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Sophia e la canaglia senza né arte né parte

Sophia e la canaglia senza né arte né parte

Tragicommedia in un unico atto

Iannozzi Giuseppe

Da basso si sente batter forte il pugno sul pesante legno in noce della porta.

Sophia (nervosetta): Chi bussa, chi a quest’ora? Di sicuro uno scocciatore.

Di nuovo, uno, due, tre colpi ben assestati.

Sophia (gridando inviperita): Non apro, non a quest’ora, chiunque Voi siate.

Da basso non giunge risposta alcuna. Domina il silenzio per un minuto buono, poi si spande per l’aere il bombo dei battenti.

Sophia: Chiunque Voi siate, lo ripeto per Voi che di certo siete duro d’orecchio, non apro. Sono una signora io, non apro neanche se m’assicurate con voce di baritono che siete il Primo cittadino.

Il forestiero: Aprite, buona Signora! Per l’amor di Dio, aprite l’uscio a un viandante che nulla tiene.

Sophia (incuriosita ma per nulla impietosita): Un viandante dite?

Il forestiero: Esatto, mia buona Signora, un viandante, un pellegrino, un apolide se volete, un uomo stanco.

Sophia (con tono piccato): Un viandante dunque. O Cielo! Andate via, subito.

Il forestiero (con voce blesa): Stanco, molto stanco, mia Signora. Son giorni e giorni che i cani mi mordono le chiappe. Se qui ora Voi non mi date rifugio, certo è che domani l’anima mia in custodia l’avrà il Creatore.

Sophia (scendendo le scale con passo felino): E con ciò? Vi dispiace forse d’andar a render conto del Vostro operato al buon Dio?

Il forestiero (tossendo): Buona Signora, aprite! Una notte, una soltanto perché le ossa mie stanche possano rinfrancarsi almeno un poco.

Sophia (sull’uscio della porta): Non so chi Voi siate. Chi m’assicura che non siete un bravaccio?

Il forestiero (continuando a tossire): Io Ve l’assicuro. Vi do la mia parola d’onore che, seppur povero in canna, mai feci male ad anima viva.

Sophia (sarcastica): La vostra parola d’onore non vale uno zecchino.

Il forestiero (scherzoso): Sian allora le zecche che addosso mi porto a garantir per me!

Sophia (ridendo piano): Apro giusto uno spiraglio, per curiosità, non per altro.

Sophia apre la porta, con studiata lentezza, lasciando che solo una minima breccia possa mostrarle il volto del forestiero.

Sophia (fingendo sorpresa): Oddio, che nasone! Mai in vita mia ho visto naso più lungo di quello che or mi si para davanti. Non Vi apro, certo che no. Con quel nasone, non sia mai…

Il forestiero (allargando un sorriso a denti stretti): Dolce Signora, è poi solo il fiuto che il buon Dio m’ha dato in dono. Si vede che, il giorno che ha deciso di sbattermi tra lupi e agnelli quaggiù, si sentiva particolarmente munifico; ma V’assicuro che, se il naso m’è in difetto, bravo son però a cantar lodi e poesie.

Sophia (con la boccuccia a cuore, pigolando quasi): Poesie?

Il forestiero: Non per farmi vanto, ma poeta buono sono assai. Mettetemi alla prova.

Sophia: Alla prova! Così, su due piedi, non mi viene in mente niente.

Il forestiero: Lasciate che sia la poesia che il core m’affoga a penetrar l’uscio del Vostro sì bel petto.

Sophia (fingendosi scandalizzata): Che impudente.

Il forestiero (schiarendosi la voce):  Dunque, dunque…

Sophia: Avanti, proseguite.

Il forestiero: Cotanto bella l’immagine fanciulla che all’occhio mio timoroso si presta…

Sophia: Andate avanti!

Il forestiero (tossendo): Fa freddo qui fuori. Uno spicchio di Luna appena mi copre la testa. Declamare è compito arduo, arduo assai quando le ossa le morde il gelo e lo stomaco s’arrende, lasciando che i ginocchi cedano. Se solo foste così generosa di sfamar la bocca mia con un cucchiaio di minestra e una mezza frusta…

Sophia (piccata): Voi uomini, tutti uguali: la bocca sempre l’aprite per dar corpo a un lamento.

Il forestiero: Non solo per lai, per gioie anche quando lo stomaco un poco pieno.

Sophia (maliziosa): Cantate.

Il forestiero (sbalordito): Cantare io?

Sophia: Uno stornello.

Il forestiero (imbarazzato): V’assicuro che non è il caso.

Sophia: Perché mai? Son io che Ve lo comando.

Il forestiero (accondiscendente): Come volete Voi, mia buona Signora.

Sophia: Sento già il freddo solleticarmi la gola. Su, avanti, cantate ora o mai più.

Il forestiero: Non m’è buona la voce.

Sophia: Sempre lagne, lagne e ancora lagne…

Il forestiero (con aria abbattuta): D’accordo. V’avviso però che il buon Dio non m’ha fatto uccello canterino. (E così dicendo attacca a cantare uno stornello di Ettore Petrolini)

Un macellaro sòna er campanello,
E ‘na servetta córe co’ la sporta;
Se sente un gran silenzio e sur più bello
Si trova la padrona su la porta.
– Senza scene, me permetta –
Dice pronta la servetta
– Perché vuol farne?
Si lui me sòna vengo e pijo la carne.

Sophia (sgomenta): Basta, basta, basta! Persino le campane a lutto, ripetutamente battute, di Voi son più gioiose e intonate. Pietà, pietà di me. Tacete.

D’improvviso il forestiero s’accascia. Sui ginocchi rimane, col capo penzolante.

Sophia (un poco impaurita): E mo’ che fate, mi morite qui, proprio sullo zerbino di casa mia?

Il forestiero tace. In ginocchio, pallido come fantasma, tace.

Sophia: Se credete che questa messinscena mi rattristi o mi muova a tenerezza, sappiate che così non è.

La padrona di casa sbatte forte la porta. Non fa a tempo di voltarsi per posar il piedino delicato sulle scale, che un tonfo secco le giunge all’orecchio.

Sophia (con voce sommessa e disperata): Questo m’è morto, questo disgraziato, proprio qui, davanti all’uscio di casa mia. Che penseranno mai domani i vicini quando il sole bacerà il freddo corpo dello straniero? Le peggio cose, poco ma sicuro. Lo diranno il mio amante i pettegoli. Non sanno, non sanno che non lo conosco affatto. Che ho fatto, che ho fatto. No, no, che ha fatto! E’ morto, mica l’ho fatto secco io. E mo’ che faccio?

Senza quasi pensarci su, apre infine la porta. Davanti a sé lungo disteso il forestiero.

(Affannata, con vocina pigolante e disperata) Questo è morto, è morto sul serio. Pallido è, più d’un cero spento. (Afferrandolo per i piedi) Quanto pesa, quanto! Speriamo che con quel nasone ci passi dalla porta! Un naso da far invidia a tutta la filosofia di Cyrano. (Tirandolo dentro, con respiro affannoso) Mai visto un pellegrino più brutto di questo, proprio mai. Ma se è morto sul serio, diavolo!, non si pretenderà mica che le paghi io spese per la sepoltura. Non respira, non mi pare. Guarda che impiccio, che impiccio, come se non ne avessi già fin sopra i capelli di affari miei da sbrigare. Un pellegrino: chi gliel’ha fatta fare di mettersi in cammino, chi? Avrà avute le sue buone ragioni, forse che sì forse che no; a ogni modo ciò non giustifica di dar sì tanto penare a una donna alta e fiera qual io sono. E se non è morto, giuro che lo uccido io.

(Riprendendo fiato) Non respira, accidenti, accidenti, accidenti. Mi tocca adesso pure di fargli la respirazione bocca a bocca. (Con sguardo truce fissa lo straniero adesso adagiato sul tappeto persiano dell’ingresso) Mi tocca, non v’è scampo, ché poi non si dica che non ho tentato il tutto per tutto per salvargli l’anima. (Turandosi il naso, poggiando le vellutate labbra di rosa su quelle del pellegrino, un po’ schifata un po’ eccitata, prova a rianimarlo. Quando poi avverte la lingua straniera legarsi alla sua sì delicata, subito dà in un urlo; e non contenta, per buona misura, perché sia ben chiaro, due ceffoni, uno per ogni guancia) Così imparate, sporcaccione, cafone, profittatore.

Il forestiero (alzandosi in piedi, fingendosi sconfitto, massaggiandosi le guance arrossate): Confesso, confesso… Della Vostra beltà, mia buona Signora, in lungo e in largo ho sentito parlare, sì tanto che del core i battiti in petto più non poteva io rattenere; sola ragione, che mi spinse nel cavo delle notti insonni a sfidar negre insidie e perigli, quella di rubarVi un bacio perché più non fosse di senso priva la vita mia.

Sophia (arrossendo): E scommetto che tutto avete inscenato…

Il forestiero (sorridendole benevolo): Non nego che così è. Ma, Signora bella, quale altra occasione avrebbe avuto mai l’uomo che fui e sono d’ottener dalla bocca Vostra il necessario balsamo? Converrete con me che nessuna speme concorreva a mostrar la faccia mia in fronte alla Vostra… Deh, lo vedete bene da Voi, non v’è in tasca mia più del necessario, e in quanto a bellezza, pure di quella manco. Se sgarbo fu il rubar dalle labbra Vostre un bacio, uno soltanto, colpevole sono. Ma non m’adombra moto alcuno di pentimento l’alma.

Sophia (arrossendo ancor di più): E sia, e sia. E’ come ben dite. (sospirando) Non solo il naso tenete lungo, la lingua di più.

Il forestiero (con audacia): E’ forse il Vostro invito a rubarVi un più dolce bacio?

Sophia (incredula o quasi): Quale impudenza, neanche so quale il vostro nome.

Il forestiero: Il nome che Voi mi darete, quello sarà il nome dell’amore.

Sophia (singhiozzando emozionata, un poco ridendo): Non v’è dubbio alcuno che con le parole ci sapete fare. Chi V’assicura però che sceglierò il giusto nome?

Il forestiero: Se vero è quel che poc’anzi ho sentito rubandoVi il primo bacio, non dubito che per me sceglierete il nome più conveniente.

Sophia (fingendo di pensarci su, lisciandosi con una mano i capelli): Canaglia! Vi chiamerò così, perché è quel che siete.

Il forestiero (per nulla turbato): Così come Voi comandate.

Sophia: Direi che avete ottenuto tutto quel che qui cercavate. (Indicandogli la porta con un largo gesto delle braccia) Quella è la porta, potete andare!

Il forestiero: Son qui venuto per essere quel che sono: Canaglia. Un bacio, uno soltanto dalle labbra Vostre ho rubato. Ma in me non s’è ancora saziata la fame né la sete di Voi. Forse che l’assetato nel deserto si disseti con una goccia d’acqua piovuta per puro miracolo? Certo che no. Concedete a chi nell’edace deserto una lacrima d’acqua e sicuro è che ne accelererete la morte. Concedetegliene due, due almeno, e tirerà avanti con la speranza in petto d’incontrar presto o tardi un’oasi dove finalmente a lungo riposare bevendo a sazietà, godendo delle palme l’ombra guaritrice.

Sophia (confusa): Canaglia…

Il forestiero (cingendo la bella alla vita con entrambe le braccia): Canaglia il mio nome, canaglie i baci miei, ma sempre per Voi solamente. (E subito la bacia, lungamente e instancabilmente, soffocando di lei le proteste)

Sophia (allarmata, staccandosi dalla prigionia dei baci forestieri): La porta, la porta non può restar così, a tutti aperta.

Il forestiero: Signora, Signora mia bella, subito l’uscio serrate allora.

Sophia (languidamente): Sì, sì, subito… Canaglia siete.

Il forestiero (fissando la bella chiuder bene a doppia mandata la porta di casa): Canaglia m’ha voluto l’Iddio nostro nell’alto dei cieli. E chi siam mai noi per opporci al volere suo?

Sophia (confusa): Noi siamo poi solo noi, o no?

Il forestiero (di sé sicuro): Amanti che l’Iddio ha voluto alfine congiunti.

Sophia: Troppo sicuro siete di Voi, troppo davvero.

Il forestiero: Nell’intanto la porta l’avete ben chiusa. Per ora basta e avanza.

Sophia (arrendevole, sospirando): Non so, non so… Una poesia, una poesia… Declamatela!

Il forestiero: Canaglia il mio nome. Prima della poesia i baci, i baci. Non può il poeta tentar poesia senza il balsamo che all’anima gl’è necessario.

Sophia: Se è per la poesia, allora baciatemi, baciatemi pure quanto volete.

Il forestiero non se lo fa ripetere due volte e subito la bacia, fra le sue braccia sollevandola come angelicata piuma.



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