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Capita una sola volta: “Hank, devi fare la cosa giusta!”

Capita una sola volta

a cura di Iannozzi Giuseppe

ho venduto gli ultimi due dischi di Schumann che mi erano rimasti.
in tasca pochi spicci, dopo aver preso tre bottiglie di vino e delle birre in lattina.
in questo buco infestato da me e dagli scarafaggi c’è un silenzio che disturberebbe pure il diavolo.
penso a come passare la giornata.
Rita ha lasciato le sue calze qui da me. se non tornerà a reclamarle in giornata, penso che le butterò nella spazzatura. non sono mai stato un feticista, le gambe di una donna mi piace guardarle e non immaginarle. e Rita non è il tipo che piace a me. non fosse stato che ero ubriaco, con lei non l’avrei fatto, o forse anche sì. è che Rita è spostata di testa, è sempre a caccia di un disgraziato che la porti all’altare. da una donna così si dovrebbe stare lontani, ma ero sbronzo e di far mattino da solo non tenevo voglia.

sto comodo, in mutande, con su una vecchia camicia sbrindellata, che un tempo doveva essere bianca.
la scelta non è stata facile… con quello che ho tirato su vendendo Schumann o prendevo da bere o andavo all’ippodromo. non è un momento fortunato, così mi sono buttato sul vino. se fossi andato all’ippodromo a puntare sui cavalli, avrei perso il gruzzoletto in due puntate, tre al massimo, avrei però passato il tempo e forse avrei pure rimediato una tipa. nessuno immagina quanta fica ci sia in certi posti, i più pensano che dove ci stanno i cavalli non ci possono essere delle donne attraenti e ben disposte. le donne invece adorano gli stalloni lanciati nella corsa. le fiche migliori le ho sempre rimediate in posti come l’ippodromo e mai in una redazione di giornale o a un barboso reading.

sto qui e non ho niente da fare.
penso a delle storie che potrei scrivere per tirare su qualche dollaro, ma in questo periodo le riviste sono diventate particolarmente schizzinose e taccagne. se continua di questo passo, finirà che chiederanno a me di pagare per pubblicare sui loro cazzo di fogli.
bussano alla porta. non è Rita, perché Rita non bussa, entra e basta. di sicuro è qualcuno che non conosco. lo sanno tutti che non uso chiudere a chiave.
cerco di alzarmi dal divano, ma inciampo e bacio il pavimento. ho come l’impressione che gli scarafaggi ridano di me, ma loro non sanno che cosa significa affrontare i postumi di una sbornia.
arranco come mi viene fino alla porta e la spalanco.
nell’androne ristagna il puzzo di un sigaro cubano.
qualcuno mi ha lasciato una busta.
non sono curioso.
la raccolgo e la butto in mezzo alle stronzate, alle bollette scadute e agli inviti per prendere parte a dei reading del cazzo. perché a qualcuno debba passare per la testa di leggere le proprie poesie in pubblico, per me questo è un mistero schifoso, schifoso né più e né meno come quello di dover pagare per bere e scopare.
scassato dalla noia, da un mucchio di libri buttati alla rinfusa sul pavimento ne prendo uno a caso. sul retro c’è la faccia di un tipo. non mi piace, è forse più brutto di me e questo non va affatto bene. comincio a leggere. 
all’improvviso entra Rita. la sua voce mi trapana il cervello e non ho ancora capito se questo tipo ci sa fare con la penna. Rita grida che la devo sposare altrimenti si ammazza.
“Hank, tu devi fare la cosa giusta!”
il libro mi cade dalle mani.
penso che dovrei darle un paio di sberle…
“Rita, hai dimenticato le calze da me.”
“non le ho dimenticate, le ho lasciate qui apposta.”
dovrei dirle che è pazza…
“vuoi del vino?”
“dammelo!”
le porgo una bottiglia.
“è vuota!!!”
“non del tutto, non del tutto”, farfuglio.
non ne è proprio convinta… prende però a succhiare dalla bottiglia. dovrei dirglielo davvero che non ci sta con la testa, per il suo bene dovrei sbatterle in faccia la verità, ma so che non servirebbe.
si è scolata l’ultimo goccio e non vuol che saperne di staccare la bocca dal collo della bottiglia.
mi metto i pantaloni e, facendo finta di niente, raccolgo il libro che stavo leggendo; e in mezzo alle pagine ci schiaffo un po’ di posta, lettere e bollette. esco di casa.

fuori è come sempre, né bello né brutto.
non amo andare in giro con un libro in mano, è una cosa da donnette, questo penso. e penso che dovrei liberarmene insieme alle bollette. dalle pagine del libro scivola via una busta, plana per un po’ nell’aria, poi tocca terra e si apre lasciando uscire… penso che è il mio giorno fortunato, ho abbastanza soldi per puntare sui cavalli e prendermi un’altra sbornia. decido di tenere il libro che stavo leggendo: potrebbe portarmi ancora fortuna, potrebbe, ma non ci credo. capita una sola volta nella vita che uno stordito ti ringrazi con dei soldi perché ha letto una tua poesia su un foglio stampato e che per giunta si scomodi di restare anonimo.

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