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Il meglio dell’amore per l’amore

Il meglio dell’amore per l’amore

Iannozzi Giuseppe

Henri de Toulouse-Lautrec – In Bed

ROSA NEL DESERTO

Han scavato le cieche lacrime
la dura roccia millenaria;
resiste però la Rosa nel Deserto,
miraggio per poeti dimenticati,
per quanti patria
e affetti han sacrificato nel Niente
da Oriente a Occidente vasto,
impossibile da sognare o segnare
E ronza un moscone all’Ultimo Bar:
mano a un vuoto bicchiere, in gola
un’arida goccia di gin butta giù
prima che sia l’ira del dolce jinn
ad arrestargli il pomo d’Adamo
mentre in sconosciute vie di periferia
la Ruota della Fortuna tentano gli orfani
nel fumo di Mosca subito seppellendosi
E sulla scrivania attende la Remington
che infine giunga un perfetto nessuno
a sbloccare il carrello, il colpo finale

QUESTA NOTTE CONTA

Questa notte,
questa notte conta,
conta più stelle in cielo che anime

A piedi nudi o no
ho percorso strade
che portavano dappertutto,
ma mai lontano
Ho commesso degli sbagli,
cercando d’allontanare
la tentazione dell’amore

Ho visto donne spogliarsi subito
e altre rivestirsi dopo due minuti
perché la Luna spiava la loro bellezza
E lo ammetto, con occhio curioso
ho spiato tutto ciò che era proibito
E questa notte conta,
conta più stelle in cielo che anime
E lo ammetto, sono caduto,
ancora una volta sono caduto
al centro d’un miracolo:
nel peccato dell’amore

Come il Siddharta assumo il bello,
faccio mia la posizione del Loto,
e rigetto il buio che si nutre di sé;
ma quando stanco di pensarmi santo
sveglio le gambe,
sveglio l’uomo e il suo cuore
per amare ancora,
per essere peccatore fra i peccatori
Per essere un eroe fragile fragile

Questa notte,
questa notte conta,
conta più stelle in cielo che anime
Davvero non c’è altro da sapere
per far brillare l’anima mia quaggiù,
dove nella mia condizione io sto
Dove nella mia condiziono io do

ASCOLTANDO VOCE DI RASOIO

Io mi chiedo perché
Sei sparita quando dicevi
che andava tutto per il meglio,
che le tue ciglia non mordevano lacrime
Sei andata via,
lasciando un buco nella vita mia

Alle pareti sopravvivono le tracce
di tutti i quadri che hai portato con te
Sulla scrivania, accanto al calamaio
riposa la cornice
che fa prigioniera la tua immagine
Sei andata via nel più freddo giorno d’inverno
Hai detto che andava tutto a meraviglia,
che non mi dovevo meravigliare
se ridevi a ogni ora
Però poi ti accendevi una sigaretta
e la mano l’allungavi verso il bicchiere pieno

Sei andata via che era quasi Natale
Qui fa un freddo cane, proprio come allora:
le strade sono battute da uguale solitudine,
gli ambulanti vendono castagne calde in strada
e i bambini giocano a palle di neve
E’ che non me ne sono fatto ancora una ragione

Chissà se adesso mi stai pensando
o se mi stai dimenticando nell’orgasmo
d’una nuova felicità a me ignota più della verità
Ma lo so, sono gli oziosi pensieri
di uno che piano piano aggiusta la puntina sul piatto
per poi accasciarsi in poltrona
sotto la voce di rasoio di Cohen

Sei andata via
in un giorno che non potevo sospettare
Non ti potrò perdonare mai:
il clima di festa mi ha sempre danneggiato
Sono ancora qui al punto di partenza,
preso sotto inganno
in un Natale e in una primavera di rane,
mentre rimetto a posto la puntina sul vinile

Manchi tu, ma Gesù risorge sempre
Sempre uguale a sé ogni anno
Ogni anno in silenzio ti rimpiango
insieme a tutti i miei dischi in vinile

HO MESSO LA TESTA A POSTO

Ho messo la testa a posto,
l’ho fatto per non lasciar di me
Polaroid ridicola
Scrivevo e scrivevo mica male,
scrivevo a cottimo poesie
che non leggevi
e che però non ti piacevano

Ho messo al loro posto costi e conti,
i tanti orologi sempre fermi su di te,
e pure gli avanzi della mia filosofia,
così adesso a tutti ripeto quel che so:
nessuno mai è tornato indietro
dall’Aldilà
o, con ragione o no, dall’aldiquà

Imito la posizione di un Buddha,
di uno qualunque
Imito la perfezione,
la perfezione che mai c’è;
e non è lavoro da poco,
credimi pure sulla parola

Sempre, sempre si sta
e si sta qui,
con l’acqua alla gola o no
Sempre, sempre si sta qui
ispirando e inspirando,
seguendo, bene o male,
degli antichi saggi l’esempio
C’è che già da un po’ di tempo
ho fatto il mio dovere

E sempre si disegna un cerchio
e mai l’infinito
C’è che già da un po’ di tempo
ho messo la testa a posto:
non sono uno scherzo, certo che no,
quarantacinque stronze primavere
C’è che mi manca il talento,
un po’ di sano talento;
e c’è che di Cohen uno e uno solo,
e io semplicemente della razza mia

SAREBBE SCONVENIENTE

Si può dire a una Amica una cosa di questo genere? Manchi ai battiti del mio cuore. Forse no, sarebbe sconveniente. Però la Luna ti ha vista nuda, ti ha baciata anche, e ha fatto sua la bionda tua tenerezza. E a me non è arrivato neanche lo scoppio di risa delle onde del mare a frangersi contro la battigia. E a me è restata in gola la voglia di scoprire quanto baci bene e quanto a lungo sapresti trattenere il fiato, baciando quell’uomo che oggi non osi dire amore. No, sarebbe sconveniente, sarebbe davvero fuori luogo dire a una Amica una sconcezza così, pensata seguendo delle luci di città la vuotezza che danno. E allora tutto mi rimangio, tutto. E da sola ti lascio alla notte, perché sia fatta la tua volontà, e non altro.

QUESTI VOLTI DISEGNATI

Questi volti disegnati,
questi volti a me ignoti
che della segreta loro vita
nulla o quasi so,
nel sogno si affacciano
quasi volessero a me dettare
monito o consiglio

Da amica mano
nei minimi tratti curati,
da là dove ora sono
con abbozzati sguardi
l’occhio mio sfidano
sempre ripetendo
“Cura la rosa e le sue spine,
curati di non far a lei male
e di non farne a te
che sei oggi ancor là
dove la vita tutta ci sta
e poi chissà!”

Decifrar non oso o forse non so,
so però quanto forte la verità,
e allora ci sto,
curo della rosa il giardino,
gli improvvisi tremiti dei suoi petali,
con un silenzio di pace
ma di più con parole di parole
che son poi tutto quel che ho

E il perdono non lo chiedo
se non piano piano,
nel pigolio dei passeri in cielo
scivolando,
le benevole anime pregando
perché veloce rimedio accordino
là dove ingenuo ho peccato io

In una dispettosa nuvola di fumo
sorridono allora i volti si ben sfumati
dall’amata amica mia disegnati,
o almeno così a me mi pare

Come possono sorridono oggi loro,
o almeno così sospetto di credere

HO MAI DETTO AL CIELO CHE SEI BELLA?

Dolci i fianchi lungo le montagne
e la pioggia, la pioggia non cessa il suo lavoro:
e ogni creatura cerca un minimo riparo,
e ogni donna cerca un amante per la notte
Ho mai detto al Cielo che sei bella,
te l’ho forse mai detto chiaro e tondo
per farti tremare al di là d’ogni dubbio?

Dolci, dolci i sogni che ci tormentano
Ogni giorno passa lento sulla tua bellezza,
e ogni goccia di pioggia ti accarezza piano
Da lassù il Signore ci invita a salvarci:
non gli piace affatto questa solitudine
che ci viviamo addosso fino all’ultimo giorno

E ogni creatura cerca un minimo riparo,
e ogni donna cerca un amante per la notte

Non ti ho mai detto che nel Giorno del Giudizio
a nessuno di noi verrà chiesto perché Sole e Luna
non hanno mai fatto niente per essere un po’ di più
Non ti ho mai detto la verità sulla confusione
che alberga quaggiù dove è facile franare
insieme ai secoli delle montagne,
dove è facile cadere in ginocchio
senza una vita alle spalle… senza un perché

E ogni creatura cerca un minimo riparo,
e ogni bambino cerca il petto d’una madre

Dolci,
dolci sono i fianchi delle montagne
Non reggeranno ancora a lungo,
non reggeranno ancora a lungo

TORNIAMO A CASA

Torniamo a casa,
a usare carta e penna
per lasciar di noi
al di là del tempo
un segno più del sogno

Torniamo a noi,
a lavorar di cuore
col sudore della fronte

Torniamo a casa,
e parliamo a lungo
come due estranei
che uguale via
hanno da seguire

MAESTRO, MIO MAESTRO L. COHEN

All’improvviso
un silenzio di silenzio
sul sogno della perfezione calato
Non era in programma,
non era proprio in programma
dimenticare l’impermeabile blu
in questa casa piena di poesie

Ma nel tuo tè una rosa d’amore
ha lasciato cadere Marianne,
ti sei così addormentato
cullato dal canto dell’Angelo,
dal magico suono della sua voce

Milioni di baci dimenticati,
naufragati e ripescati
dal Mare della Discordia
Ma sull’alba vigila la Colomba
costringendo lo sguardo di Dio
a un esame di coscienza
per una più profonda ispirazione

Non era in programma,
non lo era davvero,
così sul piatto della bilancia aggiusta
la tua domanda, e fallo adesso, adesso
perché è una questione al di là
delle possibilità della realtà,
lo sappiamo bene entrambi
Accorda il violino dell’Ebreo
che, al padre dimenticato
fra le lune delle calende greche,
non chiedeva mai pane né pesci,
e lascialo poi scivolare lontano
Lo sappiamo bene entrambi
che il discorso fra me e te
riposa in sospeso, sappiamo
che nulla mai si perde per sempre
sul pelo dell’acqua

Forse non ti ho mai raccontata
per filo e per segno tutta la verità;
e forse ho sbagliato ad amare
più di quanto fosse giusto
E queste poesie, queste donne
ripetono la mia cifra, ti ripetono
che soltanto per un pelo
non sono riuscito a chiarire il Nome,
Signore

Per questo, per tutto questo
con mani penitenti
fra il poco e il tanto
che al tempo rauco ho donato,
dal cavo della notte la mia voce scava;
e il famoso impermeabile blu
insieme al rasoio lascialo riposare
là dove giusto ieri l’ho dimenticato,
là dove con lo sguardo giusto ieri
l’ho incrociato

MERITIAMO UN ATTIMO DI RISPETTO

Tutto è pronto
Come sempre,
come sempre aspettiamo
che il cielo esploda
per nostro dispetto

Al punto cui siamo
meritiamo un attimo di rispetto,
un finale mozzafiato,
l’Aurora che ci illumini
da qui fino a Nuova York

A questo punto
segnato è il punto
sopra la coccinella nera
e la mano che ne sorregge
il cammino con illuso coraggio

I bicchieri da tempo vuotati,
i volti degli stranieri
senza uno straccio di faccia,
e, e le donne che non immaginano
che come sempre aspettiamo
che dalle porte delle chiese
escano allo scoperto urlando
del Sabbath milioni di tradimenti

MAGNIFICI PERDENTI

Seduto a un tavolino francese
su un taccuino giallo le mie poesie;
ti faceva ridere l’idea, vedere
che dal sole al tramonto bersagliato
su asfalto e cemento
l’ombra mia ebrea s’allungava

Chissà se hai mai visto l’aurora sfaldarsi,
se sei stata mai sfiorata dal pollice di dio,
dall’implacabile sua tenerezza!

E dove sei ora, a cosa pensi,
non lo so
E che fai ora, a chi pensi,
non lo so
Forse ancor ridi di qualcuno
che nella Cabala si perde
sognando d’averla vinta sulla vita

Chissà se hai mai saputo di quell’uomo
che dal niente tirò su un faro abbandonato!
Chi sa quante cose, quante ancor non sai

Forse, forse solo ancor ridi di qualcuno
Forse ancor non comprendi il niente
e chi di te ha una disciplina più forte

AVRAI

Vedrai giugno,
i suoi colori invadere il cielo;
e vedrai fiori meravigliosi
che sotto il patimento del caldo
non arrenderanno i petali alla morte;
e sentirai che ogni cosa,
che ogni granello di sabbia
ha in sé raccolto
dei secoli la saggezza,
da ben prima
che l’uomo dettasse la sua legge
per andare contro quella di Dio.

Avrai sete,
presso le fontane dei giardini
cercherai veloce refrigerio,
uno spruzzo d’allegria;
e da sola ti renderai conto
– per un momento appena –
che non v’è più genuina vanità
della giovinezza
che nulla chiede se non di essere.

Avrai, avrai ai tuoi piedi
il mondo intero
perché dalla tua bellezza
possa essere
un poco calmato e risanato.

GUARDAMI, GUARDAMI ANCORA

Guardami,
guardami ancora
I miei sbagli sono
e sono tanti, tanti;
li puoi vedere,
a uno a uno li puoi contare
guardandomi oggi
negli occhi stanchi,
sporgendoti sul mio ieri,
su quei gigli bianchi
che dai prati strappai
con la stupida arroganza
d’una giovinezza
che è finita, marcita
… da un pezzo oramai

RICORDI?

Ricordi, ricordi com’era la notte,
quando la notte era di buio
e le stelle non si vedevano?
Ricordi, ricordi com’era il giorno,
quando il giorno era di luce
e il diavolo bruciava le colline?
C’era la gloria
che dava da mangiare,
e c’era la cera
che si scioglieva piano,
e i fiumi non avevano inizio né fine

Ricordi, ricordi com’era ridere,
quando le campane si strozzavano
in una risata accompagnata
dalla verginità di mille fanciulle in fiore?
C’èra la morte
che veniva e non faceva male,
e c’era la vita
che risorgeva e taceva,
e ogni cosa, ogni cosa non era mai
quello che l’occhio vedeva

Ricordi, ricordi com’era il suono,
quant’era bella la chitarra di George
che non sapeva smettere di piangere?
Ricordi, ricordi quando t’invitavo
a slegare dal collo degli agnelli
campanelli d’argento e sogni a non finire?
C’eravamo noi,
di altro non avevamo bisogno
C’eravamo noi,
ed eravamo felici e perdenti

Ricordi, o forse no,
così adesso la notte è solo la notte
e il giorno è sempre più avvitato in sé
Ricordi, o forse no,
così adesso piangiamo e piangiamo forte
e lo sappiamo bene il perché:
fingiamo, fingiamo la vita
e non la inventiamo mai,
e non la inventiamo mai

Non era questo che volevamo,
non era questo che volevamo

LASCIA CHE SIA L’ANIMA

Lascia, lascia
che sia l’anima mia
a spogliarti,
e lascia che sia la Luna
a cucirti addosso sogni d’argento
che mai hai sognato
di mettere a nudo

Come uomo innamorato,
ogni giorno la vita mia
la dono a te per perdermi,
per perdermi a lungo,
a lungo e ancor di più
fra le bionde trame
dei tuoi capelli ribelli;
davanti a te
in ginocchio cado piano
al tuo seno ancorando
l’occhio malandrino

Cos’altro ti serve per capire?
Cos’altro ti serve per capire
che una rapina a mano armata
mai e poi mai sarebbe bella
quanto la tua pazzia
di dirti e non dirti mia?

Te lo dice,
te lo suggerisce anche la Luna,
che dalla sua scenografia
si tira giù:
che da un uomo,
davvero,
non si può ottenere di più!
E te lo ripeto anch’io
prima che
un non previsto tuo silenzio
per sempre nella ruggine
mi soffochi la bocca


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