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Cristina Caloni: “La mia stagione è il buio” e “Animali bianchi”. Intervista all’Autrice: “La bellezza degli sconfitti supera la fierezza di ogni vincitore”

Cristina Caloni

“La Mia Stagione è il buio” e “Animali bianchi”

Intervista all’Autrice

“La bellezza degli sconfitti supera la fierezza di ogni vincitore”

di Giuseppe Iannozzi

Cristina Caloni non nutre dubbi, “la bellezza degli sconfitti supera la fierezza di ogni vincitore”. L’autrice ha il suo attivo due romanzi, “La mia stagione è il buio” (Golem Edizioni, 2021) e “Animali bianchi” (Golem Edizioni, 2022). Cristina Caloni scrive guardando al neogotico psicologico e al romanzo tondelliano, andando ben oltre il mero romanzo di formazione. Le storie della Caloni, con rabbia e poesia, colpiscono come un pugno alla bocca dello stomaco, ricordandoci che le anime salve sono spiriti liberi che combattono da soli le loro proprie battaglie.     

1. Cristina Caloni, “La mia stagione è il buio” è il tuo vero debutto nel mondo letterario; il tuo romanzo viene stampato nel 2017, per i tipi della Castelvecchi; nel 2021 viene ripubblicato da Golem Edizioni, casa editrice con la quale hai anche pubblicato “Animali bianchi” (aprile 2022, Torino).
“La mia stagione è il buio” è un romanzo che accoglie elementi tipici del genere gotico-psicologico, ma non escludo che tu possa essere stata influenzata anche da altri autori. Il titolo del tuo lavoro è un verso di una poesia di Cesare Pavese, Sei la terra e la morte. “La mia stagione è il buio” vede protagonista Julian Tartari, un affascinante e talentuoso artista che, purtroppo, soffre di una grave forma di schizofrenia. Immagino non sia stato facile scrivere questa storia: l’alito fetido della morte si avverte sin dalle prime pagine.

Sì, “La mia stagione è il buio” è il mio debutto letterario, per quanto sia stato scritto parecchi anni dopo “Animali bianchi” che sarebbe il mio vero esordio sebbene, per i temi trattati, vent’anni fa non riuscì a trovare editore. “La mia stagione è il buio” è nato dall’esigenza di sublimare una morte che ha colpito nel profondo la mia cerchia di amici, segnandone una sorta di fine della giovinezza. Forse ho scelto Pavese per il titolo anche pensando alle sue ultime parole “non fate troppi pettegolezzi”, poiché ce n’erano parecchi intorno a Jacopo OZ, l’amico musicista che ci ha lasciati tredici anni fa, a cui è ispirata la figura di Julian Tartari. Scrivere non è mai facile, poiché ogni autore deve affrontare le proprie paure, ma è sicuramente catartico, sia per chi scrive che per chi legge. Purtroppo non troppi amici in comune hanno affrontato questa lettura, probabilmente credendola una biografia.

2. Julian Tartari non è un semplice frutto della tua immaginazione! Cristina, chi è stato Jacopo O.Z.? Da quel che so, ha pubblicato un solo disco insieme al suo gruppo, i Mercury drops. L’incontro con la loro musica è stato per te decisivo, non è forse così?

Come cerco di raccontare nella seconda parte del romanzo, Jacopo Omodeo Zorini era un musicista talentuoso, originario di Novara, che ci ha regalato il bellissimo album “Love is the end”. La sua musica mi piaceva molto, per quanto fosse arrivata tardi, quando ormai le sonorità del britpop avevano lasciato posto ad altro. Più della sua musica, quindi, è stato decisivo l’incontro con lui come persona, infatti è stato per me una vera e propria musa ispiratrice. Sono contenta di avergli restituito una vita incorporea: ne stiamo parlando, sarebbe felice di essere ancora ricordato, a distanza di un decennio.

3. A quali autori hai fatto riferimento durante la stesura di “La mia stagione è il buio”? Nel tuo libro citi diversi artisti, alcuni molto famosi, altri un po’ meno.

In questo romanzo non sono io a citare molti autori, ma Julian, che non riesce a distinguere tra realtà e immaginazione e considera reali i protagonisti dei romanzi che legge. Non cita quindi gli autori, ma i personaggi, dunque non Fitzgerald, ma Nick Carraway. Le citazioni sono volte a sottolineare la sua follia. Durante la stesura avevo ben presente il neogotico che amo particolarmente, da Fogazzaro, a Shirley Jackson, a MacGrath, ma in ogni romanzo confluisce tutto il bagaglio culturale di un autore che, figlio del suo tempo, consente a ciascun lettore di trovare riferimenti diversi. Chi Pirandello, chi, come te, Arriaga.

4. Cristina Caloni, qual è il tuo rapporto con la musica? Nei tuoi scritti non manchi mai di citare cantautori e cantanti. La tua scrittura non può davvero fare a meno di abbracciare il panorama musicale.

Non si può vivere senza musica, d’altra parte credo che la musicalità sia una parte molto importante della scrittura, dello stile. Un testo deve avere ritmo, deve poter essere letto facilmente ad alta voce, evitando magari assonanze e troppe concessioni alla prosa poetica che può risultare pesante. Spero di aver trasmesso questa musicalità ai miei testi. Quanto al mio approccio con la musica, è purtroppo molto legato ai contenuti, come spesso accade agli scrittori, per i quali la parola viene prima di tutto.

Tornando ai romanzi, il progetto Read and play ha creato la colonna sonora, decisamente eterogenea, de “La mia stagione è il buio”, che spazia dal jazz a David Bowie. Dopotutto, Julian Tartari è un crooner. Nell’audiolibro omonimo, nato dalla sinergia con la premiata ditta Casanova&Loreti, ci sono anche le musiche dei Mercury Drops. E, mentre “Animali bianchi” spazia dal pop ai Pearl Jam, il mio inedito si focalizza sulla new wave italiana.

5. Quanto è difficile scrivere un romanzo che non contenga elementi autobiografici? “La mia stagione è il buio” è il tentativo, a mio avviso molto ben riuscito, di disegnare il disagio, l’alienazione dell’individuo, la malattia mentale. Arthur Schnitzler, Patrick McGrath, Guillermo Arriaga, questi autori ti dicono qualcosa?

Tutti i romanzi sono autobiografici, così come non lo è nessuno, nel senso che ogni autore parte dal suo vissuto, dai suoi traumi, ma poi tende più che può all’universale. Se però intendiamo il genere di autofiction che oggi piace molto, me ne devo discostare, perché io scrivo sempre fiction. Credo nell’immaginazione: il dato reale è solo uno spunto, mai riuscirei a vestire la mia pelle e le mie ferite come abiti di scena. Forse avrei più seguito se parlassi dei miei lutti e della mia malattia agli occhi, poiché in Italia abbiamo una grande tradizione patetica, ma ho un approccio opposto, ovvero dimenticare me stessa attraverso la scrittura, essere altro. Ne “La mia stagione è il buio” parlo di follia, anzi, rifletto sull’eredità della legge Basaglia e su quanto, togliendole fondi, le famiglie siano rimaste sole. Ho letto molti romanzi di MacGrath e ho persino una copia di Follia autografata, nell’edizione Adelphi del 1997. L’ho incontrato alla presentazione de “La guardarobiera”, organizzata da Luca Crovi ad Affori, qualche anno fa, nell’ambito della rassegna “Cucina calibro noir”. Ho letto molti testi di Schnitzler e, ovviamente, ne ho visto riduzioni teatrali e cinematografiche, mentre conosco Arriaga solo per un paio di sue sceneggiature.

6. “Animali bianchi” è un romanzo busiano ma anche tondelliano. Qual è stata la genesi di questo tuo secondo lavoro pubblicato da Golem Edizioni?

Hai ragione a citare questi due autori, soprattutto Tondelli, mostro sacro, del quale “Animali bianchi” ricorda la rabbia, forse perché l’ho scritto quando ero più giovane. In un romanzo ancora inedito ho tributato una scena a Tondelli, quella del bacio al concerto punk: i miei due protagonisti (un tossicodipendente e un seminarista) si baciano a un concerto dei CCCP. Tecnicamente, come ti ho detto, “Animali bianchi” sarebbe il mio esordio, ma il suo momento è arrivato nel 2022, quando il palco di Sanremo era gremito di animali bianchi, ovvero di persone gender fluid, e lo Strega è stato vinto da “Spatriati” di Desiati, anch’esso molto fluido. “Animali bianchi”, infatti, parla di androginia. Lo spunto è nato dalla mia relazione burrascosa con una ragazza e dal mio giro di amici, a cui ho tentato di dare voce e identità. Dopo l’avvento del governo Meloni, sono più che mai soddisfatta di questa pubblicazione che esprime tutto il mio dissenso politico.

7. “Animali bianchi” contiene una bella dose di rabbia. È un lavoro che non manca di evidenziare l’ottusità e la cattiveria gratuita che circolano liberamente nella nostra società. Cristina Caloni, siamo di fronte a un j’accuse?

Abito a Milano, quindi vivo una sfasatura rispetto al resto del Paese e l’elezione di Giorgia Meloni conferma le mie paure. Sì, è il mio grido di dissenso, è come scendere in piazza a manifestare durante il Pride. Trovo assurdo che i partiti strumentalizzino la battaglia per i diritti civili che dovrebbero, semplicemente, essere garantiti a tutti. Il paradosso sotteso in “Animali bianchi” sta anche nell’ambiguità politica e religiosa della protagonista che, in fondo, richiama certe lacerazioni spirituali di “Camere separate”.  Avrei voluto scatenare più polemiche, ma non sono abbastanza conosciuta per farlo e non so nemmeno se potrei sopportarle. Con “Animali bianchi” non accuso solo il governo, ma anche le associazioni che si sono discostate dal transfemminismo, come Arcilesbica. “Animali bianchi”, invece, è proprio un romanzo transfemminista che difende la libertà dell’individuo di fare del proprio corpo ciò che crede, contestando, tra l’altro, la divisione binaria dei generi.   L’allargamento dei diritti non può danneggiare nessuno, mentre un certo tipo di femminismo lo vede come un’ulteriore minaccia al corpo delle donne.

8. Fran è la protagonista principale di “Animali bianchi”; Fran è una artista, ma, purtroppo, non ha dalla sua un talento degno di nota. Fran è una giovane donna che non riesce ad affrontare la sua nevrosi; si circondarsi di persone che, forse involontariamente, le fanno del male. In “Animali bianchi” tutti i personaggi vivono le loro crisi esistenziali. Amen, co-protagonista misogino, dice che la società è una ‘soap opera radical chic’. È anche il tuo punto di vista, Cristina?

No, non lo è. Questo romanzo è un’istantanea delle vite dei personaggi che hanno un’evoluzione molto lenta e sicuramente discendente. Forse, in modo non consapevole, ho sentito il bisogno di parlare di personaggi lgbtq+ irrisolti per spiegare il disagio che tuttora vivono nel Paese. Presentare personaggi pacificati mi sarebbe sembrato falso. In realtà io sono un’inguaribile ottimista, dunque spesso preda di cocenti delusioni.

9. Citando Sigmund Freud: «Ci si potrebbe arrischiare a considerare la nevrosi ossessiva come un equivalente patologico della formazione religiosa, e a descrivere la nevrosi come una religiosità individuale e la religione come una nevrosi universale. (Azioni Ossessive e Pratiche religiose) [….] La differenza iniziale si riflette così nell’esito finale: nella nevrosi una parte della realtà viene evitata con la fuga, nella psicosi essa viene ricostruita ex-novo. Ovvero: nella psicosi alla fuga iniziale fa seguito una fase attiva di ricostruzione, nella nevrosi all’iniziale sottomissione fa seguito un tentativo posticipato di fuga. Oppure, espresso in altre parole ancora: la nevrosi non rinnega la realtà e semplicemente di essa non vuole sapere nulla; la psicosi invece rinnega la realtà e cerca di rimpiazzarla. Chiamiamo normale o “sano” un comportamento che unisca determinati tratti di entrambe le reazioni, che al pari della nevrosi non rinneghi la realtà, e che però poi, come la psicosi, cerchi di modificarla. Questo comportamento normale e adeguato porta naturalmente a un lavoro di manipolazione esterna sulla realtà e non si accontenta, come la psicosi, di modificazioni interne; non è più un comportamento autoplastico, ma alloplastico. (La perdita di realtà nella nevrosi e nella psicosi)»
Cristina Caloni, pensi che l’analisi di Freud spieghi, almeno in parte, i comportamenti dei tuoi personaggi?

Che domanda difficile, ma interessante. Penso che in parte Freud riesca a spiegare i comportamenti di Julian, che potremmo definire psicotico, e di Fran, più che anevrotica, per quanto la psicanalisi sia superata. La differenza tra lo psicotico e il nevrotico è che soltanto il primo, nella nostra società, rischia di non sopravvivere. Dunque, proprio al primo ho concesso di non morire. Non sono laureata in psicologia, quindi mi sono avvalsa di consulenze per capire se la diagnosi ai miei personaggi fosse corretta. Il fatto sconcertante è che ho scoperto della reale malattia mentale di Jacopo OZ soltanto successivamente alla stesura de “La mia stagione è il buio”.

10. Ma gli animali bianchi, gli esseri androgini di cui parli nel tuo ultimo lavoro, sono veramente delle anime salve? Nutro il sospetto che siano fintamente salve.

Per Fabrizio De Andrè le anime salve erano spiriti liberi e la loro libertà risiedeva nella solitudine, di cui infatti è impregnato tutto l’album. In questo senso gli animali bianchi di cui parlo lo sono, poiché combattono da soli le proprie guerre, pur ritrovandosi al Margot per cercare un senso della collettività. Come pensava lui, la bellezza degli sconfitti supera la fierezza di ogni vincitore.

11. Cristina Caloni, progetti per il futuro? Hai già pronto un nuovo romanzo? Sospetto di sì.

Sì, un inedito sta cercando editore. Si tratta di un romanzo ibrido, ovvero narrativa generale con sfumature neogotiche e noir, ispirato al processo letterario che ha coinvolto Stefano Binda riguardo all’omicidio di Lidia Macchi del lontano Ottantasette. Si tratta sempre di fiction, anche se lo spunto è un true crime, anzi un cold case. Come autrice ho trovato molto più interessante plasmare dei personaggi non aderenti al vero e inventare un finale… esplosivo. Sto poi lavorando a un romanzo che riflette sull’eredità degli anni di piombo e trova ispirazione nella figura di Maddalena Rostagno, ma ovviamente tradisco sia lei sia suo padre Mauro  in nome dell’invenzione. Devo ammettere che, tramite queste due figure, ho tentato di parlare di mio padre, perso da  bambina. Ho altri romanzi in mente e spero davvero di avere il tempo per scriverli tutti. Non è facile far convivere la scrittura con una malattia visiva e io non sono certo Borges che pure, progressivamente, passò alla poesia. Confesso di avere una silloge poetica nel cassetto, che ho anche tradotto in inglese e che, un giorno, mi piacerebbe pubblicare, magari con una piccola e preziosa tiratura. Per la prosa, invece, mi interessa poco il mezzo di diffusione, che sia cartaceo, digitale o sonoro.

Infine, ti ringrazio per questa bella intervista. Non essendo una scrittrice famosa, mi stupisco sempre dell’attenzione alla mia persona. Ho cercato di parlare meno di me e più delle mie creature perché sono convinta che non abbiano bisogno di vivere nell’ombra di uno scrittore-personaggio. Chissà, forse siamo riusciti a convincere qualcuno ad andare a conoscerle.

Cristina Caloni è laureata in Filosofia Estetica all’Università Statale di Milano, si è sempre occupata di arte contemporanea, ma ha lavorato in vari settori, dalle risorse umane, all’istruzione, alla politica. Benché esordisca nel 2014 in un’antologia di fantascienza per la casa editrice romana Gorilla Sapiens, il vero debutto avviene nel 2017 con La mia stagione è il buio per Castelvecchi, ripubblicato nel 2021 da Golem Edizioni. Collabora saltuariamente con alcune riviste e blog letterari, tra cui Zeta, Il Foglio Clandestino, Kulturjam.

Acquista dall’editore

La mia stagione è il buioCristina CaloniGolem Edizioni – Collana: Mondo – Prima edizione: settembre 2021 – Pagine: 144 – ISBN: 9788892910485 – Prezzo di copertina: 15,00 €

Animali bianchiCristina CaloniGolem Edizioni – Collana: Mondo – Prima edizione: aprile 2022 – Pagine: 172 – ISBN: 9788892910775 – Prezzo di copertina: 15,00 €



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