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Non c’è domani, non c’è domani

Non c’è domani, non c’è domani

ANTOLOGIA VOL. 277

Iannozzi Giuseppe

UNA FOGLIA

Di tanto in tanto
cade una foglia
di triste gioia
nell’autunno dell’età,
quasi a ricordarci
quanta e quanta
la stupidità
che ci ha detti
qui e a lungo

LA FINE DEGLI ANGELI

Tutto è finito
Ogni cosa ha perso
valore
Tutti gli angeli
caduti
schiantati
sulla durezza
delle nostre anime
hanno assunto
quella volgarità
che ci tiene in piedi

SOLO UN BUFFONE, AMICA MIA

Mi abbandoni e fai bene
Alla fine, a galla è venuta
la verità
Non sono il Re tutto d’oro,
sono solo il buffone di corte
col cerone in faccia
e la bocca nel rossetto
mortificata,
ma gli occhi son di lacrime
che lungo le gote
non lascio scivolare

Saprò seppellirmi
nelle risate sparate alle spalle,
negli insulti che per strada
di sicuro non mancheranno
insieme a mille tentativi
di farmi rovinare a terra
con sgambetti
e colpi di fionda alla testa
Berrò l’acqua
delle sporche pozzanghere,
pregando d’affogare
nella loro ridicola profondità

Alla fine, a galla è venuta
la verità: un buffone,
giusto un fallito, Amica Mia

NON CREDO PIÙ

Non credo più
alla tua dolcezza
Senza un bacio
si può forse dar
all’Amor nome?

Nelle lacrime
resto seppellito,
capriccioso
quanto un bambino
che ragione
non conosce
ma solamente
del cuore gli sbalzi

I.

Qualcosa
d’una semplicità estrema
ha salvato il mondo
dal mondo

Prima della diffusione
in lungo e in largo
delle religioni,
il Comandamento
era uno solo e non aveva nome,
era amore

“Sia su te il bene più che a me”

Qualcosa di semplice
ha salvato l’uomo
dall’uomo:
possibile
che la testa piena di poesia
mi faccia sol dire balordaggini?

II.

Sì, riconosciute bellezze
ma mai del tutto amate:
in ginocchio non cadono
i guastatori del Paradiso

D’amore si faceva pazzo
il vecchio Chet
quando la tromba d’oro
sulle sue labbra di miele

III.

E che importa se inizia adesso la storia,
o se dalla sua metà? Non ce l’ha un significato,
non ce l’ha avuto mai, ma ti è piaciuta
Che importa se si stava in pari sul nido del cuculo,
e se a piedi scalzi le ballerine ballavano Čajkovskij?

“Prendi, prendi questo ballo, è tutto ciò che ci resta”,
disse il poeta riempiendo di lacrime la fontana
“Raccogli la sua mano nella tua, raccoglila adesso
prima che sia troppo tardi”, le consigliò il vento

Vuoi incenso e petali di mille rose a inebriare le stanze
o un altro programma di pubblicità?

Era d’innocenza il sesso, il desiderio, il whisky
Non ricordi come la pioggia schiaffeggiava i volti
come smaniava l’ombrello sotto l’impeto del vento?

Che importa, che importa se non c’è proprio verso
di dar senso alla storia? Non ce l’ha un significato
Ma sempre di Venere si spinge oltre il piè leggero

IV.

Di buio si accendono fuochi, ciechi e vermi
Non sono sicuri gli enfi ventri della notte,
poeti e assassini tengono la luna storta
e giù al porto di Amsterdam
ha spalancato Jacques il petto al tumore

Dovresti provare ad aprire gli occhi
Osceni, osceni si muovono i Sette Cieli:
il Dio Cane ha decretato la disfatta,
ed ora tutti cercano un’ancora di salvezza,
quel filosofo belloccio che pani e pesci
da dentro il nudo utero sapeva pescare
senza sosta, benedicendo gli ultimi e i primi

Dovresti meditare
Dovresti guardare in faccia il buio,
la sua accusa e la brutale sua gioia vuota
di pentimento, e ti sentiresti viva!

Dovresti imparare, dovresti imparare
a scagliar lontano il vizio di giudicare
la Storia

V.

Essere alto,
in lungo e in largo cercando
di Omero le cieche orbite;
essere alto, perdere
le contraddizioni
che la lira di Apollo
la ridussero
in schegge di silenzio.

Per un foco nuovo,
per l’artifizio
che in ginocchio
costrinse Berlino,
esplodere fantasie di realtà;
mai più argentee nebbie,
mai più un vano peregrinare
fra deragliate disgrazie…
futili da raccontare.

VI.

Ed io e il mio io,
che insieme contiamo sì,
ma quanto il due di picche,
facciamo quel che possiamo,
non bene non male;
poi a tarda sera confidiamo
in una bottiglia di vino
che se non ci dà allegria
almeno almeno in un sonno di piombo
ci sprofonda;
e se sarà per sempre o no
chi se ne fotte.

SINO A TE

Un bianco gabbiano
giovane d’avventure
è da te venuto
con legato alla zampetta
un messaggio
Con gran coraggio
fra nubi e piogge
sino a te l’ha recato,
sino a te impaziente

Dàgli una o due pescetti
che hai in fresco; e lascia
che riposi il cuore e le ali
per il tempo necessario,
poi, senza pianto, lascia
che con un batter d’ali
sia di nuovo con il cielo

MIO SOLE

In un dì che il sole non è
fra le nuvole nascosto,
sul letto del Po specchiate,
vorrei poter incontrare te
lungo il triste mio cammino
e veder con i miei occhi
il sorriso che dipinge
d’ingenuo rossore
le gote tue di certo belle

NON C’È DOMANI

Non c’è domani
Sotto la linea del tramonto
sprofondato è il sole:
il piè caprino di Lucifero
ha fatto il suo lavoro,
e Dio non ha mosso un dito!

É rimasto a guardare
con occhi sgranati,
è poi caduto giù a capofitto
penetrando nuvole e ghiacci
Affogato nelle algide acque,
non uno l’ha pianto

La notte eterna ci avvolge,
nel suo grembo ci nasconde

ZOLFO

Di bugia, di zolfo la coda del diavolo,
quasi sempre uguale a certe lingue
che al mondo intero si dicono pentite;
e sempre in male azioni si spendono
a danno del povero cristo a sputar denti
sulla via mai calpestata da piedi santi.

I.

… talvolta la frenesia
di non voler più nulla scrivere
ché il bello e il brutto
persino dal vento commentati,
in maniera conveniente o no;
prende talvolta la noia
come dentro a un obitorio
tra cadaveri e ossa da segare.

II.

Eran ieri i libri la rivoluzione,
forse solo l’illusione d’un buffone
che domani il domani
sarebbe finalmente stato.

Giorni perduti,
riavuti indietro mai,
così ancor oggi dalla bocca mia,
veloce o piano,
si diparte il raglio,
quello che ben sai,
quello che in eredità lascio.

III.

Tiranno l’amore, inganno per ciechi e gechi
in un cielo di troppo freddo sole seppelliti.

IV.

Si ama la poesia come si suona il jazz,
ubriacandosi di lacrime e whisky,
scoprendo al mattino, non troppo presto,
che fa capolino in mezzo alla fronte
un dolore di ghiaccio.

REGINA DEI SOGNI

Sogni, sogni sempre tanto,
anche a occhi aperti
E sempre uno spicchio di sole
governa e illumina l’anima tua

Sogni, sogni più di Chopin,
e ogni scusa è buona
per versar dolcezze bambine
in un romanticismo vecchio stampo

Chissà quante piante
e quante varietà di fiori
nel tuo giardino;
sull’altalena, o in bici
pedalando piano/forte,
lanci alto un grido
e un altro ancora,
ed è felicità, religiosità
che dì dopo dì
ti conserva giovane e bella,
Regina dei Sogni

OGNI COSA SPAZZATA VIA

Ogni cosa, ogni cosa sarà
E ogni cosa sarà spazzata via
Donne, uomini e papaveri
dal Grande Scricchiolio
saranno raccolti senza pietà

Ogni cosa, ogni cosa finirà
E non saranno meriti o peccati
a fare la differenza,
a pesare sulla diffidenza

Milioni di luci,
milioni di fanali, lampioni e amori
cadranno nel buio

Ogni pensiero si spegnerà
E ogni cosa, proprio ogni cosa
tornerà a essere guscio di noce

Ogni cosa, proprio ogni cosa
di nuovo dall’Inizio meravigliosa
Ma non per noi, non per noi

SPAVENTI

Diremo che è strano,
più non parliamo di noi
e nemmeno chiediamo più
per noi due una stanza a ore
Sulle montagne russe
sempre si fanno sentire le urla,
comincio così a capire
che solo si può salire
e poi a rotta di collo scendere;
e se significa poco o nulla
significa comunque qualcosa

Diremo che ci acceca il sole,
che nel corso di alcune notti
ci fa l’occhiolino la luna,
e ancora diremo tanto per dire
Ma una e una sola la verità:
ci faceva bene ieri l’amore,
a più di uno ci proponeva a modello,
mentre il silenzio oggi lo preferiamo
…e a ogni morto di papa
un’eclissi si specchia
dentro a un pozzo dimenticato

Diremo che è strano,
o non diremo proprio nulla
Spaventi siamo diventati

UN DIO INVENTATO

Iersera ho lasciato
che una poesia, una,
morisse
perché il vento via
lontano dal mio cuore
la portasse.

Avrei potuto raccontare
dei capelli grigi
o d’un amore tornato
improvvisamente
a ingombrare la mente;
e invece nel calamaio
ho deposto la penna;
rifugiato nei sogni miei non scritti,
questi ho continuato a navigare,
consapevole che solo gli stolti
amano impetrare
un dio lunatico
inventato migliaia
di anni fa
da bipedi pieni di paure.

QUALCUNO EBBE PIETÀ

lungo le strade nere suore
e puttane di professione,
e chissà quanti e quanti
norcini e becchini pulciosi;
di noi,
di noi morenti
qualcuno ebbe infine
crudele pietà

i corpi magri affannati affamati
e ancor vivi
gettati
in una fossa comune
ignota ai più;
così per sempre
anonimi in eterno,
privati
dell’anima e della memoria



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