Sulla tomba non scrivere versi
ANTOLOGIA VOL. 227
Iannozzi Giuseppe
LUNA BELLA
Luna bella, ti ho persa
tra un raggio di luce
e uno di buio
Mi sei entrata dentro
in punta di piedi
quando meno me l’aspettavo:
avevo le finestre aperte
E ora che non sei più
a darmi una speranza,
penso a quanto bello
un volo dall’ultimo piano,
leggendo con gli occhi in velocità
tutte quelle mutevoli verità
che per un istante s’affacciano
Un volo giù a capofitto
più stanco dell’urlo
in gola – che strozzata rimane
fino alla fine
PREGHIERA DEL MESTIERANTE
Risuolo le scarpe,
un mestierante io
che male sa l’abc
Dio ha voluto così
Dicono cose i clienti
che non intendo
A tutti con il capo
faccio cenno di sì,
e muto muto resto
Pianto chiodi
sotto le suole
Prego in silenzio,
prego la croce e Gesù
perché non si compia
oggi il destino mio
a testa in giù
Prego bene perché
ho del lavoro da sbrigare
per dar ai figli miei
un pane da mangiare
BIONDE RISATE IN RIVA LA FIUME
Era tutto così bello
Il sole che picchiava forte
e l’erba alta verde e soffice
Fiori dappertutto,
nell’aria profumo di fragilità
Così coccolato,
fra le dita una ciocca bionda raccolsi
e scoppiasti tu subito a ridere
insieme al piccolo fiume
da noi così poco distante
Era d’oro quella ciocca
E il tuo volto felice
era estasi in un bianco sorriso;
fui così tentato,
così tentato di credere al divino
Arrossendo lievemente,
ti alzasti nascondendo le gambe
sotto la corta gonna
Fra le scomposte chiome degli alberi
prendesti a correre,
come braccata da una feroce felicità
Fino alla riva del fiumiciattolo ti portasti
In esso i nudi piedi calasti,
rabbrividendo un poco appena
Ti ero dietro
Affannato ammirai te
muover sicura i passi
Ridevi alzando spruzzi al cielo,
un calcio e poi un altro
– una bambina che vuol giocare
Rimasi, non so
per quanto tempo,
con quella immagine di te
nel cuore piantata
Poi fui costretto a esalare
l’ultimo respiro
LE LETTERE CHE TI SCRIVEVO
Che ne hai fatto
delle lettere che ti scrivevo?
Coriandoli per un pulcinella,
danè per gli usurai
Che ne hai fatto
del mio amore tenero e ingenuo?
Un cigno strozzato dal suo canto
Che hai fatto,
che hai fatto alla bianca timidezza
ch’era disposta sul tuo dolce seno?
Un nudo che ogni diavolo vede
e morde
Il povero rimango io,
io che ti adoravo
SE NON ORA, QUANDO?
Se non ora, quando?
Non uno in bocca
mastica risposta certa;
e però si sa che prima o poi
un giorno ci si sveglierà
avvolti in un silenzio assoluto
proprio come, per tanto tempo
e con sussurri fra le labbra,
abbiamo pregato.
IL VOSTRO SILENZIO
Verrà il giorno
che da me nudi e scalzi
vi presenterete
reclamando a gran voce
che sia io a parlare
Ma quel giorno
avrò io labbra serrate,
ed allora ricorderete
che ieri dono voi mi faceste
d’un silenzio sepolcrale
DAL MIO GIARDINO
Non più spandono profumo
le rose dal mio giardino;
e anche i morti han smesso
di ciarlare coi grilli e le cicale
SEPOLTO NEL CUORE DI LEI
Non le ombre
su le tombe,
né i rami ischeletriti
di peso caduti
su letti di foglie marcescenti
potranno mai dire
quale la sofferenza
di quell’unico vagabondo
che dall’Est all’Ovest
la sua donna cercò
Bionda d’animo,
vergine di cuore,
si perse lontano lontano
tanto tanto tempo fa
in una notte
che il vento ululava
e la luna moriva
in un pozzo di nero inchiostro
affogata
Bionda
come il grano maturo
a Primavera,
scomparsa
nell’età più bella
accompagnata
soltanto dalla sua passione;
non lo sa Dio né Belzebù
dove oggi il suo rifugio,
se viva o prigioniera,
o se in balia
di altro destino
Nessuno davvero
sa più niente di lei
sì tanto amata
Ma sepolto è un uomo
in un angolo oscuro
dove la terra non è
per santi e sacramenti;
senza iscrizione,
l’avello nudo di fiori sta…
come in attesa
d’una carezza, d’un fiore
ERO IERI
Ero ieri più bravo di oggi
che non assumo la posizione del Loto
Ero ieri un collasso di poesia vuoto
Dicevo ma quel che dicevo lo tacevo
Ero santo diavolo perfetto
nascosto in un angolo d’uno specchio
Avevo ieri occhio lungo
e l’ago trovavo nel pagliaio,
sparavo poi alla cieca,
e, ci crediate o no,
disegnavo rose di sangue
sul petto delle amate
Ero ieri amante non scontato
SULLA TOMBA DI CHI NON FU
Vivere, morire:
quale la differenza!
Saranno i rimpianti
a passar di bocca in bocca
domani
per i pettegoli
sedicenti poeti;
ma niuno saprà mai
la verità e se mai una
abbia trovato
nel petto mio
albergo
Sulla tomba mia
versi non scrivere,
non spargere silenti lacrime,
o gocciole
raffinate con alte grida
Ho vissuto
e visto abbastanza
e sentito in egual misura
Lasciami
come si lascia la sabbia
che nelle mani a coppa raccolta
tosto dalle dita fugge via
Lasciami all’ellera,
alla gramigna e alle piante
che sul nudo marmo
vorranno ricamare il lor squallore
Sarò felice così,
nella morte eterna
vestito a lutto finalmente
DONNE IN INVERNO
Il verno maledetto
per lutto certo
corso ha dato
a nevi e tormente
su i guerrieri
e le loro armi;
non è bastato
l’acciaro novo
dal Maestro forgiato,
con rabbia e passione,
perché orchi e coboldi
cadessero
l’uno su l’altro,
né è servito priare
con la nuda forza
della disperazione
Uno a uno
caduti
tutti
e tosto coperti
da impietoso sudario
giù dritto dal Cielo
piovuto
pesante
Non ancora
la feral contezza
le donne sanno
nel sonno raccolte
accanto a le spente braci
della sera prima
fra lazzi e accese risa
Chi dirà loro
che gli uomini
non faran più ritorno?
chi avrà questo coraggio?
Disabitata al lor fianco
del letto una piazza,
ma ancor calda
dell’amata virile impronta
SE MI VUOI PRENDIMI
se mi vuoi
prendimi,
prendimi
nudo e crudo,
piovuto giù
da un cielo di zolfo
di lingue di fiamme,
dove sol navigano
bare fantasma
SGUARDO DI DONNA
Anche se mi vuoi oggi uccidere
non sarà facile, ho pur sempre
due occhi e due proiettili,
e una pistola ben legata al fianco;
tra le dune posso provare
a prender la mira, posso provare,
aspettando del sole il calare,
studiando degli avvoltoi il volo
Non vedrò forse che una o due albe
In fondo sempre l’ho sospettato
che lo sguardo d’una donna fulmina
più dell’ira di Dio; mi riterrò dunque
fortunato di darti del filo da torcere
Non ho mai preteso di vincere
Di morire da uomo, sì…
MEMORIA
In un grande cielo
che prima era di vuoto
il corpo d’un uomo impiccato
Ma non la sua libertà
che di bocca in bocca s’eterna
Ma non la sua vita di lotte
che di bocca in bocca vola,
perché sia forza e memoria
per tutti gli uomini di volontà
MIA VESTALE
Traballante, nudo e indifeso,
nell’alma gelato, col fiato corto,
ecco infine giunta l’ora mia
Sempre ho ceduto il passo
e se ho peccato, il sesso,
la poesia che esso è,
m’ha riscattato, non del tutto
ma abbastanza perché
se non oggi domani si dica
di me innocente e leggenda
Carco d’un crimine non mio,
attraverso il penetrale del Fato
il desio d’incontrarti brucia
quel poco di me che è restato;
col ginocchio franto al suolo,
la bocca massacrata, piagato,
a te che di me amasti la favella
vorrei oggi presentare il dono,
la vita mia seppur a brandelli
perché sia il piedino tuo gentile
a darmi la fine, e non il piè vile
d’un centurione qualunque
Oh, mia Vestale!
DIMENTICHERAI
Dimenticherai, di me
ogni segno e gesto
Dimenticherai, di me
il sasso scagliato
e l’allegria triste
che mi disegnava il viso
Sì, mi dimenticherai
e ti porterai sul cuore
un uomo migliore di me
E farai l’amore per amore
fra grida d’angeli
e risate dal mare
di vergine bianca spuma
sulla non mai
troppo calda sabbia
Mi dimenticherai, e sì,
non sarà peccato
all’alba scoprire
che sei viva più che mai
RITRATTO DI DONNA
oramai non ho più paura, sai
non ho pause né baci in sottofondo
oramai dormo poco e sogno tanto
oramai nasco sulla bocca
come un fiore partorito da una tomba
oramai non ho più parole
da darti in pasto per farne concime,
per sbriciolarle in quel che fu l’epitaffio
del nostro amore
oramai mi sembra tutto così normale
che sia finita così, con il mio dolore
e la tua completa indifferenza
metto su quel vecchio disco di bob dylan
che ti piaceva tanto e canto
non sento più niente, non sento più niente
da quando ho imparato che il sogno è tutto
e tutto il resto è destinato a marcire
l’uomo della pioggia non si stanca mai
domani bel tempo, dopodomani lacrime e sudore
il telegiornale mi sveglia al mattino puntuale
c’è una guerra in corso e c’è un uomo in fuga
un altro l’hanno accoltellato alle spalle in un vicolo
perché sapeva troppo sul conto di quel parrucchiere
questo mondo non cambia mai nonostante gli anni
quando conosci l’inferno non sai dov’è la luce
né la desideri per un’ipotesi di futuro alla boia d’un giuda
quando capisci che non hai più paura non ce l’hai più
e tutto passa, e non t’importa come, se veloce o lento
oramai mi sembra tutto così normale
che sia finita così, con il mio dolore
e la tua completa indifferenza
ma berrò alla tua salute un goccio di vino rosso
l’ebreo errante per ora è ancora qui col suo tormento
non aspetta l’inverno o un’altra stagione
l’uomo della pioggia gli ha spiegato tutto da un pezzo
oramai non ho più paura, sai
non ho pause né baci in sottofondo
oramai dormo poco e sogno tanto
IN GATTABUIA PER UNA ROSA
Ho regalato una rosa a una carina,
così sono finito in gattabuia
insieme a tanti altri uguali a me
a suonare il mio sporco blues
Adesso prendo quel che viene,
mi guardo le spalle, suono l’armonica
in attesa che emetta il Giudice il verdetto
Qui dentro hanno già tutti scommesso
che resterò a tener loro compagnia
per un lungo lunghissimo pezzo
Ma io ho solo regalato una rosa,
una triste rosa sotto un cielo di pioggia
Quando sarò fuori non regalerò più fiori,
lo giuro sul bene che ti voglio, Ma’
Quando sarò fuori non perderò più la testa,
lo giuro sulla memoria di Pà
Adesso suono l’armonica a bocca
Quando scende la notte è dura,
devi dormire con le scarpe allacciate
e tenere un occhio sempre ben aperto
Suono l’armonica a bocca, è tutto
quel che ho, proprio tutto quel che ho
Quando sarò fuori non scriverò più blues
Ma oggi sono qui, oggi, oggi sono qui
e il sole, quando c’è, lo vedo da dietro le sbarre
Se non suonassi impazzirei com’è già successo
quando da bambino mi prendevano in giro
per le orecchie grosse da elefante gandhiano
Ho regalato una rosa a una carina
perché non ce la facevo più a non andare
incontro alla tentazione dell’amore,
così sono finito in gattabuia
Mi tengono compagnia altri uguali a me,
e sono tutti più cattivi di me,
per questo non posso far a meno di suonare,
di suonare il mio personale blues
Suono il mio personale blues
perché almeno una volta nella vita
ogni uomo dovrebbe andare incontro
alla tentazione dell’amore, costi quel che costi
Costi quel che costi
DI SESSO LA POESIA
Se oggi
non ti dicessi bella,
desiderabile
spada di luce
confitta
dentro
al mio cuore
domani sicuro è
che mi rimprovereresti
di non averti amata
Se oggi
non ti confessassi
che della donna
il sesso è poesia
delicata e setosa,
domani sicuro è
che morirei
solo abbandonato,
seppellito prima però
dalle tue occhiate
di femmina ferita
CIARLATANI
Dici tu “ciao”,
rispondo io “addio”:
son le strade di tutti,
un venditore di panacee
a ogni angolo si sgola
perdendo la parrucca,
gli occhi viperini sgranando
di fronte a un pubblico cieco
Dove sono adesso io capitato
non c’è uno che non sia poeta
In quattro spacco il capello,
non serve però a far deragliare
i cavalli di ferro:
brigatisti e fondamentalisti
han già pronta la loro biografia
Quando l’amor mio confessai
al coro delle voci bianche,
gridasti ch’ero io un Pasquino
Dici tu “ciao”,
rispondo io “addio”
IL FREDDO SI SPANDE
Dalla Russia
il freddo si spande
sulle genti,
spezzando schiene,
producendo guai,
brividi e affanni.
A un tavolino
sta però un poeta,
solo e contento,
con quella sua aria
un po’ snob,
fischiettando di Puccini un’aria
davanti al cameriere stanco
e gelato; la mancia attende
sul palmo del bianco guanto,
sopportando il fumo
che in spire di futuro
sovra il vento si alza.
E non c’è più,
sparito,
volatilizzato,
senza lasciar dietro di sé
una minima eco.
Era forse un fantasma,
e quanto lontano
s’è portato,
nessuno lo saprà mai.
This post first appeared on Iannozzi Giuseppe – Scrittore E Giornalista | Ia, please read the originial post: here