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HO FATTO IL MIO DOVERE

HO FATTO IL MIO DOVERE

Iannozzi Giuseppe

Ho fatto il mio dovere

Ho Fatto il Mio Dovere,
frantumando sgrammaticature
e parole cariate vuote di luce
Ho fatto quel che andava fatto
e non ricordo più niente, più niente
Non un ricordo ingombra la memoria,
non uno sgarbo o uno sgorbio sposa
la storia che fra noi mai fu

Ho fatto il mio Dovere,
e l’ho fatto per amor mio,
per amore della mia statura

Voi anelate a un’incomprensibile banalità,
io a una professionalità uguale
a quella d’un condannato a morto
Voi cercate ancora la luna in fondo al pozzo,
io no, aggiusto lo sguardo come un cecchino
per una santità a misura d’uomo

Ho fatto il mio dovere
mentre Dio si dava via a una distrazione,
a un capriccio di donne un po’ così e così
Ho fatto il mio dovere
consumando il passato a lume di candela
aggiustando versi su versi
fino a toccare con mano perfezione da coglioni

Voi anelate a vivere fra nani e mezze verità,
voi amate andare avanti con le gambe corte,
io no, punto a una semplicità sacrificale
che uno a uno sgozzi agnelli bianchi e neri

Ho fatto il mio dovere,
fino in fondo ho fatto
tutto quello che andava fatto
per amore della mia statura,
della mia statura solamente

E ora non ricordo, più niente ricordo
Solo anelo a una professionalità
uguale a quella d’un condannato a morte,
solo aggiusto e aggiusto lo sguardo
come un cecchino per una perfezione da coglioni

Camicia di relazioni pericolose

Hai visto, hai visto anche tu?
L’attore che amavamo di più,
senza pensarci su,
ha puntato la 45 della pazzia alla tempia
per riuscire finalmente a recitare
la commedia d’una disumana esistenza
in un manicomio di finestre di piombo
Sfoga adesso i suoi sorrisi assassini
addosso a certi camici bianchi
che malamente lo imitano
addormentandosi a tarda sera
in una camicia di relazioni pericolose

Hai visto, hai visto anche tu
di cosa è capace un uomo
che il bagaglio della vita
tutto l’ha impegnato
per toccare gli estremi gemelli
dell’apice e del fondo;
e vogliamo forse noi imitarlo
per essere come lui delle scimmie
senza un minimo di decadentismo wildiano,
ma con una grassa gobba nel cervello?

Lungo i fianchi lascia cadere le mani,
e con un silenzio d’oro metti a tacere
il pubblico che più non sta nella pelle,
che come serpente tentatore sibila
e dalle poltrone scivola con il culo basso

Con un silenzio di peccati d’oro
metti a tacere chi non ha capito
e chi mai capirà
come sul palco del mondo si sta

Non sia di poesia
(2nda versione)

Non sia di poesia il giorno,
sia invece di passioni,
di immensità vuote di barocchismi
che le verità una a una le denuda;
e sarà bello vivere e godere,
anche sotto l’occhio mai stanco
della macchina da presa

Non sia il giorno uno qualunque,
una fossa comune da seppellire
dentro a una notte ai confini
del mondo conosciuto e no

Non sia di bugie e poesie il giorno,
sia invece oscenità di angeli nudi
Di angeli scalzi e nudi
che violentano i fasti delle vanità
per un salasso di carnale verità

Fuori dalla tempesta

E’ stata la tempesta,
non l’ho voluta
ma è stata;
così, adesso,
che sono
e sono fuori
dall’ingombro
di nuvole e vili strali,
taccio, lasciando
la parola non a Dio,
non all’amore
e nemmeno al mio Io
Lascio il silenzio
perché parli a lungo
con parole malfatte;
e lascio il sorriso,
quello di Calibano:
tutto questo poco
lascio qui deposto,
e miro l’orizzonte
a fronte alta
sfidando della stupidità
la somma spergiura.

Non perdere la tenerezza

Un gesto,
o una eccezione alla regola
per non sprofondare
nella paura d’amare,
per non dimenticare la tenerezza
Donare fiori di campo,
fiori rubati al vento
che ci sferza la faccia;
regalare secondo l’occasione
rose o crisantemi
a chi oggi c’è
e anche a chi domani no,
seppellendo al di là di noi
il superfluo,
vergini spine e petali appassiti
che potrebbero far sfiorire
nel tempo breve d’un secondo
l’anima del ricevente.

Per una lama di luce

Ci manca sempre,
sempre la meraviglia
di meravigliarci per un lama di luce,
che per nostra colpa solamente
– perché presi nell’insoddisfazione
del metro dei giorni uguali ai giorni –
più non sappiamo emozionarci
quando il battito del cuore di Dio,
timido e tremante,
preme su quelle inflazioni
dentro al nostro petto
gelosamente custodite
manco fossero esse tesoro
da non rigettare.

E sia il giorno di luce

E sia il giorno di luce
anche se pioggia vien giù
costellando di stelle
le pozzanghere
dai nostri piedi calpestate.

Senza una minima fortuna

Ho visto uomini seminare il male
e li ho visti toccare un secolo di vita
senza che un alito di vento
gli scomponesse mai la chioma

Giù in paese dicevano parole,
le ripetevano come un mantra;
aspettavano i retti che il tempo
cadesse nel tempo, nell’incastro
d’una Mezzanotte senza ritorno
Aspettavano che la giustizia
sposasse finalmente la verità

Ma ogni giorno, ogni santo giorno
uscivano dalla chiesa le bare,
quelle di uomini poveri in canna
che mai avevano rubato una paglia;
ogni giorno un timorato di Dio
finiva male, a pezzi, in orizzontale,
senza neanche aver sfiorato
la mezza età

Ho visto uomini seminare il bene
e in sequenza li ho visti cadere
senza che una minima fortuna
gli asciugasse la fronte di sudore


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