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Greenwich Village & altre storie

Greenwich Village & altre storie

di Giuseppe Iannozzi

– self portrait, Chatterly –

GRANDE VUOTO

a Chatterly

Dammi indietro il mio sitar,
i libri degli antichi saggi
e quel giorno di pioggia
che ti mancava una bugia

Quando sono venuto
te l’avevo detto che ero
di passaggio;
hai taciuto,
mi hai messo in mano un rasoio
e con sguardo tagliente
hai accarezzato i miei capelli
Ho obbedito,
ci siamo poi seduti
senza scucire una parola:
fuori c’era aria di rivoluzione

Dammi indietro quel giorno,
il suono estatico del sitar
che insegnava all’anima
la ribellione e la comunione
Dammi indietro le ciocche dei miei capelli
e il Grande Vuoto dell’Universo
Quando sono venuto non ho mentito,
credevo davvero d’essere una zucca vuota,
uno che solo studiava per non capire un’acca
Ora ho bisogno di suonare,
di tornare sulla strada sotto il sole
Ho conosciuto tante malattie,
alcune mortali, ma sono ancora qui
Ho visto piccoli uomini spaccare teste
e ho visto i loro stupidi becchini
Ho visto monaci scivolare lungo il fiume
con la pancia gonfia d’acqua e il volto ammaccato
L’Universo ha impiegato proprio niente
per cadere nel suo Centro
Così ti chiedo di darmi indietro il sitar
Sono una zucca a metà e non vuota,
me l’hai insegnato tu immersi
nelle luci delle candele
Ma ora devo trovare il Suono Perfetto
che ci sollevi dalla Miseria
Fuori c’è più morte che rivoluzione,
non è tempo buono per la meditazione

I Beatles sono quasi tutti morti
I Rolling Stones sono neri dentro

Oh sì, sono così neri dentro
Tutti noi lo siamo
Dammi indietro il mio sitar,
le stagionate parole degli antichi saggi
e quel giorno di pioggia
che ti mancava una bugia
per dirmi “ti amo”

FIOR DI LOTO

Fior di Loto, a chi,
a chi ora dirai che,
che l’ombelico
ha un suo centro
ma non la perfezione?

E nella posizione
che sapevi perfetta,
sempre un po’
si viene
per vivere la vita
e perdere poi
felicità.

Fior di Loto, quanto,
quanto ancora
resta di noi?
Un volere
Tutto e Niente,
o la polvere
di Babilonia.

PIOGGIA DI TE

Piovimi addosso
come una pioggia
o una cascata di sole,
e ti raccoglierò
fra le braccia
rubandoti a Dio,
alla sua superbia
di crederti sua

IL CIUFFO TUO BIONDO, ISABELLA

a Isabella

Il ciuffo, il Ciuffo Tuo Biondo,
quello è sempre più ribelle,
e non sono io bravo
a fare battute
che facciano ridere
o riflettere un poco
E non sono neanche
più buono a scrivere poesie,
con o senza un senso

Per montarmi la testa,
avrei bisogno
di una lacrima o due di buon profumo
da buttar giù nel gargarozzo;
cerco di procurarmelo,
mi  rifilano stupida acqua di colonia:
ho inutilmente dato fondo
ai pochi spicci in saccoccia,
mannaggia!
Al Greenwich Village (*),
nella sua parte meno ricca,
lo Chanel n. 5
non lo considerano affatto
una necessità,
non lo trovi al mercato nero,
è questo il fatto

La tentazione sarebbe una,
quella di cantarti una canzone
tentando d’esser gaio
come un cantante della Motown,
ma se lo facessi nutro tema
che finirei male, come Woody Allen
che cerca di rubare la marmellata
con la scusa d’essere ebreo
e d’aver tanto sofferto in gioventù
E tu lo sai che sono
claustrofobico e ipocondriaco:
in un’Aula di Tribunale,
poco ma sicuro, ci morirei
E sai bene anche
che per far poesia
non basta andare a capo
e poi dichiarare al mondo
“Questi sono miei, versi miei,
e i rutti, pure quelli, sì!”

Rose in dono non posso,
sei sposata giù da un bel po’,
e di farmi scassinare il naso
da quel gorilla di tuo marito
non se ne parla proprio

Non vedo che una soluzione,
darmela a gambe levate;
sono in ritardo pazzesco,
ho dimenticato il giorno esatto
del tuo compleanno,
e adesso rischio pure di perdere
il pullman per il Messico,
la mia sola speranza di salvezza!

(*) In questa poesia, il Greenwich Village non corrisponde affatto a quello della realtà di oggi. Il “mio Village” è chiaramente un posticcio.

FUORI DALLA TEMPESTA

È stata la tempesta,
non l’ho voluta
ma è stata;
così, adesso,
che sono
e sono fuori
dall’ingombro
di nuvole e vili strali,
taccio, lasciando
la parola non a Dio,
non all’amore
e nemmeno al mio Io.
Lascio che il Silenzio
parli a lungo
con parole malfatte;
e abbandono il sorriso,
quello di Calibano.

È stata la tempesta,
non l’ho voluta,
ma oggi ne sono fuori.

Miro l’orizzonte
a fronte alta
sfidando della stupidità
la somma spergiura.

NESSUNA CROCE IN MANO

Ho pregato a lungo
alla deriva con il mio legno,
e nessuna croce in mano
Ho pregato
perché Moby Dick
mi abbattesse prima
che il mio arpione
gli imponesse
la mia ferrea ragione

Ho bestemmiato
per dar sfogo alla lingua
– per troppo tempo costretta
a leccare del mare il sale

E alla fine son tornato
al molo che mi salutò
con uno schiaffo di paura
Della mia donna però
nessun segno, solo camalli
e streghe sbronze
E un chierichetto più di là
che di qua

POETI DA STRAPAZZO

In alto mare,
col tramonto
sulla fronte inchiodato,
il successo cercano
certi poeti da strapazzo;
io invece sol desidero
il decesso loro
fra mozzi ubriachi
ed Erinni strafatte
di sole cocaina e crack

UNA FOGLIA

a Cinzia

Di tanto in tanto
cade una foglia
di triste gioia
nell’autunno dell’età,
quasi a ricordarci
quanta, quanta
la stupidità
che ci ha detti
qui per sempre

ORIENTALE

Il Piccolo Monaco ha sorriso
al fiume impetuoso
La Donna ha alzato gli occhi
a mandorla
da terra
e ha tenuto il silenzio
come le hanno insegnato
quand’era una bambina al Tempio



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