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Un po’ di vento fra me, Buddha e il cuscino

Un po’ di vento fra me, Buddha e il cuscino

ANTOLOGIA VOL. 267

Iannozzi Giuseppe

PAGLIACCI

Tutti si muore
inaspettatamente
Non valgono sepolcri e avelli
a ricordare a chi resta
chi noi siamo stati
e quello che abbiamo fatto
nell’ombra nascosti e sepolti,
o alla luce del sole esposti
per ricevere presto in cambio
untuosi complimenti
Caronte soltanto e più alte maestà
dell’alma nostra terranno possesso;
a loro il diritto di scialacquare
sguaiata ebrietà
per una eco portata
veloce sulle ali del vento
a favore di chi prima o poi subirà
medesimo trattamento

Noi tutti si muore,
come pagliacci
col trucco disfatto,
senza più denti in bocca
e pronte affilate battute
Troppo tardi ci accorgeremo
che fu la nostra una disgraziata natura
d’avercela così tanto lunga la lingua,
sempre, a matrimoni e funerali

I.

Saltando
fuori dall’acqua
per un secondo appena,
con voce vuota di voce
il Pesciolino d’Oro
al Vecchio
– che non capiva
del sole al tramonto
la ragione – spiegò:
“In mare non gettare
i tuoi punti fermi
per farne delle esche”
E lui obbedì e morì

II.

Sono solo un uomo
e sono un uomo solo,
e il mio sogno è grande
e lei ha seni piccoli

Lei dice: “Non amo
gli uomini brutti; per te
farò un’eccezione”

Non ricordo altro,
no davvero

III.

La casa vuota,
e le mani?
Vuote pure quelle
Non conta stelle
il mio destino
Ma,
di tanto in tanto,
un po’ di vento
fra me, Buddha
e il cuscino

Come sempre,
di notte dei morti
ascolto le voci:
mi preparo
a incontrare
il mio funerale

IV.

Crepitano le voci
di noi in attesa
di Chi si dice sia eterno,
e crepitano nel camino
lingue di fuoco
che non sappiamo
bene interpretare

Sotto questo cielo,
che vediamo solo
per una infinitesima
porzione, chissà se
un miracolo c’è,
se domani un domani
per noi ci sarà

V.

Ho perso il vizio
e non è stato semplice
Dicevo ieri la mia
su questo e quello
Finiva che perdevo
sempre i pantaloni,
e così tutti mi rubavano
i pochi gettoni buoni
che tenevo in saccoccia
Non posso più,
non posso più dire
dell’uomo politico,
vedo sempre il politico,
l’uomo mai
Ma dallo zoo continuano
a fuggire animali,
e le scimmie sono…
sono un numero infinito,
e tutte si grattano la testa,
e tutte mi invitano
a considerare l’Aleph

IL SORRISO DI BUDDHA

Il mio dio è bellezza sincera
che mai la cattiveria dell’uomo
potrà un giorno scalfire:
un bambino che fa la linguaccia
mentre si prepara
a onorare di Buddha il sorriso.

QUESSTIONE DI FEDE

Mentre cadevano le genti
nella trappola di una fede
colma di parabole oscure,
rimanevo io ben ancorato
a una piccola stella in cielo.

IL POETA

Il poeta illude – e s’illude:
uguale è a un giocoliere,
più spesso a un prestigiatore
che con la Bibbia in mano
crede di poter far miracoli
e altre stramberie così.

Gli vengono presto gli anni
a reclamare il pesante dazio
per gl’istanti di gioia portati
in foggia d’illusione,
quasi non avesse mai avuto
coscienza ed esperienza
che giocar con le parole
inutile vanteria è. Il capo
infine china, più piccolo
d’un clown, e in solitudine
attende egli che la falce
gli porti via dalle pupille
le lacrime gentili. 

VOI CHE TUTTO PRETENDETE

Voi che tutto pretendete
senza mai dare una briciola,
per Dio, lontano,
lontano dalla vista mia.

Non bussate alla mia porta
con quelle vostre mani
di chiacchiere colme,
con quelle dita allenate
su cessi e deretani vizzi.

Non insozzate l’uscio mio
con preghiere guaiti ragli:
mostri da bestiario siete,
non altro, non altro, per Dio.

Non nacqui per baciare
la stupidità, per essere
leccaculo obbediente;
non sono qui per essere
considerato al di sotto
d’uno scribacchino
con la lingua mozzata.

Non osate accomodarmi
lungo disteso al vostro livello;
non osate né ora né mai
seppellire il nome mio
con il vostro sì sporco.

PREGHIERA DEL MESTIERANTE

Risuolo le scarpe,
un mestierante io
che male sa l’abc
Dio ha voluto così

Dicono cose i clienti
che non intendo
A tutti con il capo
faccio cenno di sì,
e muto muto resto

Pianto chiodi
sotto le suole

Prego in silenzio,
prego la croce e Gesù
perché non si compia
oggi il destino mio
a testa in giù
Prego bene perché
ho del lavoro da sbrigare
per dar ai figli miei
un pane da mangiare

POETI DA STRAPAZZO

In alto mare,
col tramonto
sulla fronte inchiodato,
il successo cercano
certi poeti da strapazzo;
io invece sol desidero
il decesso loro
fra mozzi ubriachi
ed Erinni strafatte
di sole cocaina e crack

DELL’ANIMA IL TERREMOTO

Taci,
ma conoscono le labbra
dell’anima il terremoto
Inevitabile darsi
al primo cane di passaggio
che alla porta bussa
quando si è odiato
per tanto tempo,
partorendo rabbia e dolore
da un nascondiglio
alla fine del mondo

Non una virgola
è cambiata,
ancor è l’Eterno Ritorno
Oh, poter morire,
esser sicuri
che il domani
non sarà più;
ma è chiedere la Luna
in fondo al pozzo

ETÀ

Una poesia scritta
male
e nella terra
sepolta
Fiorirà
o forse no
con la bella stagione

Per ora riposa
mio cuore
Della morte
del gelo alle radici
non ti curare

GIOVINEZZA

Giovinezza
ogni cosa ispira,
bellezza
e morte lampo

Uguale
alla collera di Dio
i passerotti
fa cadere uno a uno
morti stecchiti
senza un perché

FUNERALI DI STATO

Si morì
fra polvere e macerie,
nient’affatto convinti che
la vita un perché
sempre
a portata di mano
o al termine della notte
nascosto

Si morì
schiacciati
dal peso tremendo
della terra
sotto i piedi franata,
nello squasso
delle mura sbriciolate,
delle edicole sacre
rovesciate
E non era ancora
la Pasqua

Si morì;
e se qualche sogno
lo nutrimmo,
con noi finì
Si morì
per finire
in un incubo
partorito dal profondo
della terra

Si finì
di essere
senza avere il tempo
minimo di capire
che risate e pianti
più non avrebbero sepolto
albe e tramonti
dentro ai nostri occhi

Crollò infine
il cielo
in Aprile
ai Funerali di Stato

PRIMAVERA

Sboccia l’amor a Primavera
Allegro il vino va giù tutto d’un fiato
E nella notte trapunta di stelle
si spandono degli avvinazzati i canti
L’eccitato tuo petto non nasconde
lo splendore suo, vien fuori ed eccita
dei maschi il cuore e quel che c’è
dentro alla patta dei pantaloni

Così eccitante l’amore
nell’affanno in piedi consumato,
in un angolo costretto e spogliato
In un ritaglio di Luna immortalato

IL NOSTRO ODORE

Non ti dirò addio
per sempre
L’ultima volta
abbiamo consumato
un’eternità intera
a scollarci di dosso
baci botte e sudore

DICIASSETTE

Gli occhi chiuse
per un sonno breve,
dopo una lunga corsa
all’ombra d’un filare
di giovani alberi;
e del domani
non vide più la luce,
né udì il pianto
della pioggia
sulla spoglia bara

Sotto due metri
di pesante oscurità,
nel suo grembo
la fredda terra
felice lo accolse

Diciassette primavere,
la frettolosa preghiera
e il segno della croce
del becchino: dalla vita
null’altro ebbe



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