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Giuseppe mi chiamo, come il padre di Gesù

Giuseppe mi chiamo, come il padre di Gesù

ANTOLOGIA VOL. 128

Iannozzi Giuseppe

Dark Waiting by Valeria Chatterly Rosenkreutz

LASCIATEMI AL MIO NOME

Giuseppe faccio di nome, falegname non sono,
e non senza vergogna così oggi lo ammetto
che di tanto in tanto le pippe ci stanno, come no!
Con le mani a posto non ci so stare,
sempre devo avere una bellezza da palpeggiare,
un bel paio di poppe o anche solo un 2 di picche

Non so quanti cadaveri, veri e interi,
al mercato ho comperato stamane
Boia d’un Giuda, bisogna pur festeggiare!
Un po’ dandy un po’ buffo, tiranno anche,
l’anima divisa, nelle Anime Morte a mollo
o nel seme di Belzebù; e la testa in Mercurio, sì,
ma per me in dono niente guanti bianchi,
schiaffi e frustrazioni: per quanto comico,
mi gioca brutti scherzi il carattere
e sempre e per sempre in ginocchio costringe
chi l’inutile suo attacco ai miei fianchi move

Giuseppe mi chiamo, come il padre di Gesù
Se un po’ di bene vi volete, non ci provate,
nel piatto non servitemi verginità o verità
che presto in polvere non finiscano
a un semplice mio muto comando

Seduto alla destra no, seduto alla sinistra no,
in centro non se ne parla nemmeno; anarchico?
Sì, un po’, a mio modo però: e ora che sapete,
chi mi ama mi segua, con o senza le braghe su
Per me val bene la pena comunque

Giuseppe faccio di nome, bello non so
Tenebroso e affascinante, poco ma sicuro
Re in eterno, dalla nascita pazzo un po’,
confesso che mai niente sul serio ho preso,
tranne forse i topi, la morte nera e secca,
gli scarafaggi suicidi giù dalla finestra

Lasciatemi al mio nome, lasciatemi il mio nome
Di nome faccio come dico io… se vi va, bene…
se invece no, prego, levatevi dai coglioni!

Lasciatemi al mio nome, lasciatemi il mio nome
Lasciatemi al mio nome, tanto non cambierò
Lasciatemi al mio nome, lasciatemi al mio furore

IL VENTO SU GIUDA

Così oggi non hai più alcun dubbio
Mi vedi appeso a quell’alberello
sbatacchiato dal vento di tanto in tanto
solo perché mi chiamavo Giuda

Sembro il ritratto d’una scimmia
con il collo tirato come quello d’un gallo
Il Maestro aveva promesso Inferno e Paradiso
Aveva promesso, con troppa leggerezza!
Il corpo mio morto lo accarezza il vento,
il vento con la sua mano pesante di freddo

Non un angelo, non un demone o un agnello
Si sta nell’assenza vuota sentimento e basta
Questa l’essenza estrema, nera pace mortale
che neanche la puoi spiegare; e il nome che fu tuo
da chi ancora in vita viene proferito o profanato

Così oggi non hai più alcun dubbio
Che tu m’abbia amato o odiato
alla fine conta meno di niente
Resiste solo il nome che fu mio
in bocca a mille genti che fato uguale al mio
presto o tardi avranno, senza la speranza
di poter cambiare una sola virgola

Così oggi mi vedi, giusto una scimmia
Però io mi chiamavo Giuda e tra le scimmie
ancor oggi vengo chiamato in causa
più del Padre, più del Maestro così tanto buono
eppur di me assai meno menzionato

NEMMENO UN RICORDO
(severo profilo ebreo)

Di te, nemmeno un ricordo,
o la pelle d’un lupo o d’una volpe,
o un morire dentro ai flutti d’un fiordo;
soltanto la tua lezione di crudeltà
impressa nella labile mia ménte
che mente, oggi come allora. E tutti
i miei “lo so!”, raccogliendo more
tra il verde di mille fasci d’ortiche.

No, di te, di te nemmeno un ricordo
o un po’ di pallido sole a rischiarare
lo sguardo mio, o una lama di luna
a raschiare dal cervello
un po’ di consumata verginità.

No, di te, di te nemmeno una corda
legata al collo: esso, a dispetto di tutto
e tutti, ancor regge il severo profilo ebreo
che conoscevi così poco bene. Ecco tutto.

SPERANZE

Dicono, butta giù un altro goccio
Dicono, passerà, passerà…
L’anima nell’alcol svena l’orgoglio

Hai visto come scorre
il grande fiume laggiù?
Lo bacia il sole da mane a sera,
i cercatori non si fermano un momento,
pescano a piene mani sogni e bidoni
Nella corrente tremano di speranza
Hai visto come luccicano i loro occhi?

Guerra e pace, delitto e castigo
Sono pronti ad andare avanti così
per l’eternità

Non dirle che non è vero,
che è solo retorica d’accatto
Ama l’abito da sposa bianco,
lo ama più di te,
del figlio che ti darà
Lo ama più della verginità,
più di quanto tu possa immaginare
perciò butta giù un altro goccio,
butta giù e taglia il raglio in gola,
le parole che vorresti dirle

Fame o fama, dolore o piacere
T’avanza forse un po’ di speranza?

Affoga nell’oro il mattino,
lo benedice pure quel Gesù
Non dirle che non è vero,
che non c’è il figlio di Dio laggiù
Nell’alcol svena l’orgoglio,
nell’alcol svena l’orgoglio

Dovresti vedere cosa sei diventato
Dovresti proprio, così uguale a mille
Così uguale a mille più uno

SPAVENTI

Diremo che è strano,
più non parliamo di noi
e nemmeno chiediamo più
per noi due una stanza a ore
Ma sulle montagne russe
sempre gridano i bambini,
comincio così a capire
che solo si può salire
e poi a rotta di collo scendere;
e se significa poco o nulla
significa quel che significa

Diremo che ci acceca il sole,
che ci fa l’occhiolino la luna
e ancora diremo tanto per dire
Ma una e una sola la verità:
ci faceva bene ieri l’amore,
a più di uno ci proponeva a modello,
mentre il silenzio oggi lo preferiamo
e un’eclissi specchiata
dentro a un pozzo dimenticato

Diremo che è strano,
o non diremo proprio nulla
Spaventi siamo diventati

NON BASTA LA PASSIONE

Non basta, non basta la passione
Non basta la testa,
finire in un testa a testa
per metterci poi su una croce

Non bastano i libri e gli amici,
le donne da una botta e via
Non basta mai
per arrivare in un posto
che ti faccia sentire a posto

Non basta, non basta la passione,
l’ellera legata stretta ai corpi degli angeli
E nemmeno basta gridare “basta!”
in una foresta che foresta non è

Non basta la tua fica bagnata di fresco
per seppellire torti e ragioni a venire
Non basta scrivere dei versi scomposti
e macinare poi le ore aspettando l’alba
Non basta essere considerato numero primo
se non si è stati prima umiliati e offesi
tra le fila degli ultimi a morir di fame

Non basta, non basta mai
per arrivare in paradiso o altrove
questa passione che qualcuno dirà
“da fuori di testa!”

J.F.K.

Era messaggio d’amore
quella pallottola,
bacio di Giuda,
attraverso il cervello

Passaggio in un documentario,
il tempo prigione della pellicola:
e noi a sedere
su un avanzo di luce

Se immagino
la morbidezza
delicata delle curve sode
dal tuo seno in giù…

Piangesti,
triste come non mai,
sola come sempre

Nella delicatezza tua
di velluto,
nelle curve
tra il petto e il collo,
salse lacrime
tutte da bere

solletico nel singhiozzo
baciato dalla bocca mia:
e noi sul divano,
e la notte già oltre noi
alla Luna ululava

J.F.K.,
dopo aver visto,
si fa fuori da sé
la fantasia

Avidità fu,
illuderci immortali

UOMO DELLO SPAZIO

Rubi a me, rubi al cielo
Ho perso
guardandoti andar via

La vita, la storia romantica,
la tua vita segreta
non vanno d’accordo,
in fisse fotografie restano incollate
D’ora in avanti resterò fermo,
condannato tra i Getsemani
nella posizione del loto

Precipitano le cascate,
non vede dio l’uomo nello spazio
e il pappagallo sempre si ripete:
le quattro parole
che dalla tua bocca ha imparato ripete

Per un momento le tue risate
le ho pescate
in un buio più profondo di me
la vastità del cielo spiando
sognando di spaccare rocce col fiato
Un passo più veloce
del battito nel mio petto,
e m’è franata addosso la luce

Non ho fatto in tempo
Ho solo fatto in tempo
a rendermi conto
che le candele che avevi acceso
la luce avevano esaurito
in una stanza già vuota
di risate e illusioni

Ho peccato, ho peccato
E sono nel peccato,
così d’ora in avanti resterò fermo,
nella posizione del loto
Resterò sulle frequenze
di quell’uomo sputato nell’Infinito

UN’ALTRA NUDITÀ

Quanta notte
costringe la notte
a farsi buia e profonda
fino al limite oscuro della fine

Quanti respiri
E quanti sospiri
ingoiati a bruciapelo,
che non sapevamo d’avere
E la sigaretta dopo l’amore
E i tuoi occhi lacrimanti
che però bruciano
e son brace di braci
mentre accarezzo la tua nudità
in cerca d’un’altra verità

LA FINE DI UN AMORE

Dieci baci bastarono, furono
abbastanza in questa stanza
Dieci baci si sfidarono
fino all’ultimo fiato
E tu – quando in ginocchio caduto
sol più reggevo una bianca poesia
di niente – m’invitasti a risollevarmi
perché avevi un cappellino nuovo
e ci tenevi davvero tanto
che lo vedessi coi miei occhi

Quando le parole non servirono,
servirono i nostri baci
e la formula, quella dell’addio,
qui dove il sangue scorre in un tango
– nel fango dei ricordi calpestati
e ai piedi solitari per sempre appiccicati

QUANTO BENE

Quanto bene,
quanto bene non lo sai
Tu sai solamente
che ti voglio bene
Ma quanto non lo sai

Mi abbracci forte forte
Fra le tue braccia cerchi
di contenere la mia stazza
Io solamente ti bacio,
così finalmente lo sai
che non c’è una taglia
al mio amore per te

TI CHIAMERÒ SELENE

Selene, ti chiamerò Selene
E alle stelle nell’infinito perse
intimerò di spengere per sempre
l’inutile loro luce, non dubitare

Per te il Firmamento
l’ho fatto collassare!

Selene, Selene, Selene,
ascolta la mia preghiera:
con il tuo argento bagnami,
e poi indicami dove, dove
l’assenzio scorre a fiumi

Selene, Selene, Selene,
non lasciare, non lasciare
che la mia preghiera
venga inghiottita dal buio
dove non rispendi tu

NIENTE AL NIENTE

Avere e non avere
Essere e non essere
Ma confrontiamo
Chi sta qui e chi invece
Non si sa dove

Scimmie siamo
E domani chissà
Una nuova genesi,
O una Odissea
Senza né capo né coda

Hai mai visto Cristo
Scendere dalla croce
In un giorno di festa?
Senza sosta si ripete,
Come un pappagallo
Hai mai visto il gemello
Predicare una novella?

Giudichiamo il giudice
Prima che sia quel che sia
Dovrebbe essere questo
Il momento giusto
E allora perché di nuovo
L’orizzonte si fa di croci?

Si vede che ogni giorno
Si muore un po’ di più,
Ma la verità non la sai tu



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