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Luca De Angelis. Intervista all’autore: “Cani, topi e scarafaggi. Metamorfosi ebraiche nella zoologia letteraria”

Luca De Angelis

Intervista all’Autore

Cani, topi e scarafaggi

Metamorfosi ebraiche nella zoologia letteraria

di Giuseppe Iannozzi

1. Luca De Angelis, in Cani, topi e scarafaggi. Metamorfosi ebraiche nella zoologia letteraria (Marietti 1820, Bologna, 2021) evidenzi che “Shakespeare è diventato nei secoli un riferimento privilegiato per farsi un’idea degli ebrei” [*]. Harold Bloom non ha dubbi, Il mercante di Venezia è «un’opera profondamente antisemita». (Dalla Prefazione di Harold Bloom a Il mercante di Venezia, Edizione speciale su licenza per Corriere della Sera, 2012 RCS MediaGroup S.p.A. Divisione Quotidiani, Milano). L’odio nei confronti degli ebrei nascerebbe dunque dalla divulgazione, nel corso degli ultimi secoli, dell’opera di William Shakespeare?

Direi proprio di no. L’antiebraismo ha radici molto antiche, cause diverse ed esiti molteplici. E poi, come dico sempre, più che di antisemitismo trovo più giusto parlare di antisemitismi. Shakespeare più che agens, lo vedo più come actus, avendo partecipato dell’antigiudaismo del suo tempo…

2. L’Antiebraismo (teologico) ha radici molto profonde e antiche. Nella storia cristiana gli ebrei sono considerati i responsabili della morte di Gesù e del mancato riconoscimento come Messia. San Giovanni Crisostomo, ad esempio, si espresse in termini non poco feroci: «[…] banditi perfidi, distruttori, dissoluti, simili ai maiali… Per il loro deicidio non c’è possibilità di perdono, dispersi in schiavitù per sempre… Dio odia gli ebrei e li ha sempre odiati». (San Giovanni Crisostomo, Omelie contro i Giudei, Centro Librario Sodalitium, Poirino, 1997). Per San Girolamo gli ebrei erano addirittura «serpenti la cui immagine è Giuda». (citato in Lo storico Villella e la rabbina Aiello raccontano la Shoah agli studenti del Polo Tecnologico di Lamezia, il Lametino.it – Lunedì, 28 Gennaio 2019). L’antiebraismo non mi sembra proprio sia imputabile in maniera completa e assoluta al Bardo dell’Avon. Luca De Angelis, puoi fare un po’ di chiarezza in merito a quanto qui evidenziato?

Non credo che possa esistere qualcuno che abbia la scriteriata presa di posizione di ascrivere l’antiebraismo “in maniera completa e assoluta al Bardo di Avon”. Ai nomi dei santi che tu hai citato, si potrebbe aggiungere anche il nome illustre di Lutero. Ma non è questo l’intento del mio libro. Io non sono un teologo né uno storico. Io mi occupo di letteratura, nello specifico di come la condizione ebraica si riflette nella scrittura dell’ebreo della modernità ebraica, che ha inizio nel momento in cui la letteratura ebraica si secolarizza, nel senso che si allontana dalle forme e dai modelli religiosi più chiusi e viene letta come letteratura anche dall’esterno, ovvero quando l’ebreo non scrive più per la limitata cerchia dei suoi correligionari entro le mura, bensì per tutti i lettori, ebrei e non ebrei, senza distinzioni (apparentemente). Perché partire da Shakespeare? Esclusivamente per motivi letterari. Nel Mercante di Venezia, a quanto è dato constatare, probabilmente abbiamo la prima, o almeno la più famosa, esemplificazione di un procedimento, di un modello, che verrà adottato in seguito da diversi scrittori ebrei moderni, i quali hanno fatto ricorso a figure animali o infra-umane per le loro figure ebraiche, partendo dagli insulti antisemiti interiorizzati ed elaborati, sveleniti con l’autoironia. Con tagliente Selbstironie, è Shylock stesso, che si autocondanna e con le proprie mani si attribuisce il marchio di cane, dinanzi al questuante Antonio. Così come Kafka molto tempo dopo, con le proprie mani, tramuterà Gregor Samsa in un mostruoso insetto, facendo compiere una metamorfosi al suo personaggio, servendosi dell’immaginario antisemita.

3. “Shylock, il cane giudeo shakespeariano, è stato assunto come preludio per alcune riflessioni sulla condizione ebraica attraverso il bestarium judaicum e gli zoomorfismi dell’ebreo, così come stati elaborati in letteratura, in relazione all’antisemitismo”. Che cosa si intende veramente quando si parla di animalità dell’ebreo?

L’animalità dell’ebreo venne intesa come una differenza razziale o biologica, ma che non poteva che risentire della differenza politico-teologica. Levi si sofferma a spiegare che le imposizioni del Lager progressivamente conducevano a delle condizioni che potevano essere definite «animalesche, come quelle degli animali da lavoro», testimoniando come «la percezione della regressione animalesca fosse diffusa» in tutti gli internati del Lager. Le ingiurie antisemite, che animalizzano l’ebreo, costituiscono delle vere e proprie iniziazioni che si incidono nell’anima. Non così per dire Levi si diceva convinto che una delle radici del nazismo fosse «zoologica». Yoram Kaniuk definì «L’annientamento della subumanità» ebraica una sorta di «drammaturgia zoologica». La somatizzazione mostruosa dell’ebreo, esibito in sembianze animalesche e repellenti, ottenne lo scopo  di svuotarlo della sua umanità. Questo processo favorì inesorabilmente la desensibilizzazione e la creazione di un nemico disumanizzato, che finì per essere relegato nella sfera del biologico e dello zoologico. Gli ebrei non possedevano nessuna delle qualità che definiscono un uomo. Queste convinzioni facilitarono il loro sterminio.

4. “Essere ebreo è un sentimento che tende a essere totalizzante. […] L’ebreitudine, come si potrebbe chiamare la condizione esistenziale dell’ebreo, non si lascia mettere tra parentesi come cosa di nulla importanza.” Heinrich Heine scrisse: «Là dove si bruciano i libri si finirà col bruciare esseri umani?» (Heinrich Heine, Almansor, 1823).
Luca De Angelis, quali scrittori hanno “previsto in modo assolutamente profetico le consegue insite” nel “processo di animalizzazione dell’ebreo”? E, quali definizioni li hanno resi “chiaroveggenti, visionari dell’estremo limite”?

Impossibile citarli tutti. Ho dedicato un intero capitolo nel mio libro di anno fa: Il caso estremo dell’uomo. Essere scrittore ebreo (ombre corte), al quale mi permetto di rinviare. Cito soltanto uno stralcio di una lettera che Arnold Schönberg scrisse a Kandinskij (4 Maggio 1923), a proposito dell’impressionante montare della giudeofobia cui stava assistendo. Agli occhi nitidi del compositore viennese una simile concezione del mondo era preparatoria a delle «nuove notti di San Bartolomeo»; in effetti, «a che cosa può condurre l’antisemitismo se non ad atti di violenza? È così difficile immaginarselo?». Per molti scrittori ebrei, date le premesse, non fu affatto difficile immaginare le conseguenze. Apparve chiaro che parole suppuranti da una paranoia criminale fatalmente dovevano condurre alla violenza, perpetrata con le semplici parvenze del diritto, che divenne legalità, e infine diritto a tutti gli effetti; da qui in rapida escalation si sarebbe passati a umiliazioni pubbliche, pestaggi, Notti dei Cristalli, in breve alla distruzione dell’Uomo attraverso l’Ebreo. Giustamente Jacques Attali spiegava che la spiccata propensione degli ebrei per le previsioni si dovesse al fatto di essere il più oppresso dei popoli. Essi erano obbligati a prevedere le minacce che incombevano su di loro: «prevedere il futuro» si trattava per loro di una «condizione di sopravvivenza».

5. Nel corso dei secoli filosofi come Schopenhauer e Nietzsche si sono scagliati contro gli ebrei, e Hitler, ovviamente, fece sue le loro idee; la pazzia omicida del führer ispirò e formò diversi filosofi: Erich Rudolf Ferdinand Jaensch, Ernst Krieck, etc. Una buona fetta di studiosi accusa Martin Heidegger di aver contribuito alla nazificazione dell’università dove insegnava (Albert-Ludwigs-Universität). Peter Trawny non ha dubbi sull’antisemitismo di Heidegger: «C’è un antisemitismo onto-storico nei testi di Heidegger che sembra contaminare non pochi aspetti del suo pensiero. Questo dato di fatto getta una nuova luce sulla filosofia heideggeriana e sulla sua ricezione. Se finora il coinvolgimento di Heidegger durante il nazismo è stato un problema che ha portato in parte a condanne eccessive e in parte a riserve legittime, la pubblicazione dei Quaderni neri rende impossibile ignorare l’esistenza di una forma specifica di antisemitismo che, per di più, emerge in un periodo in cui il filosofo critica fortemente il nazismo». (Peter Trawny, Heidegger e il mito della cospirazione ebraica, Bompiani, Milano, 2014).
È tua opinione, Luca De Angelis, che Il mercante di Venezia di Shakespeare abbia influenzato in maniera determinante il pensiero di questi e altri filosofi?

Non ho riferimenti precisi e testuali per poter affermare questo. Mi sem­bra comunque un azzardo eccessivo. Tutto questo insistere sull’antisemitismo shakespeariano può risultare fuorviante e far pensare che la causa causarum di tutto fosse Shakespeare, che banalmente si fece portatore di motivi anti giudaici mutuati dal Medioevo e dalle epoche precedenti. L’antisemitismo moderno è tutta un’altra cosa. Permettimi soltanto una puntualizzazione: mentre in Schopenhauer e Heidegger l’antisemitismo è cosa acclarata, la questione per Nietzsche è perlomeno discutibile. Nietzsche si definiva «anti-antisemita» e in alcun modo voleva essere confuso con «la canaglia antisemita». In una lettera alla sorella (1887) scrisse: «Questi maledetti ceffi antisemiti non devono toccare il mio ideale». Mi pare che un antisemita non parli proprio in questi termini…

6. «Non ha occhi un ebreo? Non ha mani, organi, statura, sensi, affetti, passioni? Non si nutre anche lui di cibo? Non sente anche lui le ferite? Non è soggetto anche lui ai malanni e sanato dalle medicine, scaldato e gelato anche lui dall’estate e dall’inverno come un cristiano? Se ci pungete non diamo sangue, noi? Se ci fate il solletico, non ridiamo? Se ci avvelenate non moriamo?» (Shylock: atto III, scena I; Il mercante di Venezia, William Shakespeare).
Luca De Angelis, oggi non tutti i critici sono d’accordo nel definire Il mercante di Venezia una opera di chiaro stampo antisemita. Sicuramente le versioni della commedia shakespeariana che furono portate sul palco durante il periodo nazista, rappresentazioni fortemente rimaneggiate, intendevano screditare deridere umiliare e disumanizzare gli ebrei, su questo non ci piove. In Cani, topi e scarafaggi. Metamorfosi ebraiche nella zoologia letteraria, Luca De Angelis, tu evidenzi molto bene come il personaggio di Shylock è stato adattato alle convenienze di Hitler e dei suoi tanti seguaci; e alla fine, così mi par di capire, sposi in pieno la tesi di Harold Bloom, il quale sosteneva che «anche se Shakespeare suggerisce comprensione verso l’ebreo, questo non allevia la ferocia del ritratto che fa di questo personaggio».

Direi che la commedia shakespeariana è percorsa da ambiguità e ambivalenza. Sul piano artistico posso comprendere l’intento di “salvare” Shakespeare, scagionandolo da accuse anti-ebraiche, in virtù del plea for Jewry, dell’umana protesta di Shylock. Ma negare l’esistenza di motivi antigiudaici nel Mercante di Venezia, in cui un ebreo viene descritto con sembianze bestiali, vuol dire veramente coprirsi gli occhi! Nel mio libro ho denunciato come nell’edizione italiana del volume di Harold Bloom, Shakespeare: L’invenzione dell’uomo, il capitolo su Shylock, rispetto all’edizione inglese, sia stato espunto. Siamo così sicuri che per la questione trattata, ovvero l’invenzione dell’uomo, la figura di Shylock non abbia un ruolo centrale? Dico la verità, ho trovato questa operazione editoriale molto sospetta, quasi si volesse nascondere questo aspetto sgradevole e inopportuno di Shakespeare e censurare i giudizi di Bloom…

7. Nell’adattamento cinematografico de Il mercante di Venezia diretto da Michael Radford (2004), proprio nelle sequenze iniziali, un testo e una sequenza mettono in evidenza come gli ebrei fossero crudelmente maltrattati da fanatici cristiani. Luca De Angelis, è vero che alcuni cristiani amavano maltrattare gli ebrei?

Mi viene da pensare a un libro scomodo come quello di David Kertzer, I papi contro gli ebrei, scritto allo scopo di illustrare il ruolo del Vaticano nell’ascesa dell’antisemitismo moderno. Penso che molti non sappiano che la stella gialla degli ebrei è stata una ripresa del distintivo giallo obbligatorio nello stato pontificio, ancora nel XIX secolo. Ma non vorrei che si dimenticasse che molti preti e religiosi rischiarono la vita per salvare degli ebrei. Ci sarebbe molto, troppo da dire e non può evidentemente essere questa la sede…

8. «È ingenuo, assurdo e storicamente falso ritenere che un sistema infero, qual era il nazionalsocialismo, santifichi le sue vittime: al contrario, esso le degrada, le assimila a sé, e ciò tanto più quanto più esse sono disponibili, bianche, prive di un’ossatura politica o morale. Da molti segni, pare che sia giunto il tempo di esplorare lo spazio che separa (non solo nei Lager nazisti!) le vittime dai persecutori, e di farlo con mano più leggera, e con spirito meno torbido, di quanto non si sia fatto ad esempio in alcuni film. Solo una retorica schematica può sostenere che quello spazio sia vuoto: non lo è mai, è costellato di figure turpi o patetiche (a volte posseggono le due qualità ad un tempo), che è indispensabile conoscere se vogliamo conoscere la specie umana […]» (Primo Levi, La zona grigia, in I sommersi e i salvati, Einaudi, Torino, 1986).
Il neo-antisemitismo è purtroppo una ben triste realtà che si è configurata in un po’ tutti gli angoli del mondo occidentale. Luca De Angelis, perché il nazionalsocialismo in questi ultimi anni è tornato di moda?

Riprendo il pensiero di Primo Levi, che non va mai dimenticato: Tutto questo è stato. Tutto questo è accaduto e quindi potrebbe accadere di nuovo. Come ho scritto nel mio libro, in tutta evidenza nessuna nuova e migliore umanità è sorta dal disumano e dallo sterminio degli ebrei perché si possa scongiurare del tutto questa possibilità. La Shoah non ci ha reso immuni dall’antisemitismo. Che cosa si può fare? In suo romanzo, Romain Gary ha scritto: «Rifiuto di arrendermi alla moderna escalation della desensibilizzazione». Solo così non si eclisserà la consapevolezza che «chiunque soffra sotto i nostri occhi è un essere umano». Se così fosse, anche le umanissime istanze di Shylock, di essere riconosciuto come uomo e non come una bestia, potrebbero essere ascoltate e accolte.

9. «C’è Auschwitz, dunque non può esserci Dio. Non trovo una soluzione al dilemma. La cerco, ma non la trovo». Così disse Primo Levi a Ferdinando Camon (Ferdinando Camon, Conversazione con Primo Levi, Guanda, Milano, 1989). Luca De Angelis, Dio è una ipotesi, è solo questo? Si può essere ebrei e non credere in un creatore di tutte le cose?

Il rabbino a Parigi Marc-Alain Ouaknin, autore di parecchi libri (tradotti anche in Italia) in un’intervista dichiara: «Io sono rabbino, ma sono anche ateo. Non è Dio che conta ma l’etica, la giustizia». L’errore più comune che è dato  riscontrare negli studi riguardanti scrittori ebrei è la pressoché assenza di una prospettiva ebraica. Molto spesso l’ebreo viene considerato con metri non suoi, ammoniva Wittgenstein. Nel libro intervista di Camon avverto proprio questo. D’altro canto, Arnold Mandel osservava che così come esiste una religione di tipo esoterico e un’altra di tipo essoterico, così pure esistono differenze di questo genere anche per l’irreligione. Tra l’irreligiosità dell’ebreo e del cristiano corre un’enorme differenza, in quanto ci sono delle modalità di affermazione ebraica al di fuori di ogni articolazione religiosa esplicita che hanno una portata religiosa. Ogni affermazione ebrea, ogni azione di ebreo, quali che siano le modalità hanno un significato religioso. Dirsi ebreo o solamente confessarsi tale è consciamente o inconsciamente uno schierarsi sotto il segno dell’Alleanza. Secondo Mandel, si sviluppa una sorta di contraddizione in termini quando un ebreo si pretende ebreo ateo. Ecco perché non mi pare così sconclusionato e bislacco il concetto di “ateismo religioso”, proposto da Lukács per Dostoevskij. Piuttosto, sarebbe il caso di meditare sul perché non esiste in ebraico una parola per definire l’ateo. Ma soprattutto chiediamoci, ritornando a Levi, come si spiega la presenza di Shemà, la poesia in epigrafe di Se questo è un uomo, che faceva il verso alla preghiera fondamentale israelita, che Levi stesso si provò a recitare nella Tregua?

10. Olocausto e Shoah non sono due ‘termini” che si possano definire uguali: parlare di Olocausto propone infatti l’idea di un sacrificio inevitabile, e non solo. Alcuni preferiscono usare la parola h̯urban, non è forse così?

La parola Hurban, che significa “distruzione”, “catastrofe”, fu utilizzata soprattutto dagli scrittori di madrelingua yiddish. Pare che a coniarla e a utilizzarla in relazione allo sterminio degli ebrei fu lo storico Philip Friedman. Questo termine, ad esempio, lo usò Manès Sperber, una figura purtroppo assai trascurata in Italia. Hurban è uno dei tanti nomi di cui ci si è serviti per riferirsi alla sterminio degli ebrei. Questa varietà è significativa, perché evidenzia tutta la difficoltà di dare un nome all’immane tragedia.

11, Tropi darwinistici e parassitologici: potresti fornire ai lettori qualche ragguaglio…?

Prendo spunto da un celebre luogo letterario, ovvero l’ironica rappre­sentazione catastrofica, che chiude la Coscienza di Zeno, che vede il ritorno alla «salute» della terra, ridotta a una nebulosa «priva di parassiti e di malattie». Il contesto è evidentemente ispirato alle teorie evoluzioniste. Ora si deve aver presente che nel razzismo di estrazione darwiniana a essere paragonati a malattie e parassiti, a corpi estranei nell’organismo del popolo, a elementi perniciosi di degenerazione da eliminare per restituire un popolo all’ordine naturale, sono proprio gli ebrei. Lo stereotipo razziale dell’ebreo ne faceva un parassita, spogliandolo di ogni caratteristica umana. Con questi tropi parassitologici, Svevo allusivamente fa il verso al razzismo völkisch, che dal darwinismo sociale e dall’antisemitismo ottocentesco trasse pericolosi argomenti ideologici, strutturatisi poi nell’immaginario parassiticida della sintesi nazionalsocialista. Desta grande inquietudine osservare come quell’idea, inconfondibile, che l’eliminazione dei parassiti rappresenti una Gesundung, una «guarigione», corrisponda perfettamente alle teorie di profilassi igienica naziste, così come Hitler, circa un ventennio dopo, le espose a Himmler: «Dal virus ebraico hanno origine innumerevoli malattie riguadagneremo la salute soltanto eliminando gli ebrei», e ancora: «Sterminando i parassiti, renderemo un servizio all’umanità». Va detto che le fantasie eliminazionistiche dei nazisti e le premesse ideologiche del genocidio del popolo ebraico erano in incubazione in Europa molto prima dell’hitlerismo, dunque già presenti ai tempi di Svevo. La storia, non diversamente dalla natura aristotelica, non facit saltus.

NOTE:

[*] Nelle domande tutte le citazioni fra virgolette alte doppie sono tratte da Luca De Angelis, Cani, topi e scarafaggi. Metamorfosi ebraiche nella zoologia letteraria (Marietti 1820, Bologna, 2021)

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Luca De Angelis – Cani, topi e scarafaggi
Metamorfosi ebraiche nella zoologia letteraria

Luca De AngelisCani, topi e scarafaggi. Metamorfosi ebraiche nella zoologia letterariaMarietti 1820 – collana: 1103 I Melograni – pubblicazione: 5 gennaio 2021 – pagine: 216 – ISBN: 9788821110344 – € 15,00



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