Finché vita ci sarà da donare alla solitudine
ANTOLOGIA VOL. 41
Iannozzi Giuseppe
Ancora una volta l’amore
Venisti a me in un giorno d’insana vertigine
e presto mi perdesti nella sua alba di ruggine
– come una foglia baciata dal canto del vento
solo capace di ripetere ancora una volta, prego!
Venisti a me con tutta la tua stupida giovinezza
e presto la perdesti in ogni sognata mia tenerezza
– come una storia di morte cullata in grembo
solo capace di piangere in eterno sognatore a ore!
Come gli uomini
Onorato,
non pazzo.
Amputate la mano
se vi fa piacere,
ma non la penna
che reggo
in bilico
fra realtà
e
irrealtà.
Lasciatemi sognare!
Le parole sono
come i nostri poveri morti
– come gli uomini.
Vano
Tutto fu vano
Ma amo ancora
e odio ancora
la mia faccia d’aria
e quella della Medaglia
per un Testa o Croce
Sacrificati
Tacemmo
per crederci innamorati
tra vuoti sorrisi
e sacrificati peccati.
Alto
Dove, Dove, dove
il cuore e l’amore?
No, non me lo dire
Che me lo diresti a fare!
Colombe volano sulle nubi
Camini staccano fumo
E tu, tu dove? dove
in alto hai lasciato
il tuo amore? tutto,
tutto il suo alto dolore?
Resiste in Te
(da “Donne e parole”)
non voglio affrontare la morte
non seriamente
ci sono, dove? in ascolto?
sono sempre qui, fuori e dentro di me
non voglio affrontare la corte di mille porte
sbattute in faccia ripetute sulla punta del naso
come menzogne
il paradiso non è
e l’inferno era qui in terra quando io c’ero
e la carne si faceva male con lo spirito intero
i miei giochi pensati e la barchetta di rimbaud
e i tuoi occhi che sorridevano poesia e un addio
oh, vicino a me la tua mano e il tuo cuore sul mio
e io solo battevo l’ultimo bronzeo colpo di campana
oh, vicino a me la tua bellezza e io a chiederti di dio
e perché e per chi hai tagliato le tue lunghe chiome
il paradiso è che non c’è, è che non c’è
ma c’era un giorno di pioggia e uno di sole
ma c’era un cinema e un riparo e un poster sbiadito
ma c’era la chiesa e l’ospedale e c’era la mia preghiera
che ora porti sul confine delle labbra
deponendo ai miei piedi sottoterra un mazzo di rose
e una lacrima che scava dentro alle parole dell’epitaffio
se io muoio non piangere per me, prosegui a fare
ciò che facevo io e continuerò a vivere in te
non voglio il confino dentro al corpo della morte
non seriamente non seriamente l’eternità della notte
ci sono, dove? in ascolto?
sono sempre qui fuori e dentro di me
il paradiso semplicemente non è
oh, vicino a me stava la tua commossa ombra
oh, dentro di me è scavata la giovane tomba
che prende tutto oramai che prende il meglio
e il peggio di me come niente fosse
oh, vicino a me la tua mano e il tuo cuore sul mio
perché e per chi hai tagliato le tue lunghe chiome?
non seriamente non seriamente l’eternità dell’addio
tu però continua a vivere in me e io ci proverò
come posso a fare tutte le cose che ho amato in vita
non seriamente
non seriamente il corpo dell’addio – per dio!
non seriamente non per sempre
il corpo dell’addio – per dio!
se io muoio non piangere per me
ci sono, ma dove? chi mi ascolta?
io da solo, il paradiso però resiste in te
non seriamente non per sempre
il corpo dell’addio – per dio!
se io muoio non piangere per me
ci sono, ma dove? chi mi ascolta?
io so solo che il paradiso resiste in te
non seriamente non per sempre
il corpo dell’addio – per dio!
se io muoio non piangere per me
ci sono, ma dove? chi mi ascolta?
il paradiso resiste, resiste sempre in te
Camminerò i tuoi dolci fianchi
(da “Donne e parole”)
Camminerò i tuoi dolci fianchi
Segnerò la morbidezza delle tue curve
Sognerò dentro ai tuoi occhi di stelle
un orizzonte più profondo
di quello che si profila davanti
ai nostri sguardi di ieri
– in questo universo
che pallido si fa
quando le mani si perdono
in giochi di ombre cinesi
E camminerò,
camminerò finché avrò tempo
e tu ne avrai per me
E volerò, con te volerò
sognando un domani migliore
grande quanto tutto l’amore,
straripante come le lacrime
nei tuoi occhi addormentati addosso a me
Fragili siamo
Fragili siamo, sempre, quando la carezza
d’una vagabonda piuma la raccogliamo in grembo
o la prima pietra dalla mano lontano la scagliamo
al di là delle umane ingiustizie
Sì, tu ricordi gli orti e com’erano verdi al sole
Sì, tu ricordi com’era bello perdersi fra i filari
e poi restare affannati e nascosti a fare all’amore
perché la vita fosse almeno parvenza d’eternità
Cristo è morto, Cristo è risorto: dove?
Fra le mani sol stringiamo un vento di parole;
e davanti al fuoco, per confortarci, restiamo
a raccontarci fole, scherzandoci su
perché noi mortali siamo e quaggiù viviamo
Fragili siamo, sempre – adesso
L’amore però lo tentiamo a nostra somiglianza
con la forza dei nostri lombi, dei nostri cuori
che batteranno all’infinito finché vita ci sarà
da donare alla solitudine che ci portiamo appresso
Parlando d’amore
Parlando d’amore
ho incontrato una pietra
e la sua difesa in una piuma
Parlando d’amore
son caduto
e mi sono rialzato
cercando – provando –
sulle mie ginocchia stanche
quanto grande la pesantezza
e la sua infinita bellezza
Parlando d’amore
sono andato incontro a una catastrofe
Dovrei sentirmi pentito
E forse un po’ lo sono
Dovrei dire che è stato invano
amare e soffrire
Eppure, oggi, con le spalle al muro
so di non avere scampo alcuno
e che ancora inciamperò nei passi
d’ogni ombra che a me si dirà “amore”
Così credo, fermamente,
che farò del mio meglio per avere
e dare
Così credo, fermamente,
che l’amore è dare e non ricevere
anche se fa male
E anche se fa male
non ci posso proprio rinunciare
ad amare e a soffrire
portando la mano al cuore,
alla sfida che m’impone
Simone e Marianna Sirca
Ci siamo cascati dentro all’amore
E’ stato il nostro primo e ultimo errore
e ci ha legati l’uno all’altra per sempre
Difenderai come allora il mio pugno di sabbia,
o lo porterai sul tuo cuore perché sia cenere
da dare alla cenere?
Quante stagioni hanno accolto i nostri pianti
e quante le nostre risate? Non oso confessartelo
Ma le tue lacrime di stelle, ma le tue risate di cielo,
io non le ho dimenticate e ancora aspetto
che la tunga si apra a noi per una nuova verginità
Il sole muore, la luna si fa alta in cielo
Vagolo e di nascosto vengo a bussare alla tua porta
Ho cacciato un cinghialetto, mi son reso colpevole per te
E ora che muoio con una pallottola in corpo
capisco che ti fu impossibile amare i miei occhi
e la povertà che riposava dentro alle mie tasche
Se solo difendessi il mio pugno come allora!
Un tempo ci credevi
che avremmo avuto il coraggio d’amarci
E invece ora solo stringi la mia mano che si spenge
in magrezza nella tua che di vita è calda e colma
E invece ora solo mi vedi qui disteso in questo tuo letto
a tirar fuori dal petto l’ultimo respiro che s’arrende
sotto la benedizione d’un pretino tanto stanco
Amarci fu il nostro amore, fu la nostra morte
E domani sposerai un altro che avrà i miei occhi
E, forse, sarai felice, di più che se fossimo restati
legati l’uno all’altra
Ma io ancora aspetto nel freddo balsamo della tunga
che una nuova verginità si apra e ci porti a noi,
perché l’amore è stato il nostro primo e ultimo errore,
e ci ha legati l’uno all’altra per sempre, nella morte
Smorfia
nel tempo
d’una distratta
stretta di mano
l’amore
iniziò e finì
nessuna sorpresa
per quegli amanti
distanti
tranne
che per un sorriso
fra le labbra stretto
simile a inguaribile
smorfia
Vigliaccamente
nella notte
mascherato
sei venuto
e forte
m’hai battuto
col manganello
più duro e nero
perché cadessi
ai tuoi piedi
esangue
senza fiato,
senza ombra
– scomoda
testimone! –
a ricordarti
ch’ero vivo
anch’io,
ch’ero uomo
di cervello
anima e cuore
vigliaccamente
alle spalle;
forte sì
ma solo del buio,
nell’anima invece
dannatamente
debole
m’hai ucciso, sì
…e uguale sorte
a quei mille
prima di me
che ora però
con me gridano
il tuo nome
all’inferno
perché sempre
e per sempre
sia maledetto
Innocenza
innocenza fu
perduta, poi
soltanto
disegnato
ghigno di re
e regine
A parole
A parole!
domani
diventerò
vecchio
perdendo
i capelli
ma non ‘l foco
che m’arde
in petto
né i denti
che oggi
triturano
verbi di foco
sì, così
uguale
sarò
domani…
a parole!
Finalmente
nei versi delle poesie
vendemmo l’anima
la gioia e ogni pudore
finalmente
nell’intreccio dei corpi
amammo la bestia
la carne e la sincerità
Ferite
vestirai luna di luce?
o nuda allo specchio
spoglierai lacrima
di triste paradiso?
ti ho vista piangere
e ancor non sapevo
che amore così è
tutti ne erano al corrente,
non io però che inciampo
nella pioggia bevendola
passo dopo passo
come lupo ferito fiero
delle ferite mai cicatrizzate
Appena arrivato
m’hai fissato dritto in faccia, in silenzio,
come se davanti a te uno straniero
così fragile, in casa tua all’improvviso,
senza passaporto né carta d’identità
non m’hai però rifiutato un pasto caldo
né il tuo bianco letto – da amare
Non perdere la tenerezza
Un gesto,
o una eccezione alla regola
per non sprofondare
nella paura d’amare,
per non dimenticare la tenerezza
Donare fiori di campo,
fiori rubati al vento
che ci sferza la faccia;
regalare secondo l’occasione
rose o crisantemi
a chi oggi c’è
e anche a chi domani no,
seppellendo al di là di noi
il superfluo,
vergini spine e petali appassiti
che potrebbero far sfiorire
nel tempo breve d’un secondo
l’anima del ricevente.
Per una lama di luce
Ci manca sempre,
sempre la meraviglia
di meravigliarci per un lama di luce,
che per nostra colpa solamente
– perché presi nell’insoddisfazione
del metro dei giorni uguali ai giorni –
più non sappiamo emozionarci
quando il battito del cuore di Dio,
timido e tremante,
preme su quelle inflazioni
dentro al nostro petto
gelosamente custodite
manco fossero esse tesoro
da non rigettare.
Lavorare l’amore
(da “Fiore di Passione”)
esserti accanto in questo momento
sussurrarti tutte quelle nobili parole
che ti son mancate
che mai ho osato dire ad alcuna
esserti accanto
spremere dalle tue labbra di miele
altro miele
perché sia nutrimento
per l’anima mia solamente
dimenticare il mondo d’attorno
e secondo dopo secondo
il fiore del tuo amore cogliere
sorprenderti cingendoti la vita
farti prigioniera del mio abbraccio
all’orecchio sussurrarti dolcezze,
tenere sconcezze
per farti arrossire,
per farti cadere sempre più a fondo
nell’anima mia d’amor fremente
dimenticare che siamo stati divisi
vivere il tempo presente e dirlo eternità
verità che di primavera profuma
Stono l’autunno
(da “Fiore di Passione”)
Avevo voglia d’una musica triste
come foglia portata via dal vento
– dal tempo –
perché oggi c’è che amo solo te
che non sai quel che invece io so
fra i sorrisi spenti di tutta quella gente
che nella vita mai ha avuto niente,
un mendicante un poeta un Pierrot
E viene l’autunno, siede accanto a me
All’orecchio soffia piano un “Cosa c’è?”
Muto e niente, intono poi un canto
Mi dico stanco, ma c’è, sempre c’è
che in tanti hanno avuto meno di me,
nemmeno la fortuna di vivere una luna,
di veder l’autunno e i bruni suoi colori
Ed è così che, che ripeto a me
“Che c’è, cosa c’è che non c’è?”
Ed è così che, che ripeto a me
“Avevo voglia d’una canzone,
di parole solamente per quel che c’è
Per quel che in amore c’è e non c’è
fra un silenzio e l’infinito…
fra il già detto e quest’autunno di foglie
che suono e stono”
Senza una minima fortuna
Ho visto uomini seminare il male
e li ho visti toccare un secolo di vita
senza che un alito di vento
gli scomponesse mai la chioma
Giù in paese dicevano parole,
le ripetevano come un mantra;
aspettavano i retti che il tempo
cadesse nel tempo, nell’incastro
d’una Mezzanotte senza ritorno
Aspettavano che la giustizia
sposasse finalmente la verità
Ma ogni giorno, ogni santo giorno
uscivano dalla chiesa le bare,
quelle di uomini poveri in canna
che mai avevano rubato una paglia;
ogni giorno un timorato di Dio
finiva male, a pezzi, in orizzontale,
senza neanche aver sfiorato
la mezza età
Ho visto uomini seminare il bene
e in sequenza li ho visti cadere
senza che una minima fortuna
gli asciugasse la fronte di sudore
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