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Amava una donna e finì male

Amava una donna e finì male

ANTOLOGIA VOL. 255

Iannozzi Giuseppe

OCCHI DI FIAMMA

Fino all’altare salii,
incontrando
la bocca tua di dea
Salii e lo vidi bene
in faccia il prete nero,
che ci avrebbe uniti
per tutta la vita
fino alla morte
Eri occhi di fiamma,
Manuela
Schiudesti un poco
la bocca rossa e turgida,
e mi pregasti di scacciare
dalla mente e dall’anima
ogni dubbio su di te
Con timidezza quasi
baciai la tua bellezza
Piangemmo, piangemmo
e a lungo ci baciammo,
mentre il prevosto tossiva
con noiosa insistenza
Prima d’andar via,
sguardo di severo rimprovero
gli rivolgesti, e morì,
nel suo nero morì seppellito

I GUANTI

Un uomo gentile pareva
Quando sulla sua strada
incontrò te,
teneva una mano nuda,
un guanto bianco
lo stringeva nella destra,
e quello nero nascosto
in una tasca

Un paio di guanti aveva
– uno nero, l’altro bianco -,
le mani e il cervello
A tutti diceva
che amava viver così,
che non conosceva
un modo migliore
per accusare le sconfitte
e sfidare l’amore
Era un uomo
che ne aveva viste tante
In chiesa ci andava
solo per confessare
d’aver dimenticato Gesù
quand’era ancora innocente,
un bambino

Un uomo gentile pareva
E un giorno gli spararono
in pieno petto,
regalandogli una rosa rossa

Sulla bara non uno pianse
Nel nero erano abbottonate
le donne, e i fazzoletti consunti
sventolavano al vento
come un capriccio
che rideva di chi diventato Addio

FINO ALLA MORTE, FINO A TE

Con sé ha preso il poco che gli lasciasti di te
E’ adesso un uomo che batte la strada
Una meta non ce l’ha, una vita non ce l’ha,
e guarda nel portafogli la foto tua intristita

Te lo disse al primo incontro
che aveva solo il cuore e ben poco in tasca
Te lo disse con una magica rosa di fiamme
che soltanto avrebbe potuto darti il suo petto
Te lo disse così tante volte, così tante
Te lo disse fino a ucciderti nella noia

Con sé ha preso davvero il minino, il tuo volto
E l’impronta di sé l’ha lasciata a te sul cuscino

E’ adesso un uomo che alza il pollice,
pregando d’incontrare la mano di Dio al volante
E’ adesso lontano mille miglia da te,
alza il collo del cappotto, fra le spalle incastra la testa
e prega Dio che un killer faccia fuori la sua faccia

Guardando nel portafogli la foto tua intristita,
ancora ti uccide nella noia dei suoi sogni
A tutti gli sconosciuti ripete che sei la sua bambina
A tutti ripete le stesse parole perché altre non ne sa

Ha preso con sé davvero il minino, il minimo
A tutti ama ripetere che sei tu la sua bambina
A tutti ama ripetere che sei tu la sua sola vita

Te lo disse al primo incontro, fino alla morte
Amava una donna, amava troppo e finì male

Te lo disse al primo incontro, fino a te, fino a te
Amava una donna, amava troppo e finì male

Te lo disse al primo incontro, fino alla morte
Amava una donna e alla fine finì davvero male

Te lo disse al primo incontro, fino a te, fino a te
Amava e alla fine si finì in te, in te, in te

IL MERLO SALVATO

Si scatena il temporale
Contro il vetro della finestra
un merlo si schiaccia
Nella coppa della mani,
con attenzione, lo raccolgo
Eccolo, un poco intontito,
bagnato di brutto il piumaggio,
ma, grazie a Dio, salvo è il becco
Piano piano il dorso gli accarezzo;
cerco di fargli capire
che del mio tocco si può fidare,
che non è mia intenzione
fargli del male

Cesserà presto questa pioggia,
più non schiaffeggerà comignoli,
abbaini, tetti e campanili,
spiegherà allora le ali l’uccelletto,
tornerà a volare l’amata sua libertà

DALLA FRONTE ALLE PUPILLE

Nessun rimpianto mai
solcherà lo spazio
dalla fronte alle pupille
Nessuna lacrima mai
sarà elevata a vita
e dalla bocca inghiottita
Non è vero l’amore
E il dolore si sfalda,
uguale a vecchia carogna
presa dal peso dei passi
di chi sa d’esser
da sempre condannato
a essere
vittima e carnefice

Sulla strada il pollice alziamo,
raschiando e rischiando fortuna,
di tanto in tanto cercando la luna
fra le nuvole nascosta

GEMINI

E incontrasti,
incontrasti te stessa
in un giorno d’estate,
in un giorno sul finire
Incontrasti la tua gemella;
sol le chiedesti “come stai,
dove vai?” E rispose,
due volte ti rispose
come si usa, il capo
poi scosse, e ti lasciò
con due sorrisi
che non capisti

Di te stanca pensasti:
Presto, sia presto
quel che ha da essere!
Ancor sei lì a domandarti
se può mai aver voce
la tua gemella,
delle angosce quotidiane
lo spettro

LA BELLEZZA DELLE DONNE

Non fermiamoci,
non su questa riva
dove il blues
in altro blues affoga,
dove beccano
i gabbiani
di uomini e donne
solo la sfortuna

Sempre,
a ogni passo
qua o là,
si fa pesante
il bagaglio
un po’ di più;
così crediamo,
e di certo
non prendiamo
noi un abbaglio

Delle donne
la bellezza
preghiamo
– invochiamo –
perché domani
un blues a due
per sempre sia

IL BONZO ATTENDE

Fra gli spazi infiniti
il tempo giusto attendo:
mia è la posizione del loto
Con l’occhio della mente spio
dell’acqua l’impetuoso corso
e delle foglie,
che dai rami piano si staccano,
il lento adagiarsi a terra

Come bonzo medito
sulle reincarnazioni,
le vite parallele
e il sapore del vino
in un’altra vita gustato

Da Nord a Sud,
venti e canti
Da Est a Ovest,
venti di frontiera
Carezzano la nudità
del capo mio rasato

Ogni cento anni
le gambe slego,
mi guardo d’attorno:
nulla è cambiato,
domina sull’uomo
la Nullità
e non la Santa Nudità

Paziente attendo,
attendo che un singolo
sulle braci cammini scalzo

HO SEMPRE ASPETTATO IN PIEDI
IL TUO AMORE A SEDERE

Ho Sempre Aspettato te, quasi in fondo all’uscita
Dalle loro stesse battute divorati ridevano i comici
E di loro ridevano sgraziate le donne fumando
sigarette mentolate, lanciando distratti sguardi
a destra e a manca in cerca d’un cavaliere

Ho sempre aspettato laggiù, dove s’accalca la folla
quando lo spettacolo è finito e solo rimane il fumo:
in sala rimanevi soltanto tu, soltanto tu, da sola

A ogni spettacolo ero nel foyer
e sulle lancette contavo la noia
Aspettavo che tu facessi il primo passo
e corressi da me per abbracciarmi
o per schiaffeggiarmi

Ho aspettato una vita, sempre, pur sapendo
che s’era perso il nostro amore
fra le fila dei posti a sedere

Ho aspettato una vita per una tirata infinita
che potesse risorgere dall’ombra l’amore
Come un Chaplin con scarpe troppo grandi,
ho sempre aspettato in piedi

Ho sempre aspettato te, sempre laggiù,
mentre il tempo ti soffocava fra le paillettes
Ti sapevo lì, a spettacolo finito, in sala
Mai ho avuto il coraggio d’arrivare
fino in fondo al tuo sguardo; e adesso rido di me,
lasciandomi prendere in giro da comici e donne

Ho aspettato tutta la vita, sempre, pur sapendo
che s’era perso fra le fila dei posti a sedere l’amore,
perché io solo riuscivo a stare in piedi
nell’ubriacatura coatta dei pettegolezzi su di me

Ho sempre aspettato in piedi il tuo amore a sedere
Ho sempre aspettato di pizzicare ancora il tuo sedere,
ricordando la rotonda sua bellezza

Ho sempre aspettato il tuo amore a sedere
Il nostro tempo l’ho sprecato e tu sei ancora lì,
invecchiata e con mille sogni ridotti a pezzi

DOVE VOGLIO ANDARE

Dipende da dove voglio andare
C’è qui, sulla Terra nostra,
un pezzetto di Paradiso
e un rosso tappetino d’Inferno
E briciole del mondo sono, lo so
E tanta fame ho e solo c’è il poco
che passa il mondo
Inutile girarci attorno
Dipende, sì…
da dove voglio andare

CULLA I MIEI BACI

Se i baci miei di fame li ami,
se davvero li cullerai
per farne fiamme e fantasie,
allora sì, seguirò il tuo cammino,
perché è tondo il mondo
e da sé va a fondo
e più non ho voglia io
d’affondare da solo

NON LE TOMBE

Cinzia

Non le tombe
con le lor lunghe ombre
dell’uomo e del suo nome
segneran la Fine.

Come l’aquila che in alto vola
nel cielo segnando volteggi alari;
come il lupo che alla pallida Luna
ostenta fiero occhi e denti affilati;
come Lucifero alla Beltà ribelle
ché pietra dopo pietra tirata su
da un Dio vecchio e crudele;
come il saggio che nel tempio
il suo Namasté presenta
e riconosce di Buddha il sorriso;
così noi che memoria serbiamo
di chi, per amore e per nobiltà d’animo,
al nostro fianco è stato, mai stanco,
felicità errori e orrori condividendo.

I DENTI DI ANDERSEN

Per te più nessuna speranza
L’ha avuta vinta il destino
Nulla può risollevar
l’alma tua dimenticata
Presto un giorno arriverà
preso dal vespro e dall’oblio
e la mano monca d’un inquisitore
scriverà la tua biografia
imbrattando per benino le pareti
d’un volgare vespasiano,
e la verità sul tavolo una sola:
l’apparecchio per i denti –
tutti dannati storti e dolenti

Oh, povera anima di Andersen
Che pena perdonarsi
in giochi di fantasia,
in desideri di pederastia
mai consumati sino in fondo

La dolente Patria è di denti
che il cervello martellano
Nessun collante ci può:
quando cadono
cadono, e come arti amputati
nel profondo continuano
a produrre un male boia

Sì misero il bigolo di Andersen!
Che pena masturbarsi
sotto lo sforzo d’una tremula candela
per sterile filosofia sull’incudine
quando il ferro già freddo
più dell’eterna morte improvvisa

HO SOGNATO

Ho sognato e ho sognato forte,
e ho cercato un dove
che non mi stesse stretto;
poi, con l’affanno,
la strada in salita,
poi quella in discesa,
cadendo all’improvviso,
inciampando nei miei stessi passi;
sta adesso sopra di me
una croce di povero legno,
e le ossa mie le morde il freddo
in questa fossa stretta stretta,
e nel petto il cuore
più non lo sento dare
un solo battito

RUBINI BIRMANI

Tra le leggi scritte e non scritte
dei secoli passati e di quelli a venire
le parole interpreto oltre il significato

Brune foglie piovono
su i Rubini Birmani;
dello sbadiglio e del silenzio
una a una le regole
nell’animo le spoglio;
comprendo quanto piccolo
il pensiero mio
da altri già pensato,
torno così a meditare
tra le verità scritte e non scritte
perché non sia l’autunno
la stagione ultima dell’amore

UOMO E SCIMMIA

Per mia volontà fra ficus e kapok
il passo mio nudo ho portato

Fra scimmie ed eremiti
su un giaciglio di foglie ho riposato
toccando con mano albe e tramonti

In egual modo ho imparato
dal ghigno della scimmia
e dal sorriso santo del saggio

Ho poi ripreso il mio cammino
con sorriso umano e scimmiesco

I.

Voi avete vinto tutti i premi,
avete preso tutto a piene mani
Con spirito spazzo via le briciole
rimaste davanti all’uscio di casa
Non m’interessa la grandezza,
solo tendo alla grassezza:
come Buddha (1)

II.

Schegge di specchi
e altre cose così
La grande bocca del Panico
inghiotte il passero e il drago
Prego per la mia anima
perché sia più leggera d’una piuma

III.

Il Maestro mi ha consigliato
di lasciare libero il pianto
Gli ho risposto:
“Buddha sorride tutto l’anno,
resisterò nella posizione del loto”

IV.

Non venire a casa mia adesso
Lo Spavento fischia forte
attraverso le finestre aperte,
e non aspiro io
alla sanità mentale
né alla santità
Lo lascerò entrare
perché con sé mi prenda

V.

Ho dimenticata la felicità
perché non fosse catena e piombo
ai piedi legata; all’orizzonte
mille liberi uccelli senza nome:
a questo anelo

VI.

Non teme il giovane stambecco
il cacciatore e il suo fucile;
impavido salta al di là dei dirupi
convinto che non c’è perfezione
che tenga

VII.

Alle spalle hai gettato
l’inquietudine
Ne convengo,
hai fatto bene il bene
Hai però dimenticato
di darmi indietro il ramo d’ulivo,
la croce e la bellezza,
così adesso rimango ramingo
per il mondo cercando Buddha,
l’eternità dorata
e l’addio dell’arcobaleno

IN FONDO IN FONDO

Cammino come un barista
in bilico sul filo d’una speranza
intravista nei fondi di caffè,
prego a raffica peggio d’un buddista
Non mi capisco per niente
La gente mi spara alle spalle
risate, dentiere e capsule d’oro

Non ho colpa, non ho colpa
di tutto il sangue che scorre
tra la Senna e il Po

Grido, nessuno sente
Ho il cuore d’un passero
e il passo pesante e leggero
Ho dentro una confusione
che non puoi capire tu

Che non puoi setacciare
nei tuoi fondi di spazzatura

CHE FA IL POETA!

Che fa il poeta?

Abusa se stesso e la pena
per abissi di parole all’or di cena,
la fame e non la fama.

INNOCENZA

innocenza fu
perduta, poi
soltanto
disegnato
ghigno di re
e regine

MAGREZZA

Bagnato rimango
col cuore spezzato
a contare quante lacrime
dal cielo ancora su di me,
sul corpo mio fradicio
che le ossa ha esposte
in perenne magrezza

(1) Buddha secondo la rappresentazione occidentale, che lo vuole grasso.



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