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Incapace d’amputare il dolore

Incapace damputare il dolore

ANTOLOGIA VOL. 244

Iannozzi Giuseppe

LASCIA CHE SIA L’ANIMA

Lascia, lascia
che sia l’anima mia
a spogliarti,
e lascia che sia la Luna
a cucirti addosso sogni d’argento

Come uomo innamorato,
ogni giorno la vita mia
la dono a te per perdermi,
per perdermi a lungo,
a lungo e ancor di più
fra le bionde trame
dei tuoi capelli ribelli;
davanti a te
in ginocchio cado piano
al tuo seno ancorando
l’occhio malandrino

Cos’altro ti serve per capire?
Cos’altro ti serve per capire
che una rapina a mano armata
mai e poi mai sarebbe bella
quanto la tua pazzia
di dirti e non dirti mia?

Te lo dice,
te lo suggerisce anche la Luna,
che dalla sua scenografia
si tira giù:
da un uomo,
davvero,
non si può ottenere di più!
E te lo ripeto anch’io
prima che
un non previsto tuo silenzio
per sempre nella ruggine
mi soffochi la bocca

LA FINE DEL TEMPO

Queste pesanti campane di piombo
che da mane a sera
l’una contro l’altra battono
dell’uomo segnano
il destino la fortuna e la caduta
Non dire che non le senti
La frusta di Satana piega e piaga le schiene,
si tingono di rosso i fiumi e straripano i mari
Spezza gli scogli la bianca schiuma,
alta si leva sino a incontrare
dei cieli la furia

Era da così tanto tempo
che si raccontava la Fine
e adesso che è arrivata
non uno che si tenga in piedi,
tutti in ginocchio
con il coraggio nelle mutande
a pregare per la piccola loro vita
vissuta fra cotidiani razzismi
e immani soprusi

Ha esposto il ciabattino bene in vista
il cartello in bottega: “Il meglio in saldo
molto prima del previsto”
A titolo gratuito
l’azzeccagarbugli di turno dispensa consigli,
mentre i predicatori giù in strada urlano
che non ce la farà nessuno
Lo scrittore alla moda invano cerca
la sua copia della Bibbia
fra mille volumi, per una vita intera,
nell’indifferenza martirizzati
E come un diavolo
Hendrix suona la sua Fender Stratocaster
e quasi ce la fa a coprire del piombo il suono

Non dire,
non dire che non capisci
I giochi sono a un punto morto
E’ solo questione di tempo
e tutto finirà com’è stato predicato
sin dalla notte dei tempi

Allergici all’incenso,
alle candele per sempre
Domani il giorno non sarà di Luce
Son già di neri corvi i cieli
per inumane urla
La chitarra di Jimi brucia,
per l’ultima volta brucia
Nessuno ha un riparo sicuro
dove riparare le chiappe
Esultano i sette mari
mentre si ritirano le terre
Non c’è una sola spiaggia sicura
dove in santa pace poter morire

E’ il tempo dei Tempi,
cadono i templi in frantumi,
al centro si spezzano le clessidre,
perdono le ore gli orologi
e il nostro amore, Amore mio,
finisce così presto, così presto
Quanto vorrei saper piangere
una lacrima, quanto lo vorrei!

E’ il tempo dei Tempi,
predicono la morte le campane
e il nostro amore, Amore mio,
vien seppellito
Niente rimane,
non una briciola,
non una mosca
o una più colorata farfalla
– il cervello se ne va in pappa

Non mi dire
che anche tu vuoi pregare
insieme al gregge,
non mi dire che stai per cadere
in ginocchio! Restami accanto
fino alla fine, fino alla Fine
Oramai non c’è altro
che possiamo fare
Godiamoci la Fine
perché non ci sarà un’alba da vedere

IO E ANNA

Tu ascoltavi i Beatles
Io, per darmi un tono,
gli Stones
Tu eri felice
Io me ne fregavo
Tu raccoglievi fiori
Io leggevo libri importanti,
e fumetti un po’ così e così
Tu andavi con tutti
– le tue gambe petali
da violentare, così dicevi
Io cercavo di telefonare a Cuba
e in tasca non avevo il mondo
Tu abortivi amanti e sangue
Io diventavo un uomo,
un uomo triste e solo,
e la facevo finita per sempre
con Gianni e Pinotto
Tu morivi senza fiato,
senza un bacio
sulle labbra esangui
Io, in perfetto orario,
vestito in nero,
venivo al tuo funerale:
io a piangere a dirotto
in mezzo
ai tuoi amati Figli dei Fiori,
io tale e quale
all’inutile controfigura
di Woody Allen

ALL’OBLIO DESTINATI

destinati ad amare
per due graffi di solitudine sulla schiena
destinati a fare i buffoni
per un sorriso di piorrea e una dentiera
destinati a cauterizzare l’occhio buono
per non vedere chi vicino a noi muore

destinati ad essere il poco che siamo

…lecchiamoci le ferite
o cominciamo a cadere
come foglie al vento
nella tomba dell’oblio

QUELL’ALBA NUOVA

Cinzia Paltenghi

Sotto un cielo di stelle pieno
il fiato mio annega nel lucore,
e mi par di soffocare: è strano,
sembra un vivere per morire

Dov’è quell’Alba Nuova
che aspetto da un’Eternità?
quella che aggiusterà l’Infinito
dentro all’Anima mia?

Guarderò il cielo in profondità,
e aspetterò un altro tramonto
per vedere, dopo la notte,
un’altra alba, sperando sia
quella giusta per me

Al di là di tutto questo aspettare,
troverò un motivo per svegliare
ancora una volta il mio cuore;
troverò un battere sano in petto,
che non mi faccia tornare
ai tanti singulti scaraventati
nell’imo delle stelle lassù

Al di là dei tramonti, delle albe,
delle notti sempre uguali,
un giorno non mi parrà più strano
né vivere né morire
Quel giorno sarò una Donna Nuova

LA MORTE DEL POETA

I.

Sulla tomba
sì spoglia
un solo fiore
si deponga
perché presto
col defunto
si decomponga

Non piangetelo,
non rispolverate
i goffi suoi versi
Nessun turbamento
sia sulle gobbe membra
di chi alla vita resiste

II.

Erano
lancette,
minuti d’amore,
schiaffetti
incapaci
d’ingannare

Erano
goffe carezze,
con il favor
del buio
donate,
tra paure
e confusione

III.

Inutile a se stesso
il poeta,
dai più guardato
ma disprezzato,
segnato a dito,
crocifisso e tradito,
nei secoli dei secoli
detto sfigato, fallito

Chiedete a un poeta
chi gliel’ha mai fatto fare
d’impugnare la penna
come fosse nobile spada
capace sì di ferire,
ma non d’amputare
mani e piedi al dolore
che gli si legge in faccia

Chiedete a un uomo
quale il valore che si dà
Con indecifrabile ghigno
vi mostrerà il vuoto,
il moncherino fasciato stretto,
e per quanto devastata e offesa
mai e poi mai l’anima sua

COLORI

Io Van Gogh
il pennello
il giallo
il blu
un girasole
la notte stellata
E poi
per i campi
tenendo in mano
l’orecchio strappato,
e sentire
le ginocchia
leggere
più deboli
dell’anima
Sembrava lontana,
così lontana
la Casa degli Artisti
E Lei sì,
lei era una puttana,
vita che ho temuto,
però sempre a dipingerla
fino alla Fine

CERCO DI CAPIRE QUESTE NUVOLE

Cinzia Paltenghi
che continua a essere la mia cara Amica

Cerco ancora di far mia la grandezza
che permise a Mosè di divider le acque
Cerco ancora di operare una magia
che dia un senso alla raggiunta libertà;
esser liberi non ci rende immortali
e nemmeno più forti ad affrontare,
dì dopo dì, della vita i tanti perché

Dicono sia risorto il terzo giorno
E qui cade di nuovo la Pasqua:
nuove vite vengono alla luce,
altre si spengono all’improvviso,
senza un perché; la solita storia,
la solita che ci scassina piano l’anima,
la solita che non capiamo appieno mai

Cerco di capire queste nuvole nere
che oggi piangono sul Mar Rosso
E cerco di capire perché, perché
non vieni mai a baciare i sogni miei
con una parola, con una libertà
che mi dica di te, Amica mia

IL TUO SCHIAVO È QUI

Il tuo schiavo è qui
Gli hanno comandato di obbedire,
di seguire la linea tracciata da Mosè
Il tuo schiavo è nelle pagine della Bibbia,
ha riparato alla meno peggio la sua vita,
guardando in faccia i secoli

Quando cala la sera
accende milioni di candele
per disperdere l’oscurità,
per scorgere l’ombra della verità,
per non correre il rischio
che i secoli lo scalzino troppo

Il tuo schiavo ha visto,
ha visto tirar su piramidi di dolore,
ha visto cadere la gloria delle nazioni
A occhio nudo ha visto
amore e odio stringersi di nascosto la mano,
e ti può dire che in giro per il mondo
non molto è cambiato:
nei campi di concentramento
uomini donne bambini muoiono
scavandosi il viso nel filo spinato

Il tuo schiavo ricorda la Storia
Di tanto in tanto scrive le sue memorie,
nascondendole come meglio può
dalla malvagità degli occhi delle spie
perché non ha tempo da perdere,
perché ha ancora tanto da fare
nel tentativo di salvare una vita
che salvi il mondo intero

STUPITA TENEREZZA

Un giorno ti ricorderai
Sì, un giorno vedrai il mio viso
fisso dentro al tuo sorriso
E ti ricorderai di me,
di com’ero stupito bambino a cercarti
senza nascondere lacrime e singulti

Un giorno ti ricorderai
di come feci esplodere la tua risata
per una farfalla fra le dita catturata
Un giorno, un giorno non lontano
troverai che sul vuoto tuo cuscino
riposa silente il sogno mio
E allora sì, una lacrima la piangerai

Un giorno,
un giorno non lontano
quando tutto sarà passato
e testa o croce
non avran più significato,
quel giorno capirai tutto quello,
tutto quello che la timidezza
non m’ha lasciato dire

§Un giorno,
un giorno piangerai
Come una donna
che ha imparato la tenerezza,
tu piangerai

Un giorno,
un giorno mi cercherai
senza provar vergogna
né desiderio di vendetta
Un giorno,
un giorno mi vorrai
accanto al tuo cuscino
a sussurrarti all’orecchio
storie di farfalle
che volano lontano lontano
per tornare sui fiori a primavera,
a primavera

Quel giorno capirai tutto,
tutto quello che la timidezza
non m’ha lasciato dire
Quel giorno troverai
la tua vera tenerezza,
in bilico sul confine degli occhi

DONNE COME RELIGIONE

E questa pioggia cade,
sulla città cade,
e accade
che t’incontri nella notte
e quasi non ti riconosci
E, e nel buio ci sono donne
che sono come la religione,
mai stanche e persino felici
nonostante le orge con diavoli
e le botte da orbi un giorno sì
e uno no: a un angolo di strada
fanno quel che sanno,
ti chiedono se hai bisogno,
e tu fingi di non saper bene
che cosa intendono,
ti mostrano allora un po’ di seno;
fai finta di niente
ma sei nodoso e nervoso
perché questo è il blues,
e ti è capitato di sentir dire
che quando ti prende sotto lo sterno
non lo puoi arrestare
con una preghiera da due soldi

Ci sono donne, donne
che hanno la loro religione,
e tu solo la tua tristezza
al di là dell’alba che sarà,
e che ogni santo giorno
si ripeterà

LA SETA DELLA NOTTE

Quel giorno pensavo che,
che non l’avrei più rivista,
e che ogni montagna sarebbe franata
e che ogni mare si sarebbe ritirato.
Quel giorno pensavo che,
che non ci sarebbe più stata
la luce del giorno né la seta della notte.
Ed invece è ancora la sua carezza
a sfidare il mondo; è la sua dolcezza
a dar un senso alle lacrime e al sole.

Questo è un giorno felice che,
che si spande in ogni contrada e strada:
lei canta e balla, e il vino scorre a fiumi,
e nessuno si ubriaca più del giusto
e lei sorride un arcobaleno di teneri colori,
mentre due zingari si stringono stretti stretti
– un po’ piangendo, un po’ ridendo –
aspettando l’abbraccio del crepuscolo.

LA PROMESSA

Promettesti l’amore,
tutto l’amore possibile;
e stringo ora io le mani a pugno
fra silenzi e rumori a combattersi
senza riguardo alcuno
dentro all’anima mia,
come se tutto,
come se tutto non avesse più senso
né direzione

L’ovale del tuo volto,
gentile nel riflesso dello specchio,
più vivo di quanto desideri lo ricordo
Eri tu che perdevi una lacrima
mentre ti raccontavo io
di quell’angelo che l’anima la perse
spiegando le ali al volo,
senza sapere
quanto forte l’ira d’Apollo

E tu, dove hai tu perso
la  promessa, il patto di sangue
che con un frammento soltanto
di specchio rotto
per sempre i nostri polsi li incise?

SU UNA LAMA DI VENTO

Fantasmi appassiti
su una lama di vento
piano raccontavano
di nuvole e pettegolezzi,
di libri e occasioni perdute

A una sconosciuta
su una strada a caso
ho sparato il mio nome
perché presto lo dimenticasse

Ho consegnato poi
a uno di bocca buona
senza un dente buono
né in alto né in basso
il perché si sta così bene
a non scrivere d’amore

…perché ho visto cose
che non stanno
né in cielo né in terra
Perché ho visto
uomini e donne
come topi ghiotti e ciechi
rosicchiare oscene illusioni

BUFFONI

I.

Quel che resta
non lo dirò
né con la voce
né con il pensiero,
ché se di buffoni
ci si circonda
buffoni si diventa
presto
e non tardi

Sì tardo è il mondo
perso nel suo girotondo!

II.

Per semplice sospetto
d’intelligenza,
quel che resta
non lo svelerò
né al giorno fatto
né alla notte
che sì presto s’appresta
al mio cospetto

VITA SPEZZATA

lasciamo questa città d’incorporee visioni
lasciamo questa tomba a cielo scoperto
torniamo indietro insieme
dove i violini non sanguinano buie note
dove la vita non si spezza sull’archetto

il fotografo ha rubato le anime
e i giornali ripetono le solite bugie
e io mi sono dato al primo marinaio
perché mi insegnasse un po’ d’amore
ma è servito davvero a poco
se non riesco ancora a sorridere
se ancora son divorato dal desiderio
di uccidere le bianche colombe
per tingerle di rosso
e illudermi poi che siano rose

siamo solo vittime
di tutto quello che abbiamo perduto
per strada, siamo solo passi ambulanti
per una vita spezzata
per ricami di illusioni

giorni di pioggia sul mio davanzale cadono
per rompersi l’osso del collo
e quelli di sole li imitano
lasciamo queste case d’incorporee visioni
lasciamo questi cadaveri a cielo scoperto
e torniamo indietro insieme, insieme

non è ancora troppo tardi
per essere dolcemente egoisti
carica la mano e falla volare in uno schiaffo
che mi restituisca al bacio del giuda piangente

torniamo, torniamo indietro insieme
dove i violini non ci spezzano le dita
dove la vita non è emorragia di lacrime

STONO L’AUTUNNO
(da “Fiore di Passione”)

Avevo voglia d’una musica triste,
di lamenti uguali a quelli
d’una foglia suonata dal vento
– dal tempo –
perché oggi c’è che amo solo te
che non sai quel che invece io so
fra i sorrisi spenti di tutta quella gente
che nella vita mai ha avuto niente,
un mendicante un poeta un Pierrot

E viene l’autunno, siede accanto a me
All’orecchio soffia piano un “Cosa c’è?”
Muto e niente, ma nel cuore il pianto
Mi dico stanco, ma c’è, sempre c’è
che in tanti hanno avuto meno di me,
nemmeno la fortuna di vivere una luna,
di veder l’autunno e i bruni suoi colori

Ed è così che,
che piano piano ripeto a me
“Che c’è, cosa c’è che non c’è?”
Ed è così che,
che in un bisbiglio ripeto a me
“Avevo voglia di qualcosa di triste,
di crepitii solamente per quel che c’è
Per quel che in amore c’è e non c’è
fra un silenzio e l’infinito…
fra il già detto e quest’autunno di foglie
che a fior di labbra suono e stono”

HO MAI DETTO AL CIELO CHE SEI BELLA?

Dolci i fianchi lungo le montagne,
e la pioggia, la pioggia non cessa il suo lavoro:
e quasi ogni creatura cerca un minimo riparo
per resistere nei giorni che verranno,
e molte donne cercano, cercano
un amante o un Charles Manson
che faccia loro compagnia fino alla fine
Ho mai detto al Cielo che sei bella,
Te l’ho forse mai detto chiaro e tondo?

Dolci e amari i sogni che ci tormentano
Ogni giorno passa lento sulla tua bellezza,
e ogni goccia di pioggia ti accarezza piano
Da lassù il Signore ci invita a salvarci:
non gli piace affatto questa solitudine
che abbiamo deciso di caricarci addosso
per il resto della nostra vita

E quasi ogni creatura cerca un minimo riparo,
e molte donne cercano un amante o un Manson
per viverlo fino alla fine,
e alcune donne cercano qualcuno con cui stare
per una notte solamente

Non ti ho mai detto che nel Giorno del Giudizio
a nessuno di noi verrà chiesto perché Sole e Luna
non hanno mai fatto niente per essere un po’ di più
Non ti ho mai detto la verità sulla confusione
che alberga quaggiù dove è facile franare
insieme ai secoli delle montagne,
dove è facile cadere in ginocchio
senza aver mai dato all’esistere un perché

Quasi ogni creatura cerca un minimo riparo,
e tutti, davvero tutti gli innocenti cercano
il petto d’una madre

Ho mai detto al Cielo che sei bella
al di là di ogni ragionevole dubbio?

Dolci,
dolci sono i fianchi delle montagne
Non reggeranno ancora a lungo,
non reggeranno ancora a lungo

NON È CAPITALE SAPERE

Vedete,
non è una questione
su quello che so fare
e su quello che invece no,
e neppure è capitale sapere
se mi garba sparare chiodi
addosso a persone o cose

Il mio interesse è
al di là delle banalità;
se una poesia mi viene
e mi viene
sbagliata e storta
– e il diavolo lo sa
quante porcate
ha collezionato il cestino –
non piango
né mi penso migliore
del mio amico netturbino
o d’un qualsiasi coglione
con la fissa per l’assassinio

Capite o no
di cosa sto parlando?
Non c’è niente di strano,
non c’è davvero niente
che non vada in me

MAESTRO, INSEGNAMI

Maestro,
insegnami la distanza
fra me, la lentezza e l’infinito;
insegnami come e dove
l’amore arriva e non arriva

Maestro, insegnami,
insegnami
a non essere controfigura
dell’ombra che i piedi
a ogni ora mi morde

Insegnami
a non essere
segnato e sognato

DICO ADDIO

Dico Addio all’idiozia dell’Io,
a quel cieco dio che mi dice suo
Dico addio al mendico,
al sottoposto, al poeta,
a quel coglione che coglieva
e coglieva bene, per disprezzo
qualche volta, di palo in frasca
Dico addio al poco che fu mio,
all’idea malata di far piangere
sputando fumo negli occhi
come asino a briglia sciolta,
ma sempre confuso fra i ragli
dei tanti

Brucia ancora l’alba sulla pelle
e non cessa del vento il fischio,
mi sia così concesso
di non passare per fesso
perché buono o giù di lì
Anch’io ne ho piene le palle
di dare a tutti o a nessuno,
ottenendo in cambio
la sopportazione altrui
ché poi sì, verrà l’occasione
di tornare utile
– d’esser preso per il culo

Dico addio agli obblighi,
ai favori, alle stupide convinzioni
di maniaci, critici e fanatici
Dico addio a chi è partito
per finire nell’abbraccio d’un Partito
Dico addio a voi pressappochisti
che in tasca una scusa da due soldi
sempre ce l’avete
Addio alle vostre facce sui giornali,
in tivù e in qualche orinale
Addio alle preghiere di voi buffoni
che vi credete Uno e Trino
Addio al vostro criptorchidismo,
a voi che salite e scendete vivendo
per dar corso a inciuci e sofismi

Addio a voi,
alle vostre incazzature
senza sbavature

Addio sì, addio a voi
Mai vi è passato per la mente
che c’è anche chi non mente



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Incapace d’amputare il dolore

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