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Bella e il brutto

Bella e il brutto

Giuseppe Iannozzi

Foto di Gabriel Silvério su Unsplash

Perché fosse venuta a sedersi accanto a me, lei che era la più Bella in quel dannato bar di quart’ordine, non lo seppi mai con certezza. Tra tanti uomini, venne da me e, come se da sempre ci conoscessimo, mi abbracciò sussurrandomi all’orecchio: “Sei il più brutto qui, lo sai?”
Non arrossii né altro, sicuro che in un battibaleno si sarebbe squagliata. E invece accomodò ben bene il suo bel sederino sullo sgabello e senza pensarci su due volte accarezzò con la sua mano di velluto la mia non poco ruvida, per poi condurla sotto la sua gonna: non portava le mutandine e la sua fica era piccola e stretta, delicata come seta.
“Berresti qualcosa con me?”
Scossi le spalle sconsolato: “Non ho il becco di un dollaro, bambolina. Sei capitata male.” Lei non si scompose.
Fece un cenno al barista e ordinò due doppi whisky.
“Voglio bere con te, è tutto okay”, disse civettuola senza aggiungere altro.
“Sei maggiorenne almeno?”
“Ti interessa davvero?”
Scossi la testa.
“Non mi chiedi come mi chiamo?”
Scossi di nuovo la testa.
“Sei brutto e furbo… questo mi piace in un uomo.”
Le sorrisi.
Scolammo i nostri whisky in santa pace, dopodiché pagò per entrambi, lasciando i soldi sul bancone. Con piglio autoritario mi indicò di uscire dal bar.
Non sapevo che cosa pensare.
Lei dovette accorgersi del mio sbalordimento, così subito mi rassicurò con il più bel sorriso che donna mi abbia mai fatto: “Tranquillo, non è uno scherzo.”
La notte era fredda, buia. Non sarei uscito se non a mattino fatto da quel diavolo di bar se lei non mi fosse capitata fra le gambe.
“Bella”, le dissi fissandola negli occhi color nocciola.
“Mi piace, chiamami pure così, Bella.”
Feci un cenno d’assenso con il capo, leccandomi le labbra. La cinsi alla vita, ma subito la mano mi scivolò sul suo sedere. Lei mi sorrise con la bocca a cuore, fingendosi sorpresa, scoppio poi in una risata argentina, che mi provocò un’erezione da farmi girare la testa.
“Dove andiamo, Bella?”
“Da me.” Non aggiunse altro. Mi lasciai condurre.

Cominciammo a frequentarci con regolarità. Per il tempo che durò, persi perfino il vizio di ubriacarmi e scrivere poesie. Fare l’amore con Bella Era diverso: lei lo faceva come una bambina bisognosa di protezione. Bella non chiedeva altro che di essere amata.

Un giorno scomparve, non si presentò all’appuntamento.
Aspettai fino all’alba, pregando che il suo sorriso illuminasse ancora, per un’ultima volta, la mia brutta faccia: niente. Vidi soltanto i volti scassati degli ubriachi sciamare fuori dal bar. Tornai a casa, tra fogli di carta mal vergati e scarafaggi. E mi attaccai alla bottiglia. Non ci fu verso d’ubriacarmi. Per quanto buttassi giù vino scadente, la mia mente rimaneva sempre troppo lucida. Scesi dunque in strada per cacciarmi nel primo drugstore e recuperare altro vino a poco prezzo.
Non dormii per tre giorni di seguito, né mangiai. Bevevo come una spugna, ma il dolore della perdita non si ammorbidiva. Perché Bella era scomparsa? Si era forse stancata di stare con l’uomo più brutto della città e per giunta con il portafogli quasi sempre sgonfio? Domande futili: Bella era diversa, non le interessavano stupidità come la bellezza, il potere e il denaro, e nemmeno le interessava che avessi il vizio di scrivere poesie.

Nei giorni che seguirono, continuai a cercarla: mi recavo a casa sua, la porta era sempre aperta, ma di Bella nessuna traccia, nessun indizio che mi potesse far immaginare che cosa le potesse esser successo. Domandai in giro se avessero visto una ragazza, capelli lunghi e tizianeschi, occhi color nocciola. Non ne cavai un ragno dal buco. La risposta più plausibile che ottenni fu dal barista dell’Hell’s Bar; sputando alcool e veleno, mi spiegò che una topa così non si era mai vista e mai si sarebbe vista nel nostro dannato quartiere.
Sconfitto.
Gettai la spugna e tornai a bere, tenendo compagnia a vecchi stalinisti e ad altri brutti ceffi, per rincasare a mattino già fatto e scrivere poesie del cazzo, prima di cadere in un sonno vuoto di sogni e speranze.

L’autore:

Iannozzi Giuseppe: (Torino, 1972) è scrittore, giornalista, critico letterario e blogger. È autore dei romanzi Angeli caduti (Cicorivolta edizioni, 2012), L’ultimo segreto di Nietzsche (Cicorivolta edizioni, 2013), La cattiva strada (Cicorivolta edizioni, 2014), La lebbra (Edizioni Il Foglio, 2013). Nel 2016 ha curato e tradotto gli apocrifi bukowskiani Bukowski, racconta! (Edizioni Il Foglio, 2016); nel 2017 ha pubblicato la sua prima antologia poetica, Donne e parole. Sulle orme di Leonard Cohen (Edizioni Il Foglio). Ha inoltre scritto introduzioni e critiche per diversi autori. Attualmente collabora con diverse testate online e non.



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