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Sono soltanto parole innocue

Sono soltanto parole innocue

ANTOLOGIA VOL. 226

Iannozzi Giuseppe

GIORNO DI NOVEMBRE

Quel giorno di novembre
il vento soffiava forte
sulle foglie brune:
piangevano
addosso a noi
avvolgendoci
nel malato loro abbraccio,
quasi presentissero
che da un momento all’altro
dalle tue labbra
sarebbe dilagata la condanna,
che m’avrebbe visto
per sempre lontano
dal tuo sguardo di luna

Resistevo,
nel tuo sguardo resistevo
malato e brutto
come l’autunno
che ogni foglia porta a marcire
fra la pioggia,
lavando nei cimiteri
epitaffi scritti a mano
da bizzarri poeti
sol ricchi delle loro parole
Con l’indice
subito mettesti a tacere
il crisantemo appena fiorito
dell’inutile mio balbettare;
e già sentivo io nascere
singulti su singulti dentro
al commosso mio petto,
e già sentivo montar forte
il tuo disprezzo per me

Negli anni che seguirono,
imparai a esser tomba,
a soffocare sul nascere
ogni emozione

MAI CREDESTI IN ME

Mai credesti
che fossi nel giusto,
così insinuarono
ch’ero troppo vecchio
per una ragazzina
Mai credesti in me,
neanche quando fecero
del mio occhio destro
un’orbita vuota

E venne il giorno
che venti e onde
contro i loro letti si scatenarono;
fu così che fui infine libero
di non tornare da te per giocare
la mia ultima carta

SALOMÈ

Era logico che portassi via l’amore,
che solo mi lasciassi il ricordo crudele
delle tue cosce lisce e dei tuoi seni duri
Non è stato facile, accettare
che saresti stata presto d’un altro
Tu non hai mai avuto problemi
ad allacciare nuove relazioni pericolose

Hai ancora quel ritratto
che ti vede coi capelli al vento
e la guerra alle spalle?
Hai ancora quel disco graffiato
che mettevamo su per fare all’amore?

Tutto s’è perso così facilmente
Sembra impossibile ma devo accettare
che sei d’un altro di me più perverso

Tutto s’è spento per colpa della bellezza,
della consapevolezza che gli amanti
non ti sarebbero mancati con scorte di ori
E avevo io da offrirti solo la mia testa:
e il cuore, poco in verità, Salomè

AMICO D’ARME E DI CUORE

Fante, Amico d’Arme e di Cuore,
che alle donzelle gliene facesti delle belle,
dove sei mai stato per sì lungo tempo?
Fra le brume del tempo ti cercavo
sempre dimandando allo Straniero
se t’avesse incontrato in compagnia
o da solo a invocar l’Ebreo Errante
Non uno seppe dirmi quale la tua fine,
se in Terra Santa avessi avuto sepoltura
o una più triste ignota fine dentro
a una fossa comune

Disperai assai, il dolore si calmò poi:
accanto a me, per magia, una Bella trovai,
una delle tante cortigiane che al Fato,
su due piedi, abbandonasti e ciao
Mi promise ella tutto l’amore
che le rondini portano a Primavera,
mi promise tutto il dolore
che sulle onde del mare sposano i gabbiani;
così feci quasi presto a dimenticare…
d’esserti stato amico,
d’aver con te condiviso la paglia delle stalle
e i mulini a vento con le loro ventose pale

E sei ora tornato, guardi la Donna mia
con sguardo maligno, e te lo giuro
sul bene che ti voglio che se solleverai
quelle balze che ora m’appartengono
la vita dalla strozza te la farò fuggire,
in un lampo, detto e fatto, te la toglierò
per tener viva la gioia mia

Ora, Amico d’Arme e di Cuore,
lascia che t’abbracci: ho ritrovato oggi
un fratello che per anni credetti disperso
preso dal coltello di chissà quale infedele

NON DESIDERO L’AMORE

Non desidero l’amore
Mi accontenterei d’averti
a me accanto nuda
dalla testa in giù,
come femmina
donna
bambina

OGNI CAPO D’ACCUSA

Avrei potuto,
avrei potuto ripetere
dall’inizio alla fine
ogni tuo capo d’accusa;
avrei potuto chiamare
e chiamare a lungo,
sempre a vuoto, il tuo numero;
e sulla pietra della mia rabbia
affilare la lama del mio rasoio…
e con fragore
lasciare poi cadere
nella tromba delle scale
il corpo morto dell’amore

Avrei potuto,
avrei potuto tentare me;
e invece no,
sono rimasto al mio posto
spiegando all’uomo e al poeta
che non esiste il verso perfetto,
che sol c’è un Golem imperfetto

FANTASMI

Quanti e quali fantasmi s’aggirano
ogni notte menando, per eterno
gioco di dispetto, orribili catene
e deboli cristalli, non so! Eppure,
in un tempo non lontano,
questo maniero godette fama d’esser
di serafica calma; e ora sol regnano
la Paura e il Sospetto.

Non c’è momento che non sia
un bombo; nel core si produce
infinita ansia; ci si immagina
con un piede già nella tomba
e davanti a sé null’altro
se non l’empia imago
di sorella Morte colla bocca
colma di risate, di osceni cachinni
– non riferibili, sul serio!

Se per puro caso uno straniero
qui arriva, non fa in tempo
a dire un ma, subito finisce male:
le sue membra appese alle porte
perché niuno nutra il dubbio
che più di Dio punisce il fiato
di colui che nulla fiducia nutre
verso il prossimo.

Teschio, o teschio di vuote orbite!
Non è forse nel lor profondo iscritta
la storia passata? e la qui presente?

NON TI PREOCCUPARE, CAPIRAI

Non ti preoccupare, un giorno capirai
che han gli uomini tasche fonde
piene di sale, più spesso di sporchi avanzi
rubati a chi lungo disteso morente
senza manco più un fiato nei polmoni,
ma soltanto immensa paura
nello sguardo sull’incognito dilatato

Non ti preoccupare, domani saprai
che fanno in fretta i volti amati
a diventar grigi teschi tutti uguali
e tutti sconosciuti a chi li incontra
sulla sua via in cerca di nessuno
in particolare

PIANO DI JAZZ

pagina dopo pagina
ti leggo un brano
tu ascolti in silenzio
il mio silenzio fra le righe
allunghi una mano
per una carezza soltanto
rimango deluso un po’
non te lo faccio capire
riprendo a leggere
la voce tu la senti che
brano dopo brano trema
i tuoi occhi su me mi sbranano
– come su un piano di jazz
così noi

mi cade il libro
tu dici con gli occhi
non lo raccolgo
prendo la tua mano nella mia
tu abbassi gli occhi sul libro aperto
che sul freddo pavimento riposa
un filo di vento entra
sconvolge le pagine e le apre tutte
tu liberi un sospiro in aria
continuo io a tenerti la mano
mi uccidi: “che uomo sei?”
mi ascolti
ascolti in silenzio il mio silenzio
uguale a enigmatico bacio

– come su un piano di jazz
siamo diavoli tra tasti neri neri
e bianchi bianchi; e la pioggia
che picchietta forte sul tetto –

cadiamo cadiamo cadiamo
nelle pagine

CODA DI VOLPE

Coda di Volpe, sono soltanto un piccolo lupo
Sono forte sì, ma ho bisogno di latte e di carezze
Coda di Volpe, portami con te, lasciati seguire
Non darò fastidio, non ti accorgerai di me
Sono forte sì, ma ho bisogno di compagnia

Coda di Volpe, che fai? Mi prendi per il collo
Mi lecchi, perché mai? Che begli occhi hai
Coda di Volpe, mi stai forse facendo capire
che insieme possiamo restare, lo stesso cammino
l’una accanto all’altro dall’alba al tramonto

Coda di Volpe, sono soltanto un cucciolo di pelo
Ho messo i denti da poco, e non mordo ancora
Ho bisogno di latte e d’amore materno prima di tutto
Ho bisogno di fiutare le orme di chi mi posso fidare
So davvero poco del mondo, di questo strano bosco
Coda di Volpe, mi porti con te, mi porti con te?
Non ti darò fastidio, tu già mi lecchi tutto

Coda di Volpe, sono solamente un piccolo lupo
Sono nato in questo intrico di fogliame oscuro
Mi sono guardato intorno, ho fiutato l’aria
e c’era solo l’odore della morte, di mia madre
Coda di Volpe, sono così tanto solo, così tanto
Ho fiutato l’aria in cerca d’un po’ d’amore
Coda di Volpe, ho incontrato te e di te mi fido

Di te mi fido, Coda di Volpe, ti ho vista
Di te mi fido, Coda di Volpe, di te mi fido
Coda di Volpe, lasciami vivere seguendoti

A UN SOMARO

Le carni tue ora frolle
fonte di giovinezza
più non conosceranno:
solamente la pazzia
ti resterà accanto;
con la gelida sua mano
ti carezzerà la fronte di sudore
per ricordarti che l’arte
non l’hai messa da parte,
Somaro

PAROLE

Parole:
son le mie,
oziose,
innocue nostalgie
e anestesie

Parole:
son le mie,
non valgono
trenta denari
Inutili sono
a me
come ai bari

A SIPARIO CALATO

Più passa il tempo
e più m’accorgo
che quel che ieri
ce l’aveva un valore,
oggi no; destino è
che si stia
come oggi si sta,
senza preghiere
o chiese in viola.

Si può essere
senza porsi domande
e forse campare cent’anni,
e si può essere ombra
dietro al sipario caduta,
di tanto in tanto
scorta e calpestata
da attori e comparse.

GRAZIE A DIO

Grazie a Dio non sono poeta
e nemmeno un ciabattino,
un tiranno o un condottiero
Per Roma nostra basta Nerone

Che fossi bravo
non ne hanno mai parlato
al telegiornale, in televisione
Eppure tutta questa bellezza,
che ai miei piedi se ne muore,
qualcuno deve averla pensata
O è il disegno d’un aguzzino
fra cuore e amore un po’ santo!

Meno d’un peto, ringrazio Dio
Sfamato a fagioli e illusioni,
il vino più buono me lo versa
in un vetro d’osteria l’amor mio

E quello che scrivo io
a tarda sera nei vespasiani,
giuro!, non lo saprà nessuno
al mondo mai, grazie a Dio

SILENZIO DI RASOIO

Sento anch’io
il bisogno
di parole dolci
che mi facciano
cadere in ginocchio
con la faccia
spremuta
sul pavimento

Più non reggo
il lamento mio
e quello più lungo
degli stranieri
A lungo
dai miei occhi
le cascate del Niagara,
e il deserto
dell’anima mia
non è mutato

Più non ho parole
che siano di giustizia
Se i giorni ancora così
le labbra taglio via
con un colpo di rasoio
E in silenzio
il mio amen

SCRITTORE DI LETTERE

Ricordo
d’aver sentito dire
che è la strada
lunga e mal definita;
e credo sia vero;
non posso però fare
a meno d’allungare
il passo
e con la mia ombra
scendere giù in paese,
sfidando
nuvole sole e luna,
per capire sul serio
se sono io vivo
o se come fantasma
sono in casa rimasto
a scrivere lettere
che raccontano la vita,
quello che vorrei
poter ancora fare

DOVUNQUE IO E TE

Se le stelle in cielo alte all’unisono esplodono
e quaggiù non c’è un solo raggio di luce,
un altro uomo è però sulla spiaggia a piedi nudi
che trema e prega per un amore che è e non è
Tutto quello che saremo è perché siamo stati

Puoi non credermi,
ma ognuno di noi ha una ferita
da curare che si porta dentro, come un grido
fra qui e l’infinito

Se rimetto le mie mani nelle tue
tu piangi, e le onde increspano il mare

Puoi non credermi,
ma ognuno di noi ha un segreto
che non sa e non vuole spiegare

Se la luce d’un sole morto cade
al di là della linea dell’orizzonte,
rimaniamo soltanto io e te,
e le impronte sulla sabbia
a inseguirci ovunque domani noi andremo

MI PARLI DELLA TUA GATTA

Mi parli della tua gatta,
di quella volta
che per seguirla
ti sei presa una storta;
di buon mattino
t’eri alzata
e non col piede sinistro,
a rotoli però ben presto
tutta o quasi la giornata.
E mi racconti
di quanti conti
sempre a fine mese,
sì tanti che alla fine
par che ogni cosa
sia poi sol fumo
d’una vile sigaretta.

Fra sbuffi e un sospiro,
calata la sera, ti dici stanca;
alla finestra appannata,
con passo felpato, t’avvicini,
e dalla testa scacci via
un pensierino cattivo;
e il mondo di fuori spii,
cercando tetti addormentati
e camini accesi che al tuo
un poco rassomiglino.

CORPO AI MORTI

Han ridato corpo ai morti
per novo spirito assassino
e un bacio sulla bocca poi

TI CERCO

Ti cerco
sulla muta superficie della Luna
quando le notti sono buie,
profonde di siderali segreti
Ti cerco
perché il tuo cuore batte
seguendo il ritmo del martello
sull’incudine
Ti cerco
perché come Maometto,
passo dopo passo,
arriverò alla montagna

Ti cerco
per vestirti di rose
Per graffiarti
a sangue la pelle di vergine non vergine
e scoprire che sei donna e dèmone
Il Bastardo,
a ogni nuova alba, pretende un tributo;
e devo io resistere, tenere strette le redini
e non lasciare che questi cavalli
cadano proprio nel centro esatto dell’Averno

Ti cerco
perché ogni volta che vengo vengo con te
Perché ogni volta che vengo,
un uomo che non sono io si strappa per te i capelli
e come un ossesso bestemmia

Ti cerco
perché Tu, Sposa del Diavolo,
prima di appartenere a Lui,
sei stata creata da una mia costola per me

AMORE VAMPIRO

Il tuo amore
– come un vampiro
partito da spazi siderali –
infine arrivato,
ha spezzato le mie ginocchia,
e ha spezzato
i miei polsi ubriachi di vene,
ed è così che son caduto
perdendo di Dio il favore,
imbrattando lo zerbino celeste
col rosso del sangue,
indicando a Roma la strada
per farsi grande

Sospetto avessi conoscenza
di quante vite parallele
uno affronta col coraggio
che ha nella panza
prima che sia l’aria a venir fuori
dalla bocca o da più in basso
là dove Belzebù ama esser baciato

E come Diogene,
sol ti chiedo di scostarti dal sole,
pur sapendo
che non ha che duri muri
e lunghi labirinti il tuo orecchio
Non nutro dubbi, il tuo amore
come un vampiro
succhia via la vita mia
Come un vampiro venuto
da un mondo lontano
creato prima di Dio e degli altri Dèi

No, non chiedermi
di vivere ancora un momento o due

Straziato,
di questa festa stanco,
invitato per essere esposto
al pubblico ludibrio,
anelo al piacere di riposare gli occhi
perché sia la prossima notte
il mio sguardo affilato
capace di tagliare,
per l’ultima volta,
in due metà perfette
il seno della Luna

NASONE

Non ho ancor ben capito
se più grande il naso
o quel grosso mio coso
che dabbasso tengo,
indarno cercando
con entrambe le mani
di tenerlo giù al posto suo;
fatto sta che poesia
o non poesia,
sempre frasi malandrine
si dipartono veloci
dalla fogna che tengo..
Non si dica però
che son oramai
sol più ‘na vecchia ciabatta,
e per giunta sciatta.

LA DONNA MIA

Di neve la donna mia;
ma quanta pazza tenerezza
sul latteo suo petto,
tale e quale a quello
d’un uccellino piccolino
dal paradiso fuggito.

SOGNI DI CRISTALLO

così è il mondo dei lettori
e degli autori
un giro di solitudine
uno di ingratitudine
e un altro e un altro ancora
e un bicchiere infranto…

un bicchiere di cattivo cristallo
ch’era colmo se non di speranza
almeno d’una buona dose di gioia
infantile e un poco crudele

MEDIOCRITÀ

Mediocre d’intelletto,
in ogni angolo
abbondante di oppio e di alcol
filosofeggiava d’amor di letto,
contando sulla punta delle dita
le conquiste, le violenze…
le sconfitte
perché fossero materiale
per un libro di refusi



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