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Marco e Veronica. Come tutto ebbe inizio

Marco e Veronica

Come tutto ebbe inizio

di Giuseppe Iannozzi

Foto di Dushawn Jovic su Unsplash

Capitolo uno

Marco mirava la lingerie di Veronica con occhi gravidi di piacere; e che gliene importava se mutandine e calze eran cosette di mercato, se profumavano più di povertà che non di borotalco! Di donne ne aveva avute non una o due, ma ogni volta si sorprendeva della bellezza, o meglio, della nudità femminile: una volta svestita la donna gli faceva sangue, la vista gli si obnubilava e non badava più a certe imperfezioni che però c’erano, talvolta evidenti e non poco.
Marco, venuto su da una famiglia di contadini a forza di botte e scudisciate, a vent’anni già mostrava una calvizie che presto si sarebbe risolta in una quasi totale assenza di capelli; non era bello, né sapeva parlare in maniera conveniente, alle donne però piaceva, piaceva perché in lui tutto faceva pensare a una scimmia fuorché a un uomo bell’e fatto; e Marco, sgraziato nei modi e nel favellare, aveva trovato nella disgraziata sua condizione un punto di forza, che se non inteneriva le femmine perlomeno le incuriosiva quel tanto perché alla fine quelle ci stessero. Non si rendeva conto che lo giocavano, che se lo nascondevano fra le gambe per non guardarlo dritto negli occhi; e lui che, in fondo in fondo, era un debole, s’illudeva d’esser dalle donne amato. Se solo avesse avuto un grano di sale in zucca, lo avrebbe capito da sé che il gentil sesso si burlava di lui; quando poi, giù in paese, si vantava d’esser stato con quella e pure con quell’altra, gli amici gli ridevano addosso, lui però non se ne accorgeva e alle loro risate univa la sua passandosi una mano fra i capelli, ogni giorno più radi e sottili.

Non soffriva Marco d’aver avuto una infanzia di botte e poco altro; in cuor suo non era mai maturata l’idea che la felicità potesse essere qualcosa di diverso dal prenderle forte sul sedere o altrove per un nonnulla, per una birichinata, o perché quel giorno la madre s’era alzata col piede sinistro. Donna Diavola, come tutti la chiamavano, aveva messo al mondo sette figli, di cui sei di sesso femminile.

Era nato di sette mesi Marco e poco ci mancò che Dio lo raccolse tosto a sé. In cuor suo Donna Diavola pregò perché accadesse; si sarebbe fatta una bara bianca, piccola però, e lei avrebbe anche pianto per far piacere ai vicini di casa e al marito. Non era però accaduto e quando Marco superò di buon grado la fase critica, che l’aveva visto diventare più viola d’una melanzana, Donna Diavola dovette accettare l’idea di sfamare quella bocca. Maledetto il giorno che aveva pregato il Signore! Che pentimento, che pentimento covava adesso in petto. E più cresceva e più l’odio della donna nei confronti del bambino si faceva forte: perché mai non era morto quando ne aveva avuto l’occasione? Per colpa di Marco, lei, la Diavola, era diventata oggetto di scherno di una bella fetta della Ciociaria; per questo non avrebbe mai perdonato a Marco d’aver dato il primo vagito, d’aver finto di soffocare per poi riprendersi e in salute per giunta. Maledetto Quel Giorno Che aveva pregato perché Dio le desse un figlio maschio. Che le era mai passato per la testa? Non lo sapeva bene neanche lei, certo che no. O forse sì, lo sapeva, s’era lasciata trascinare da un istinto animale; ma non lo avrebbe mai ammesso, men che meno a sé stessa.
Fosse stato almeno un figlio normale, e invece no, era nato di sette mesi, il disgraziato. Le ciociare se la ridevano sotto i baffi quando la vedevano attraversare le strade per andare all’orto; che poteva mai fare? Stringere i denti e bestemmiare, ma non a voce alta. In paese erano tutti cattolici e fascisti convinti, guai dunque a farsi sentire d’accusar Dio o Cristo per una disgrazia o gioia che fosse; Donna Diavola scivolava dunque accanto alle compaesane facendo finta di niente, ma dentro di sé si sentiva morire, e di più ancora quando la fermavano per scambiare due chiacchiere: “Tutto bene, allora? Oh, che annata, mica buona per le olive e pure l’uva non ci verrà su buona; ma che importa, l’importante è la famiglia; che tutti stiano bene in salute, non è forse così Donna?” Lei accennava un sì con il capo e subito cambiava discorso, quelle così si prendevano la soddisfazione d’averla stuzzicata, le si leggeva infatti la stizza in viso che le si faceva rubizzo mentre gli occhi pareva volessero schizzargli fuori dalle orbite. Maledetto quel giorno che s’era portata in chiesa, maledetto per sempre: non avrebbe mai dovuto pensare, neanche lontanamente, che la famiglia avesse bisogno d’un altro uomo oltre a quel cretino di suo marito.

La madre lo caricava di botte, il più delle volte senza una ragione; il bambino si limitava a piangere, convinto che la punizione, in un modo o nell’altro, se l’era andata cercando e giacché veniva punito s’illudeva che fosse per il suo bene, perché la madre lo amava! Seppur in salute, almeno così pareva, robusto come tutti i ragazzini cresciuti in strada e allattati più dalle fontanelle che non dai seni materni, Marco non era una cima e non era nemmeno furbo; non che fosse proprio stupido o deficiente, era un ingenuo troppo ingenuo forse, e, come tutti gli sfortunati che soffrono d’ingenuità, certe cose non le capiva né gli passavano per l’anticamera del cervello, per cui mai un sospetto che la madre non lo amasse.

Giacomo, il padre di Marco – o perlomeno quell’uomo che si suppone fosse il genitore –, badava poco o nulla ai figli; contadino per vocazione, mani callose e un cervello ridotto al minimo, seppur buono d’animo, era distratto, troppo per prendersi cura dei figli; rincasava sempre tardi dopo aver passato l’intera giornata nei campi, e unica sua soddisfazione era la cena. Non era tipo d’informarsi dei bisticci in famiglia e men che meno ci teneva ad affrontare la moglie; anche a letto era lei a prendere il sopravvento, lui subiva passivamente, cercava di pensare ad altro mentre lei lo schiacciava sotto la sua mole di ciociara bene in carne.

da Il Tormento di Giuseppe Iannozzi

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