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Non mi sono fatto niente

Non mi sono fatto niente

ANTOLOGIA VOL. 215

Iannozzi Giuseppe

IL BONZO ATTENDE

Tra gli spazi infiniti
il tempo giusto attendo
la posizione del loto assumendo,
a occhi chiusi spiando
l’impetuoso corso dell’acqua,
l’adagiarsi delle foglie
che dai rami piano si staccano

Come bonzo medito
sulle reincarnazioni,
le vite parallele
e il sapore del vino
in un’altra vita gustato

Da Sud a Nord
venti e canti
Da Est a Ovest
venti di frontiera
Carezzano la nudità
del mio capo rasato

Ogni cento anni
le gambe slego,
mi guardo d’attorno:
nulla è cambiato,
domina sull’uomo
la Nullità
ma non la Santa Nudità

Paziente attendo,
attendo che un singolo
sulle braci ardenti cammini

RUBINI BIRMANI

Tra le leggi scritte e non scritte
dei secoli passati e di quelli a venire
le parole interpreto oltre il significato

Brune foglie piovono
su i Rubini Birmani;
dello sbadiglio e del silenzio
una a una le regole
nell’animo le spoglio;
comprendo quanto piccolo
il pensiero mio
da altri già pensato,
torno così a meditare
tra le verità scritte e non scritte
perché non sia l’autunno
la stagione ultima dell’amore

UOMO E SCIMMIA

Libero tra i ciliegi in fiore
il passo mio nudo ho portato

Tra scimmie sagge ed eremiti
su un giaciglio di petali ho riposato
toccando con mano albe e tramonti

In egual modo ho imparato
dal ghigno felice della scimmia
e dal sorriso santo del saggio

Ho poi ripreso il mio cammino
con sorriso umano e scimmiesco

CERCO DI CAPIRE QUESTE NUVOLE

Cinzia

Cerco ancora di far mia la grandezza
che permise a Mosè di divider le acque
Cerco ancora di operare una magia
che dia un senso alla raggiunta libertà;
esser liberi non ci rende immortali
e nemmeno più forti ad affrontare,
dì dopo dì, della vita i tanti perché

Dicono sia risorto il terzo giorno
E qui cade di nuovo la Pasqua:
nuove vite vengono alla luce,
altre si spengono all’improvviso,
senza un perché; la solita storia,
la solita che ci scassina piano l’anima,
la solita che non capiamo appieno mai

Cerco di capire queste nuvole nere
che oggi piangono sul Mar Rosso
E cerco di capire perché, perché
non vieni mai a baciare i sogni miei
con una parola, con una libertà
che mi dica di te, Amica mia

NON È L’ULTIMO SALUTO

Cinzia

E adesso dormi,
e non immaginavi potesse essere così,
o forse sì: gli occhi chiusi e il buio davanti,
ma pure lui ha importanza uguale a zero
ché non lo puoi distinguere né intuire.
Ma io ricordo, non dimentico le carezze
che mi sapevi portare; non dimentico
quelle nostre discussioni senza fine
che sempre finivano come finivano,
senza soluzione, incastrate fra albe bastarde
e tramonti sempre alla boia d’un Giuda;
e sempre ce lo dicevamo che non ci credevamo
in un’altra vita, e nel nostro dire non c’era
sorpresa né disperazione, un vaffanculo sì.

E adesso dormi, dormi e non ti sveglierai
anche se ci sono puntini di sospensione,
milioni di stelle che con la loro inutile luce
il sepolcro tuo fingono di portarlo
all’attenzione d’un Dio onnipotente,
senza saper di te un’acca, un capello.

E adesso dormi, dormi e oggi come allora
sorrido io a te, con quel mio sguardo
che un po’ t’inteneriva perché di bambino
che dei serpenti ha capito la metà d’un cazzo,
e delle donne ancor meno.

E adesso dormi,
ma non è questo un saluto per dimenticare
e ogni ricordo di te seppellire;
non è questo il mio ultimo saluto, dolce Lupa!

LA PROMESSA

Cinzia

Ho infranto la promessa,
sono tornato a scrivere poesia
Dicevi: “Sei vicino a Dio,
non puoi smettere di scrivere
e, dall’oggi al domani,
chiamarti fuori”
Dicevi: “Hai un dono,
non puoi buttarlo via”
E anche oggi
non mi faccio problemi
a confessarti
che non l’ho mica capita
questa cosa d’esser poeta,
sono però tornato in pista
E sempre più negra e severa,
a ogni minuto che cestino
dentro all’infinito hawkingiano,
si fa la notte sovra la mia testa

Da tempo la Donna Cattiva,
che io e te conoscemmo
in un giorno che ci sembrò di luce,
non ha più voce in capitolo
sulle cose che scrivo; immagino
non abbia perso il vizio
di spacciare le sue mezze verità
per delle virtù cardinali; immagino
non abbia ancor compreso
che il diavolo fa le pentole
ma non… eccetera eccetera

Con un fil di voce,
senza celare la mia colpevolezza,
a capo basso, ti dico:
“Sono solo un piccolo poeta,
che ha ancora molto da imparare
dai tanti segni bastardi e no
che le nuvole schizzano in cielo”
E, infine, ti spiego: “Oggi come allora
rifiuto il titolo, non ci tengo
a gravarmi il capo e la coscienza
con quell’alloro che a cuor leggero
un po’ troppi, da sempre, accettano”

NON LE TOMBE

Cinzia

Non le tombe
con le lor lunghe ombre
dell’uomo e del suo nome
segneran la Fine.

Come l’aquila che in alto vola
nel cielo segnando volteggi alari;
come il lupo che alla pallida Luna
ostenta fiero occhi e denti affilati;
come Lucifero alla Beltà ribelle
ché pietra dopo pietra tirata su
da un Dio vecchio e crudele;
come il saggio che nel tempio
il suo Namasté presenta
e riconosce di Buddha il sorriso;
così noi che memoria serbiamo
di chi, per amore e per nobiltà d’animo,
al nostro fianco è stato, mai stanco,
felicità errori e orrori dividendo.

VENISTI PER LEVARMI DALLE SPALLE LA CROCE

Cinzia

Venisti con l’inverno bianco
Le nostre belle età da tempo
le aveva spazzate via il vento
Venisti per raccomandarmi
di mantener la calma,
perché avevo già camminato
e secondo te l’avrei fatto ancora
e meglio

Venisti all’alba per levarmi dalle spalle la croce
Tra fulmini e lapilli di oppio mantenesti la promessa
Il terzo giorno andammo a trovare il Duce
per metterlo a tacere con un pugno di ossessi

Ti ho allora confessato
di non esser mai stato
un poeta; tu però continuasti
ad asciugarmi la fronte
come a un bambino malato

Ti ho anche confessato
che a matti e no il Giudice chiese
di scegliere fra me e Charles Manson;
tu continuasti a carezzarmi
la fronte con la tua mano di velluto,
e io mi sentii quasi in paradiso

Venisti al tramonto per veder cadere
le lucciole e la loro prole, e per veder sorgere
dalle tombe dei terroristi milioni di fuochi fatui

Ti ho allora confessato
che un giorno m’innamorai
di una poco di buono;
tu mi dicesti di non pensarci più,
e asciugasti con la tua mano
le copiose mie lacrime salate

Venisti davvero tante volte a trovarmi,
e ogni volta mi recasti il tuo balsamo
E ogni volta ebbi la tua mano su di me

E venisti che era già Minerva alle porte
e l’Egitto piagato da un dittatore d’acciaio
A piedi scalzi sulle acque camminai,
levando però alto un assordante silenzio
E finalmente capisti che Poeta non lo fui mai

MI SONO SEMPRE SENTITA COSÌ

Cinzia

Mi sono sempre sentita così,
fuori posto,
la testa affogata nei sogni
e l’anima non so
Continuavano a ripetere
che sarebbe passato
Non gli ho mai creduto

Non gli ho creduto
Ero diversa, ero persa
Avevano ragione a tenermi
lontana
a colpi di fionda,
come si fa coi lupi
che sanno la rabbia,
la fame per istinto

Mi sono sempre sentita così,
costretta a lasciare le mie impronte,
in silenzio,
in punta di piedi ma in agguato,
sempre da sola,
una lupa con solo il fiato fra i denti

Un disastro completo
ovunque andassi
perché mi sentivo così
Avevano ragione a segnarmi
con una lettera scarlatta per dirmi strega,
illudendosi di consegnarmi alla gogna
Tutti quelli che hanno
puntato l’indice contro
affamati solo d’aver un’altra vittima
hanno avuto giusta sorte,
morte per soffocamento
fra i Tredici dell’Ultima Cena

Adesso mi chiedo se ne sia valsa la pena
vivere così a lungo fuori dal puzzle
Posso dire che…
che mi sono sentita sempre così,
fuori posto
con il blues nelle scarpe,
con un tacco sì e uno no

Avevano ragione a non darsi,
a non farsi carico del mio blues
perché mi sono sempre sentita così
Così persa nel blues
Nel blues
Nel blues

NON MI SONO FATTO NIENTE

Cinzia

Non mi sono fatto niente
Sono caduto
e non mi sono rotto le ossa
Il muro di Berlino resiste
e a Ovest il sole è ben nascosto
dietro montagne di neve bianca

Non mi sono fatto niente
Sono caduto e i numeri della Cabala
sono ancora al loro posto
I giorni sul calendario però
sembra non passino mai
dove ora io sto
Fantasmi mi menano pacche sulle spalle
rassicurandomi che passerà,
che non è poi così difficile far volare il tempo
con una buona educazione mentale

Ripasso a memoria Gogol’
e di notte sogno un camino,
larghe spire di fumo
che affumicano parole

Non mi sono fatto niente
Sono caduto
e adesso vesto stracci,
e spio il mondo di fuori
da dietro uno spiraglio,
da dietro uno spiraglio di prigione

ROSE ROSSE

Rose, tante Rose rosse per te
Rose, solo rose meritano le rose
Queste rose sulle tue gote
Queste rose rosse per te
Per te rosse, per te rose
di spine, di petali
Rosse di vita, rosse di gioia
Rose di nostalgia quando vai via
Rosse rose, rose rosse, sempre rose
Rose su ogni stilla di miele
che dalla tua bocca alla mia
Rose, rose colte per te
che arrossisci da una vita intera
Quante e quante rose, Bella Mia

0.

Per un esercizio di stile si muore senza un dio, senza una donna o una dama di carità, senza carie da sputare.

I.

Come incubo goduto a metà
si leva da folle occaso il sole

Come sogno abortito a metà
nella fontanella cranica
si dimentica il bambino

E niente più bonsai poi

II.

Sol dicea
“Quel che ho,
poco o niente,
nell’anima mia…
ma di più quel che
non scorgete”

Sol dicea
la povera sua verità
che i Signori li seppelliva
in un indiscusso silenzio

III.

Un origami la donna,
ma sfinge anche
di sé e dei diversi
mai contenta

Di Nemesi figlia,
di uomini e di cavalli
le nude spoglie ama

IV.

Versi su versi
gettati giù,
uguali all’uguale
senza mai capire
che nutre il sole
tentazioni e stagioni

Ridicoli i poeti,
ridicoli tutti
sempre a sudare,
rapidi sì
ma mai abbastanza,
nel tentativo vano
di catturare
fra le bacchette di bambù
delle mosche il volo

V.

Più non dici
di Nerone,
delle liste di proscrizione:
che amici,
che nemici siamo stati!
Tartarughe rovesciate
nell’instabile
non improbabile stato
di perifrasi spezzate

Più non dici,
più non dici quel che dici
Ma assorda
il non vuoto silenzio
l’orecchio d’un sordo,
che al rallentatore ridendo
ardito si guarda d’attorno,
buffo uguale a un senzatetto
che lo sguardo lo punta dritto
per chissà quale affondo;
e proprio sul più bello poi,
sul ponte di suo già vecchio,
l’occhiolino scatta e fa cilecca

Abbiam parlato,
sai tu di cosa
E abbiam dimenticato
che non inghiotte la diaria
il diario delle confessioni
per benino imburrate,
nel latte cagliato scagliate
per un viaggio di andata
e una scoreggia di coraggio
del visto cieca

Ma che ci resta
dei pesci non pescati,
dei pani non spezzati,
d’un mai a noi ritorno?
La foto d’una festa,
un tamponamento non voluto
eppur accaduto

MAI HAI CAPITO

Mai hai capito
del jazz le note sopraffine,
per questo non ti dico più
delle mie passioni,
forse quelle d’un coglione

Mai hai capito
d’un falegname lo spessore,
la forza sua
di segar via dai cieli
certe incèrte nuvole
nel rococò versate

Mai hai scoperto
di Hendrix l’alta tensione

Quando poi s’incrina
del poeta il cristallo
resta il poco che resta,
un giorno di pioggia,
la gobba bella
d’un Leopardi qualunque
in un postribolo nascosta

I.

Cercava Giovanna d’Arco
una passione di lei più grande,
un processo a porte chiuse

Cercava la Pulzella il supplizio
perché fossero le braccia di Dio
a raccogliere quella sua anima
da inglesi e francesi detta eretica;
o forse solo cercava di stare
in mezzo a tanta gente strana

O forse solo cercava di stare
come tutti si sta: male

II.

preferibile la volgare sincerità
di quei nemici che in faccia
ti sputano pallottole e catarro;
un uomo che sia un uomo rifiuta
quegli amici col cucchiaio pronto
sempre colmo di olio di ricino
che a forza in bocca te lo cacciano
prima che tu possa loro esporre
le tue ragioni, la tua supposta verità

LA NOTIZIA

il postino ha la notizia a portata di mano
dice che la guerra è iniziata

il destino ha la nequizia a portata di mano
spiega che ogni lettera è perduta

UN PO’ DI TE

dentro alla pelle mia questa tua crisi di realtà
e tu sorridi, e tu piangi, e tu dici che è l’età…
che vivrai un po’ di te in questo frammento
di poesia

ALBATROS

le parole non fanno le promesse né gli uomini
le parole fanno le parole vuote
solo affondano nel loro significato
solo mutano coi tempi ma rimanendo uguali
e che ne sai tu del sole che è in alto?
e che ne sai tu della luna che è in alto?

alzo le mani, celebro tutto questo
resto in volo, lontano da te, nel mio spazio vitale
che è almeno almeno una conquista pacifica

come un albatros spiego le grandi ali
seguo le navi e la loro scia di spuma, l’oceano
lascio ai poveri di spirito il lombrosiano

e che ne sai tu del sole che è al tramonto?
e che ne sai tu della luna che appare e scompare?

spiego le ali, celebro tutto questo
come un albatros conosco la libertà

LUNA CHE MI LASCI

Luna
Luna che mi lasci
sempre solo
Luna che guardi
il cielo
perché di me
più profondo
Luna che corteggi
le più lucenti stelli
e non ti curi
d’un fiore
sbocciato
fra le pieghe
del catrame
qui sulla Terra
Luna
che agli affari tuoi pensi
e non ti curi
della piaghe
di noi quaggiù a far la vita
Luna
Luna che non ci sei mai,
mai
quando ho bisogno
d’un piccolo tormento di luce
– d’un fantasma
che mi carezzi la vecchiaia



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