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Addio alle preghiere di voi buffoni

Addio alle preghiere di voi buffoni

ANTOLOGIA VOL. 71

Iannozzi Giuseppe

DICO ADDIO

Dico Addio all’idiozia dell’Io,
a quel cieco dio che mi dice suo
Dico addio al mendico,
al sottoposto, al poeta,
a quel coglione che coglieva
e coglieva bene, per disprezzo
qualche volta, di palo in frasca
Dico addio al poco che fu mio,
all’idea malata di far piangere
sputando fumo negli occhi
come asino a briglia sciolta
ma sempre confuso fra i ragli
dei tanti

Brucia ancora l’alba sulla pelle
e non cessa del vento il fischio,
mi sia così concesso
di non passare per fesso
perché buono o giù di lì
Anch’io ne ho piene le palle
di dare a tutti o a nessuno
in cambio ottenendo
la sopportazione altrui
ché poi sì, verrà l’occasione
di tornare utile
– d’esser preso per il culo

Dico addio agli obblighi,
ai favori, alle stupide convinzioni
di maniaci, critici e religioni
Dico addio a chi è partito
per finire nell’abbraccio d’un Partito
Dico addio a voi pressappochisti
che in tasca una scusa da due soldi
sempre ce l’avete
Addio alle vostre facce sui giornali,
in tivù e in qualche orinale
Addio alle preghiere di voi buffoni
che vi credete Uno e Trino
Addio al vostro criptorchidismo,
a voi che salite e scendete
facendo d’ogni cosa incubi e sofismi

Addio a voi,
alle vostre incazzature
senza sbavature

Addio sì, addio a voi
Mai vi è passato per la mente
che c’è anche chi non mente

D’UNO CHE LEGGE

D’uno che legge
si dirà che…
un sognatore,
uno che la fatica
non la sa,
un poco di buono
certamente!

Lasciate
che dicano,
non sanno
quel che dicono,
ma non per questo
meritano il perdono
dei pesci
a far bolle d’aria
nell’acquario

GLI ERRORI CHE HO FATTO

Gli errori che ho fatto li rifarei
Non paralizzate le ambizioni
d’un uomo che una storia ha
da raccontare
o sol da cestinare
in fondo al culo dell’infinito

Gli orrori che ho adottato
ancor oggi li cullo spogliandoli,
domandoli
in faccia al fuoco del domani

San bene le stelle lassù
che non sono qui caduto
per darmi, anima e corpo,
in pasto alla volgarità
del pane quotidiano,
della moltiplicazione dei pesci

Gli errori, gli orrori miei,
così veri, di me son pieni

PIANGI O RIDI

E piangi o ridi
Quando sei solo
e soffri il sole,
o ce la fai da te
o ti fai vagabondo,
malato di mente
pericolosamente
vicino a un dio,
a una forma di santità
che nel suo profondo
ti schifa e ti schianta

Quando sei solo
se non sei forte per tre,
te le mordono le chiappe
i dannati d’ogni età
e pure chi uguale a te

E piangi e ridi
e non lo dici
quando sei con te

DONNE COME RELIGIONE

E questa pioggia cade,
sulla città cade,
e accade
che t’incontri nella notte
e quasi non ti riconosci
Ma ci son donne
che son come la religione
nonostante orge e botte:
a un angolo di strada
fanno quel che sanno,
ti chiedono se hai bisogno,
e tu non lo sai bene
che cosa intendono,
ti mostrano allora un po’ di seno,
fai finta di niente
e sei nodoso e nervoso
perché questo è il blues,
e ti è capitato di sentire
che quando ti prende ti prende

Ci son donne e donne
che hanno la loro religione,
e tu niente di niente
al di là dell’alba che sarà,
e che ogni santo giorno
si ripeterà

PARALLELI

Binari paralleli
O solo bottiglie
ubriache
che s’accompagnano
per rompersi
a tarda notte
e confondersi,
per essere infine
pezzi di vetro
tra altri uguali

Siamo paralleli
io e te
C’incontriamo però
per un bacio
e un sonoro schiaffo
in mezzo alla stazione
da dove altri treni
partiranno senza di noi

Troppi impegnati
ad abbracciarci
Troppo impegnati
a dimenticarci
di chi arriva
e di chi invece parte
in cerca di speranza
nel nome d’un dio
cui non credono

LE NOSTRE PAROLE

Mia Regina,
il tempo le corrode le parole
e il significato in esso si perde,
si annacqua, o peggio da vino
muta in aceto

Le parole
che portano sentimento
oggi son questo, domani
nessuno saprà dire quale
il significato loro originale

Così insidiose le parole
che andiamo dicendo per amore,
per odio, o solo per dar sfogo
alla nostra abilità d’ingannare
il mondo che prigionieri ci fa
dell’oscuro suo grembo

Le parole che oggi dico
sono questa vita che ho in petto
E di questa vita vorrei ti fidassi
perché la bocca inghiotte e sputa
e dimentica,
ma il cuore più difficilmente
si lascia ingannare dai malanni
che il tempo porta a noi mortali

Se in un’altra vita
ci siamo conosciuti,
dir non so
Io so soltanto l’oggi
Il domani m’è oscuro,
Mia Regina

MORSI E TRACCE

Di me non ti sei dimenticato
E’ un completo disastro
Ho lo smoking in tintoria
E il cinese mena duro,
vuole subito i suoi soldi

C’è la luna alta e i lupi ululano
Sembrano creature demoniache
pronte a sbranare l’innocente
che si nasconde in me
E’ un disastro completo
quando si cerca di stare al passo
dell’amore che non lascia tracce
Ma che sulla pelle ti lascia i morsi

Ho paura,
ho paura per questa notte
Sono davvero troppo solo
E non riesco più a pregare
dio né la sua ombra in croce
Ho paura che partirò di testa
Mi sento divorare l’anima
E il cinese vuole i suoi soldi

Ho debiti con tutti, con tutti
Questa volta non c’è nessuno
che possa darmi una mano

E’ un completo disastro l’amore
Non ci si dovrebbe innamorare
di chi ti ha già sbranato una volta
Ma sono caduto in trappola di nuovo,
come agnello forte soltanto
della sua innocenza

Ho paura che perderò tutta la notte
a dare la caccia all’amore, all’amore
Prima però dovrò fare fuori il cinese
Non c’è altra soluzione per uno come me
Non c’è altra illusione che tenga duro
quando tutto viene ingoiato
da quella macchina a gettoni
che è la vita

SONO TORNATO DAL MAESTRO

Ho fumato il corpo di mille sigarette
e mi sono fatto monaco per mille anni
prima d’accompagnarmi qui da te

I giorni passavano lenti
in compagnia della tua assenza
Il Maestro m’invitava
a stringere forte i denti,
a imitare il colibrì;
la mia azione fu la scemenza
di dormire attaccato alla bottiglia
mentre i rami perdevano
fiori e foglie

Una montagna di grasso
è presto diventata la pancia;
per questo mi sono svegliato
e ho preso a correre sul filo
in punta di piedi
sicuro che la morte
non mi avrebbe sorpreso
E così è stato
Sono tornato dal Maestro
per un nuovo consiglio
Mi ha guardato di sbieco
Mi ha chiamato figlio,
l’ho dunque invitato
a strapparmi i calli,
a bere il caglio dalle mie mani

Ho staccato teste mani e piedi
ad amici e nemici per non far torto
a nessuno di loro; e Buddha
ha gradito la mia perspicacia
Ho dato alle fiamme castelli
Ho raccolto i capelli delle amanti
legando assieme bruno e biondo
Ho dato fuoco alle poesie
che mi resero un ingenuo sacrificio,
ed ora sono qui, pronto a ricevere
la tua Bionda Lancia nei fianchi

VANESSA

Hai il cuore d’un pettirosso
Hai la spiritualità d’una colomba
Hai il coraggio d’una rondine
e la furbizia d’un gufo nella notte

Sei bambina, sei donna
Non l’ho ancora denudato
il mistero che t’avvolge
So solo che mi fai ridere
e che i miei sogni pizzichi
quando scopri
che nel sonno mi agito
uguale a un orso braccato

Vuoi tu dirmi chi sei?
La mia bambina, la mia amante
il cui nome
segreto ha da restare
perché nessuno che non sia io
possa un dì venir a disturbare
con passi e pugni di piombo

Hanno impiccato la Speranza
Sull’onore mio però ti giuro
che ben di peggio han fatto
preti e politici nei secoli
dei secoli

Rondine, mia piccola rondine
che la primavera aspetti
perché generosa vita venga in boccio,
resisti all’inverno, sii coraggiosa
anche per me; e se il fiato ti manca
dalle mie labbra rubalo

NEL LIBRO DELL’ECO

Lucidare i lampadari,
strofinare il muso camuso poi
per un testa a testa, festa a metà
di ormai persa dignità
Ma permette, Signorina, una parola,
scendono qui personaggi in cerca d’autore,
e si va, a zonzo si va per un calvario,
per un orgasmo tirato per il capello

Ha visto che cielo oggi, che sole che c’è?
Davvero i cammelli la sete dissetano
in oasi di ridotti gobbi silenzi
S’incrinano i cristalli fra i miraggi;
mi dirà, sarà lo scherzo del domai
Fra il rosso e il nero preferisce Lei
perfetti chignon o quel che fa Stendhal?

Permette, Signorina, una limonata,
un’aranciata? Anche di notte è bella,
sufficienza solo vuole si sappia scegliere:
i Sette Pilastri, Aronne o una macumba
Un passaporto in bianco per Casablanca?
Suvvia, coraggio, l’ornitorinco pure
nel libro dell’Eco ha il veleno che ha

Spegnere le luci, si sa, alla salute giova,
chiudere gli occhi quasi mai ma chissà!

GENESI

Guardo, mi guardo d’attorno
Sotto la lente l’orchidea selvaggia
non s’accorda con le misure del Tempio
Divorano le fiamme le religioni dell’infanzia
Le regioni ieri calpestate sfumano in cenere
Tentano le farfalle magro suicidio nella sera
E si sfaldano i calendari in aneurismi di omertà
Quella che era la verità più non sa
da che parte sta

Nel cuore del bosco nero
ha il diavolo operato la sua scelta
Sarà questo il motivo per cui sprofondo
senza mai toccare del pozzo il fondo?
Non interrogate Dei o Profeti:
sotto le macerie della storia freddi giacciono;
al pari di me anch’essi hanno peccato

La città degli Angeli sfida Pound a scacchi,
in manicomio il Duce gli porta i suoi saluti
mentre la grande Atene cade bocconi
invocando di Elena la salvezza

Con animo ubriaco di lacrime
ha accettato Mastro Titta dal giudice
la triste fama di boia,
nessuno ha però mai visto il suo sguardo
vuotarsi con garbo in un nudo cielo
Quel che è rimasto in sospeso è rimasto sospetto

Guardo, mi guardo d’attorno
Raccolgo degli altrui sguardi la cieca vuotezza
Non rimane altro da fare in questa genesi di assurdità

LE MIE POESIE SULLA TUA SCHIENA

Da tempo, da tanto tempo
penso alle tue cosce lisce e calde,
a quei tacchi alti
che a letto non metti mai
per trafiggermi a fondo il cuore

Sulla tua schiena
ho scritto poesie
col tuo rossetto più acceso
perché non potessero
esser lette che dal sottoscritto
Staserà però la penna è moscia,
per questo ti chiedo
di venire subito a spremere
inchiostro da miei lombi
per una poesia senza compromessi

Abbiamo perso così tanto
stando dietro al mantra del Buddha
Dovremmo darci sotto,
fottere l’angelo del Papa,
incidere con dei morsi, sulla pelle calda
di sudore bagnata, i nostri Nomi sacri
ché l’alternativa è un corvo nero
a beccarci le orbite vuote di luce;
e questo non è il nostro volere
Questo non è il nostro amore

HO INFRANTO LA SACRA LEGGE

Ho infranto la Sacra Legge
Leggere e non scrivere,
per questo sono stato condannato
a radermi il capo come un bonzo

Adesso mi dicono, dicono
che scrivo triste, che sono
più di là che di qua
Intendono dire che non ci sto
con la testa, che pianto
una croce e lascio al Caso
gli occhi vuoti di piànto

Adesso dicono “schifo!”
Rispondo che conta l’Idea
e non il diario e le intenzioni
Ho visto tanto, quel che basta,
un elefante e una formica rossa
suonarsele di santa ragione
per una mollica di pane,
e una colomba bianca
che, senza fare una piega,
sbiadiva all’orizzonte
Rimango però colpevole
perché ho infranto la Legge,
così sono stato condannato
a vivere nell’Aurora boreale

Ho infranto la Legge,
la sacralità della promessa
di non far più sesso
immaginando questa
e quella posizione di guerra

LASCIARTI SU DUE PIEDI

Così ti sei ubriacata
un’altra volta
E una volta a casa,
la passione
ch’era rossa al tavolo,
nel sonno è scemata

Avrei dovuto
lasciarti su due piedi
insieme al cameriere,
uscire dal ristorante
e fumare una cicca
Da gran cicisbeo
ho invece pregato
che il rosso
ti desse alla testa
per una notte
su due lati, A e B

Dormi con gli angeli
Dormi dandomi la schiena
Posso solo giocare
coi tuoi liberi capelli
La sobrietà fa immaginare,
fa star male l’anima mia
così penso che andrò fuori
nella notte, sulle colline,
dove non riposano i frantoi
Da un contadino
che non intende la mia lingua
comprerò dell’olio nuovo
E aspetterò di veder l’alba
con la bottiglia piena

Scenderò poi giù
Non busserò alla porta
Con cortesia mi leverò
il cappello davanti all’ostessa
dicendole piano: “Ho dell’olio,
dell’olio appena spremuto”
E farò quel che mi preme

MAI HO COMPRESO QUANDO E PERCHÉ

Se sol potessi strapparti
la promessa
che sesso e solo sesso
sarebbe la nostra relazione,
temo riceverei un ceffone

Con le donne
mai ho compreso quando e perché,
vuoi la stanchezza
vuoi la statura che m’han dato
– di poeta della passione

L’ultima volta
nella fredda Torino
ti ho lasciata ad aspettare
con una promessa di rose,
di sangue e di passione
All’incontro immaginato
non mi sono affacciato;
e per questo osceno dispetto
ancor di dolore mi pulsano
vene e tempie

Se sol di dosso potessi strapparti
quella seta rossa che ti fa bella,
son certo che a nudo metterei
la Venere che notte e giorno
i lombi mi tormenta

TUTTO E NIENTE

Dire addio alle fotografie, alle parole parlate
Dire quel che si ha da dire e poi andare,
nel mezzo d’un milione di pagine bianche andare

Dire addio ai giorni felici e a quelli difficili
Dire di un giuramento infranto,
di un cristallo caduto fra un vuoto
e un altro vuoto ridendo del moto perpetuo
Dire alla voce che non ha più valore

Dire che mutò il muto mutuo scambio
ben prima che lo sparo centrasse l’io
Sopra il Tutto e il Niente dire per tacere

EGOISTA

Giacché m’avete insegnato
ho imparato
a essere egoista
A chi domanda speranza
contesto non c’è del vero;
tutti gli altri
li mando a fare in culo
perché ho un coltello
in mano
e uno scarafaggio che aspetta
d’esser sezionato e mangiato
prima della fine dell’anno



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