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Sei sempre l’ultima che dimentico

Sei sempre l’ultima che dimentico

ANTOLOGIA VOL. 245

Iannozzi Giuseppe

LA TUA LAVAGNA

Sei Sempre stata la prima
e l’ultima della classe
Ero così innamorato di te
che non capivo mai perché
il gesso sulla lavagna
urlava, quasi impartissi
mortal ferita
Ero così stupido!
I tuoi occhi nocciola,
allegri eppur in procinto
di lasciar libere due lacrime;
quel tuo modo di nascondere
le mani in grembo, pareva pregassi;
e i quaderni, sparsi sul banco,
a righe e a quadretti,
e i ghirigori della tua scrittura
Sei sempre stata in cima
a tutti i pensieri miei di bambino
Sei sempre l’ultima che dimentico
prima di abbandonarmi al sonno
ormai stanco di suonare le note
dei ricordi

Se mi vieni in sogno
ti vedo in punta di piedi
Vesti un sorriso birichino
e una luce strana negli occhi
Se mi vieni a cercare
dentro al mio sonno
sei sempre come allora,
impossibile: eppur t’amo
come non si potrebbe di più

Per questo,
per tutto questo
all’alba mi faccio muto
e sulla lavagna della vita mia
segno una ferita urlante

FRA GLI ABISSI DI MARY

Per te dal francese traducevo
le più amare e avare poesie;
per te le Alpi scalavo e scendevo
con la colpevole consapevolezza
che qualcun altro amavi e odiavi,
ché con carezze di piombo
ti carezzava le spalle la Nera Signora

Nell’occhio destro quel tic
che a un semaforo collassato
tenero ti prostituiva
Eravamo giovani allora
Mi raccontavi sempre la sua storia e la sua fine,
di come nell’esercizio della sua divisa s’inabissò
Eri tu un angelo, un angelo bruno caduto
In un tempo lontano a tutti sconosciuto,
delle ali il peso dalla schiena scucisti via,
continuando a credere
– con una punta di dubbio
nel labirinto dei pensieri tuoi –
che le ombre non restano ombre
per sempre

Per me che t’amavo mai provasti
un po’ di pietà, neanche quando
fra funghi chiodini e pozzanghere di sole,
ridendo sguardi addosso a lui in ombra,
l’amor mio me lo seppellisti in faccia

Per questo, per questo
di punto in bianco
smisi di tradurre escrementi e brutture
Fra gli incidenti del passato
perdemmo entrambi qualcuno,
e tu forse qualcosa di più
Tu forse qualcosa di più

Col suo carico scimmiesco
ti cavalcava la Nera Signora;
diventavi piccola, così piccola
mentre t’ingobbivi
a ogni minuto un po’ di più

Nonostante la confusione del momento, Mary,
dei denti lo avvertivo anch’io lo stridio violento,
per questo solamente lo sgarbo oggi ti perdono

Ti perdo oggi e non ieri, perché ti perdono
Ti perdono e ti perdo, ti perdono e ti perdo
Ti perdo

DI ME LE PEGGIORI COSE
(1ma versione)

Si diranno di me le peggiori cose
Alcune saranno vere, altre no

Nessuno si è interrogato mai sul perché
il passero sta sui tralicci dell’alta tensione,
e nessuno ha provato mai a seguire
fino in fondo d’un’aquila nel suo cielo il volo

Come, poco a poco, la nebbia si dirada,
come lungo il cammino sdrucita si fa la strada
così la nostra anima, evanescente e peccatrice,
rammendata e tentatrice, passo dopo passo
sempre più innamorata dell’ombra sua vieta

Si diranno di me le peggiori cose
Alcune saranno vere, altre no
Si diranno di me parole per altre parole
fino all’estremo confine della leggerezza,
fino all’effimero confino in un falso mito

Non si dirà di te invece una sola parola
Fra oleandri dal capriccio accarezzati,
un ornamento tu, senza voce né eco

7 NOVEMBRE

Posso, posso
non credere
in quell’altezza lassù
che dicono
abitata da un Dio
da sempre
un po’ così e così,
distratto,
forse annoiato,
dimentico di sé

Posso, posso
non amare
un’idea sbagliata,
l’umanità
secolo dopo secolo
in un uguale ripetersi
crocifissa

E posso… potrei
annoiare uno
e nessuno,
e una moltitudine
di geniali solitudini

E invece,
come un ebreo,
solo ripeto a te
il miracolo che
da sempre sai:
“Ti voglio bene,
a ogni sette
di novembre
ti voglio bene
un po’ di più,
mia Grazia”

DI PIÙ BELLO

Di più bello
del sole,
d’una donna
che ama solo te,
che cosa c’è?

Di più bello
della luna,
d’un uomo
che l’amor lo fa
a te e con te,
che cosa c’è?

Semplicità,
pulita e divina,
dai più
dimenticata,
e mortificata:
soffocata.

Mai in pace,
mai riposa
dell’amore
il cadavere,
sol questo
forse si sa.

I.

Mai hai capito
del jazz le note sopraffine,
per questo non ti dico più
delle mie passioni,
forse quelle d’un coglione

Mai hai capito
d’un falegname lo spessore,
la forza sua
di segar via dai cieli
certe incèrte nuvole
nel rococò versate

Mai hai scoperto
di Hendrix l’alta tensione

Quando poi s’incrina
del poeta il cristallo
resta il poco che resta,
un giorno di pioggia,
la gobba bella
d’un Leopardi qualunque
in un postribolo nascosta

II.

Dove adesso i vostri miti?
Stelle comete
da schizofrenici spazi
prima disprezzate e rigettate
poi a malincuore inghiottite
E chiedete a me
d’imitare la loro fine,
di prendere
sulle spalle la scimmia

Dove adesso i vostri trionfi?
Non lungo la Via della Seta,
non nella culla degli incunaboli

A sangue freddo
sul nido del cuculo si sta,
perché infine
uno a uno
cadano quei tronfi Re
che sol compresero
dell’ombra loro
l’altezza meschina

III.

Cercava Giovanna d’Arco
una passione di lei più grande,
un processo a porte chiuse

Cercava la Pulzella il supplizio
perché fossero le braccia di Dio
a raccogliere quella sua anima
da inglesi e francesi detta eretica;
o forse solo cercava di stare
in mezzo a tanta gente strana

O forse solo cercava di stare
come tutti si sta: male

IV.

Nel sorriso mio sì serio
la strada di Kerouac
in cerca del Dharma,
di quei vagabondi
che affrontavano la Mezzanotte
con una preghiera Incandescente
e con una infinità di jazz

V.

Non migliorano
i sogni cagliati e quelli incagliati,
storie morte e nei bistrot bevute
in un sorriso di vuota sorpresa

VI.

Guarda gli uccelli,
in cielo disegnano un cerchio
E’ giusto il tempo
per fare il colpo grosso

Vuol sentirsi dire che è bella
Non capisci che è una donna?
Portala al buio nel pagliaio,
non ti curar del tuo sfregio;
sono bella, forte vuol gridarlo
all’orecchio tuo tagliato,
non capisci?

VII.

Ha tirato le cuoia il Nazareno
Sulle dune del negro deserto
si mordono la coda i serpenti,
si fan l’un l’altro l’occhiolino
gli avvoltoi; e l’occhio butta
il saggio al di là dell’orizzonte:
neanche domani la pioggia,
e così forte nitriscono i cavalli
pria di cader nell’ombra loro
seppelliti

TI VESTO DI ROSE

Ti vesto di rose rosse
per spogliarti petalo
dopo petalo

E lasciarti senza fiato
in imbarazzo
fra le braccia d’un pazzo!

IL SORRISO DI BUDDHA

Il mio dio è bellezza sincera
che mai la cattiveria dell’uomo
potrà un giorno scalfire:
un bambino che fa la linguaccia
mentre si prepara
a onorare di Buddha il sorriso.

SVEGLIA BUDDHA ALL’ALBA

Sveglia Buddha all’alba
il sorriso bianco
dell’anima tua bambina:
a oriente butti lo sguardo,
lasciando sia il Sole
coi suoi raggi d’oro
a pettinare la scompostezza
della corvina tua nuvola

E sei tu del Sole Ministra,
femminilità in battaglia
che nell’acqua del fiume
annacqua degli specchi
gl’inganni cotidiani

UNA DELICATA VANESSA

Una delicata vanessa
che si lasci accarezzare
dalle grossolane dita
d’un solitario
che dal suo eremo
è finalmente uscito

C’È SE SAI VEDERE

C’è il sorriso di Marilyn Monroe
C’è quello di Charles Manson
E c’è quello di Andy Warhol
E c’è quello di Drella

C’è il sorriso che vuoi vedere
C’è la felicità e il dolore che sai vedere

IL LUPO E LA LUNA

Berrò della Luna
il riflesso
Berrò l’argento
– poesia
scritta sull’acqua
Perché sono Lupo
che solo ha voglia
di bere un po’ di te

LA MIA PREGHIERA

Dovresti amare la preghiera delle mie mani,
o lasciarmi annegare in una rosa di whisky
Dovresti stringermi fra le tue gambe di seta,
o lasciarmi legato al tuo letto vuoto di te
finché morte non sopraggiunga
Dovresti darmi un’ultima possibilità,
o consegnarmi alla morte con il cappio
che soffocò il giovane seminarista Berthet

Le ombre di Hiroshima
tappezzano le nostre anime,
questo non lo puoi negare
se ieri mi amasti
perché ero corpo di luce,
se ancora senti d’esser Luna

ASCOLTANDO VOCE DI RASOIO

Io mi chiedo perché
Sei sparita quando dicevi
che andava tutto per il meglio,
che le tue ciglia non mordevano lacrime
Sei andata via,
lasciando un buco nella vita mia

Alle pareti sopravvivono le tracce
di tutti i quadri che hai portato con te
Sulla scrivania, accanto al calamaio
riposa la cornice
che fa prigioniera la tua immagine
Sei andata via nel più freddo giorno d’inverno
Hai detto che andava tutto a meraviglia,
che non mi dovevo meravigliare
se ridevi a ogni ora
Però poi ti accendevi una sigaretta
e la mano l’allungavi verso il bicchiere pieno

Sei andata via che era quasi Natale
Qui fa un freddo cane, proprio come allora:
le strade sono battute da uguale solitudine,
gli ambulanti vendono castagne calde a nessuno,
e un bambino spara palle di neve contro un albero
E’ che non me ne sono fatto ancora una ragione

Chissà se adesso mi stai pensando
o se mi stai dimenticando nell’orgasmo
d’una nuova felicità a me ignota più della verità
Ma lo so, sono gli oziosi pensieri
di uno che piano piano aggiusta la puntina sul piatto
per poi accasciarsi in poltrona
sotto la voce di rasoio di Cohen

Sei andata via
in un giorno che non potevo sospettare
Non ti potrò perdonare mai:
il clima di festa mi ha sempre danneggiato
Sono ancora qui, senza speranze e risposte,
mentre rimetto a posto la puntina sul vinile

Manchi tu, ma Gesù risorge sempre
Sempre uguale a se stesso, ogni anno
Senza scucir parola, ogni anno ti rimpiango
insieme a tutti i miei dischi in vinile



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