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Lavoro malpagato e schiavitù

Lavoro malpagato e schiavitù

Giuseppe Iannozzi

Il problema è che il Lavoro viene malpagato, sia che tu faccia otto ore, sia che tu ne faccia quattro. Il problema è vecchio. “Elogio dell’ozio” raccoglie diversi scritti del filosofo Bertrand Russell: la prima pubblicazione risale al 1935. Se ieri il problema era l’avidità di certi datori di lavoro (anche George Orwell ebbe modo di dire la sua contro l’oppressione, la schiavitù e il sistema lavorativo; e ci sono decine e decine di autori, forse meno famosi, che già ieri affrontarono le problematiche legate al mondo lavorativo), oggi non è diverso: ieri, Russell parlava di schiavitù: «L’etica del lavoro è l’etica degli schiavi, e il mondo moderno non ha bisogno di schiavi.» La schiavitù c’è ed è ben visibile. Quanti milioni di persone soffrono la fame nel mondo? Quanti nuovi schiavi ci sono oggi in Italia, persone malpagate che non arrivano manco a metà mese?

I processi produttivi sono oggi sono molto veloci, grazie alle macchine! Domani, grazie all’IA – che di intelligente ha solo la stupidità umana – moltissimi lavori non esisteranno più, così saremo costretti a leggere un libro tradotto da una macchina: che bellezza! O un libro scritto da un calcolatore! Doppia bellezza. In realtà, è già accaduto. Il risultato? Sono assolutamente privi di anima, non restituiscono niente al fruitore (al lettore che un’anima ce l’ha).

Anche ieri la scusa era «il costo del lavoro è troppo alto». Niente di nuovo. È trascorso un secolo e la scusa è sempre la solita, più vecchia del cucco. Ora non sto assolutamente dicendo che tutti i datori di lavori sono degli schiavisti. Se dicessi una cosa del genere sarei da manicomio. Ci sono però personaggi che riducono in schiavitù chi ha bisogno di lavorare per poter mangiare. Le macchine intelligenti, poi, sono un problema, un altro che, ovviamente, è stato creato dall’uomo.

Anche ieri la scusa era «il costo del lavoro è troppo alto». Niente di nuovo. È trascorso un secolo e la scusa è sempre la solita, più vecchia del cucco. Ora non sto assolutamente dicendo che tutti i datori di lavori sono degli schiavisti. Se dicessi una cosa del genere sarei da manicomio. Ci sono però personaggi che riducono in schiavitù chi ha bisogno di lavorare per poter mangiare. Le macchine intelligenti, poi, sono un problema, un altro che, ovviamente, è stato creato dall’uomo.

Non si pretende che i datori di lavoro, quelli onesti, aumentino le paghe senza una riforma dei costi. Si pretende però che l’imprenditore sia responsabile, perché da lui dipendono le vite di tante famiglie. E l’andamento dell’economia del paese. Non mi sembra che ci sia stata molta attenzione nei confronti dei lavoratori – e lo stiamo vedendo in questi giorni anche: le agitazioni diventano sempre più frequenti. Ma non voglio toccare la politica, perché non mi compete e perché essa è sempre una cosa sporca. Penso che solo chi può permetterselo dovrebbe fare l’imprenditore: se uno ha dei capitali risicati, meglio che ci pensi su almeno due volte prima di rovinarsi e rovinare famiglie. A ogni modo, le grandi aziende sono quelle che, in molti casi, tutelano poco o niente i lavoratori, costringendoli a turni massacranti, con stipendi da fame. Niente di nuovo: questo accadeva cento anni fa e accade ancor oggi.

I piccoli imprenditori posso comprenderli ma non li santifico tutti: assumano il personale che sono sicuri di poter mantenere. Quello che invece accade, non dico sempre, deo gratias, è che anche i piccoli assumano in nero. E questo non è davvero tollerabile. Perché assumere in nero? Perché hanno bisogno di manodopera, però non intendono (e soltanto in alcuni casi non sono nelle condizioni) di mettere in regola il lavoratore. Ribadisco che nella piccola imprenditoria ci sono, per fortuna, rari casi dove imprenditori e operai collaborano, dove l’imprenditore è come un padre e dove gli operai sono considerati dei figli.

Bisognerebbe imparare che azienda e operaio sono un’unica entità. Se la ditta chiude, anche l’operaio resta senza lavoro. Esistono, per fortuna, delle rare realtà lavorative dove ditta e operai sono un tutt’uno. Ci vorrebbe una revisione della mentalità imprenditoriale che oramai è vetusta e non adeguata ai tempi.
Manca la volontà per un cambiamento! Temo di sì. A molti l’attuale situazione va bene, e non credo di sbagliare se penso che c’è anche chi spera di poter avere sempre nuovi schiavi.

Esistono colossi industriali ben peggiori di quelli occidentali, è sufficiente far riferimento a certe realtà cinesi: c’è di che aver paura. E io temo che il modello che presto si consoliderà sarà proprio quello cinese, dove ogni libertà, anche quella di pisciare, è negata perché bisogna produrre e crepare.

L’acquirente, purtroppo, è il soggetto più debole e indifeso, soprattutto se ha poco in tasca ed ha la necessità di acquistare un prodotto di cui non può fare davvero a meno: è chiaro che lo prende dove gli costa meno. Non è stupido, lo sa che sta alimentando il sistema, ma l’istinto è giustamente quello di sopravvivere.

Più si va avanti e più si va indietro. Sostanzialmente il mondo non è cambiato, o meglio, le società non sono cambiate: ieri c’erano pochi ricchi e tanti tiranni che dettavano legge e c’erano i disperati. Oggi il panorama è uguale.

Non sono un economista, è chiaro. Le mie sono riflessioni che nascono leggendo la storia recente e quella passata.



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