma solo un po’.

Alle otto e quaranta vennero a bussare alla porta della stanza di Costanza. Era la mamma della “bimba ciao”. Io e Costanza la chiamavamo “bimba ciao” perché passava il tempo a chiudere e ad aprire la porta della sua stanza e quando la chiudeva diceva sempre “ciao, ciao”. La “bimba ciao” aveva due anni, era ricoverata nella stanza di fronte a quella di Costanza ed erano solo quattro giorni che non era più sotto ossigeno. La mamma della “bimba ciao” ci invitò ad unirci a lei. Stava andando nell’atrio di fronte al reparto perché stava per arrivare il bambinello.

Ci sembrò un bel modo per distrarre Costanza.

Qualcuno aveva spostato le sedie della sala d’aspetto del reparto e le aveva messe al centro dell’atrio. Di fronte alle sedie c’era un piccolo altare con una cesta foderata di cuscini bianchi. Dietro il piccolo altare c’era quello che sembrava un altare di chiesa. Probabilmente era un tavolo con una tovaglia bianca lunga fino a terra.

Ci sedemmo nella seconda fila.

Attorno a noi c’erano un paio di mamme, la “bimba ciao” e un altro bimbo di non più di un anno. Su tutte le sedie erano appoggiati un foglio con il testo della messa e un piccolo fascicoletto fotocopiato e spillato icon i testi di alcune canzoni di chiesa. Mentre ci guardavamo intorno arrivarono un paio di infermieri che presero posto sulle sedie appoggiate al muro. Nell’angolo della stanza alla nostra destra c’era un prete vestito con i paramenti bianchi della messa e confabulava con un dottore in camice.

Il prete aveva i capelli bianchi, la barba grigia e folta. Aveva una voce simpatica e si muoveva con gesti veloci e decisi. In pochi secondi prese possesso di quella comunità che si era riunita in quell’atrio di ospedale durante la Vigilia di Natale.

C’era bisogno di tre persone che leggessero.

La mamma di Costanza si offrì di leggere, con il dottore e una infermiera erano in tre. Si poteva cominciare.

La messa iniziò. Il prete disse di cantare leggendo dal libretto spillato che c’era su ogni sedia.

Venite Fedeli, l’angelo ci invita,
venite, venite a Betlemme.
Nasce per noi Cristo Salvatore.
Venite adoriamo, Venite adoriamo, Venite adoriamo
il Signore Gesù.
La luce del mondo brilla in una grotta:
la fede ci guida a Betlemme.
Nasce per noi Cristo Salvatore.

Costanza conosceva questa canzone, anche se nella versione in latino, quella che fa “Adeste fideles laeti triumphantes, venite, venite in Bethlehem”. Leggemmo il testo in italiano e cantammo anche noi. Il prete aveva una voce decisa, un canto forte e alto che mi colpì. Era bello fare da coro a quella voce che cantava di Betlemme.

Costanza aveva iniziato il catechismo da pochi mesi, perciò sapeva come farsi il segno della croce e come recitare le preghiere. Ci alzammo quando ci si doveva alzare e ci sedemmo quando Costanza era troppo stanca per stare in piedi. Lessero il brano del Vangelo in cui Luca descrive la nascita di Gesù. La mamma di Costanza lesse il Salmo e lo fece con quella tenera partecipazione e serietà che metteva sempre quando le capitava di dover leggere in chiesa. Il dottore in camice portò una statua di Gesù bambino e la poggiò nel cesto di fronte all’altare.

Il prete iniziò la sua predica. E ci disse che quello di Luca era un brano che ricostruiva la veridicità storica della nascita di Gesù . Certo, come no, pensai.

Il prete ci disse che lui era originario di San Giorgio a Cremano e i presepi che si fanno dalle sue parti non descrivono davvero la scena come la raccontò Luca. Non c’erano feste o luci, non c’erano pizzaioli o venditori di frittelle, c’era solo il buio e qualche pastore ignaro. Ci disse che Gesù è nato nel buio, da solo

E io lo so che aveva ragione il prete. Il Natale è la festa della luce contro le tenebre. La festa in cui tutti assieme ci riuniamo per affrontare il momento più buio dell’anno. Ci riuniamo in casa con le nostre famiglie e assieme ci facciamo forza, accendiamo le luci per ricordarci che anche nel momento più buio c’è sempre la speranza. C’è la speranza di un bimbo che nasce, e ci facciamo coraggio perché quella speranza a volte tarda a venire, perché il buio è spaventoso ed è pieno di paure.

E pensavo a questo mentre il prete parlava, e c’era Costanza seduta tra me e sua madre. Ed eravamo lontani dalla nostra casa, circondati da sconosciuti con cui però stavamo affrontando la notte più buia, e quel signore con la barba bianca che ci accompagnava e guidava. Lo so che erano tutte storie, ma erano storie bellissime, che fanno parte di noi, che sono dentro di noi, che raccontano chi siamo e di cosa abbiamo paura. E pensavo a questo rito antichissimo a cui stavamo partecipando, a tutti quelli che erano stati prima di noi e che avevano affrontato la notte come stavamo facendo noi. Pensavo ad un fuoco in una grotta che rischiara un gruppo di persone, immaginavo le capanne e le case in pietra, le facce riscaldate dai camini, il buio rischiarato dalle torce, il cielo stellato delle notti fredde e la luce della luna. E ci stringevamo l’un l’altro e non eravamo soli.

Questo è il Regno dei Cieli.

E mi venne da piangere.

Non riuscimmo a finire la messa perché Costanza era stanca e tornammo in camera. Adesso però avevamo meno paura, non ci sentivamo soli.

Costanza è stata dimessa il 28 Dicembre e adesso sta bene. Eleonora ha ancora qualche decimo di febbre e Luisa deve prendere l’antibiotico per un altro giorno e poi avrà finito la cura anche lei. La mamma di Costanza ha ancora un po’ di mal di gola.

“Bimba ciao” è stata dimessa il 27 dicembre.

Dio non esiste, ma va bene lo stesso.




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